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Fabrizio Marinelli, Cultura giuridica e identità europea

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A cura di Nadia Mariotti

La storia del diritto europeo, come corso di insegnamento universitario, patisce ancora oggi una certa povertà di strumenti didattici.

Tale circostanza, per ovvie ragioni, rende difficoltosa per lo studente la comprensione di una materia che, al di là della sua indubbia utilità pratica, favorisce la comprensione e l’approfondimento culturale delle grandi direttrici del pensiero giuridico europeo, oltre che del metodo utilizzato dai giuristi nel corso dei secoli per costruire ordinamenti giuridici nazionali e sovranazionali. Anche per queste ragioni, dunque, il nuovo libro di Fabrizio Marinelli deve essere salutato positivamente in quanto va a coprire uno spazio che merita sempre maggiori approfondimenti. L’autore è professore ordinario di diritto privato presso l’Università dell’Aquila, ma si è sempre interessato a temi storici, pubblicando nel 2004 La cultura del code civil.

Un profilo storico, per i tipi della Cedam e nel 2009 Scienza e storia del diritto civile, per l’editore Laterza, con l’autorevole prefazione di Paolo Grossi.

E proprio il pensiero di Paolo Grossi ha sempre costituito un riferimento essenziale nei lavori dell’autore sugli usi civici, permettendogli quella riflessione complessa sui rapporti tra il diritto e la storia che è imprescindibile nella materia delle proprietà collettive. Una materia cui Marinelli ha dato un apporto rilevante negli ultimi trent’anni, contribuendo a riscoprirla ed a rivitalizzarla.

In questa ottica la storia del diritto viene concepita dal giurista aquilano non come una mera narrazione di istituti, di norme e di principi, quanto piuttosto come la coscienza critica del giurista contemporaneo, il quale nella storia cerca (e spesso trova) le radici profonde e le motivazioni nascoste di quei valori condivisi che la società europea, come tale, ha saputo esprimere.

Una ricerca che non è fine a sé stessa, ma che, nella storia del pensiero giuridico continentale, pur evidenziando affinità e discordanze, vuole riannodare gli estremi di quel sottile fil rouge che, anno dopo anno e secolo dopo secolo, lega all’affermazione della dignità dell’uomo e della sua libertà, l’anelito all’uguaglianza, alla democrazia ed alla pace. Il lettore viene condotto attraverso un percorso lungo più di duemila anni, che si snoda nelle pieghe di un paesaggio giuridico complesso e variegato, nel quale vengono messe a confronto tre esperienze giuridiche, che rimandano a tre diverse maturità di tempi, ovvero quella del diritto antico, quella del diritto moderno e, infine, quella del diritto post-moderno.

Con riguardo alla prima, il libro si apre con una breve introduzione relativa all’ordinamento giuridico romano, e, soprattutto, alla capacità dei suoi giuristi di elevare il diritto a vera e propria scienza, favorendo ed assecondando la creazione di norme da parte del pretore. Lo scritto, al di là dell’analisi delle leggi e dei singoli istituti giuridici, attraverso cui esprime il livello mirabile raggiunto dalla civiltà giuridica romana, ha il merito, sin da queste prime pagine, di mettere il lettore nella condizione di comprendere il vero significato del diritto. Questo è infatti come una mentalità ed esprime, capace di esprimere l’essenza di una società, che contribuisce ad ordinare, rendendo possibile al suo interno il pacifico svolgimento della vita quotidiana.

L’esposizione prosegue, quindi, con il riferimento al codice di Giustiniano, quale scrigno prezioso che ha consentito nel medioevo, dopo la fine dell’Impero romano, la riscoperta del suo diritto da parte dei glossatori bolognesi. Con riguardo all’operato di questi ultimi, il testo del professor Marinelli sa coglierne con efficacia limiti e contraddizioni, dovuti, soprattutto, ad un’elaborazione del diritto romano effettuata secondo gli schemi della loro contingente attualità. Ma l’analisi non trascura al contempo di evidenziare come questi stessi limiti abbiano costituito anche il punto di forza nell’alacre attività degli studiosi bolognesi, divenuti veri e propri maestri nel fornire risposte a problemi del loro tempo, basandosi su testi di un millennio precedente.

Il secondo capitolo si apre con l’umanesimo giuridico, ed il tentativo, dapprima soltanto intuito, quindi tenacemente perseguito, di dare un fondamento razionale alla norma giuridica, liberandola da incrostazioni fantasiose e da processi arbitrari. In questa prospettiva non poteva mancare una riflessione sull’olandese Grozio che, proponendo il diritto come soluzione delle controversie tra stati, in alternativa alla guerra, anticiperà di quattro secoli la Società delle nazioni prima e l’Organizzazione per le nazioni unite poi. Il grande affresco della modernità giuridica rappresentato nel medesimo capitolo ha come orizzonte storico le vicende della Francia post rivoluzionaria, nella quale la 191 pubblicazione del code civil segnerà il passaggio dal diritto antico al diritto moderno, attuando sul piano giuridico, quell’uguaglianza che la Rivoluzione del 1789 aveva proclamato sul piano politico.

Le pagine dedicate al code civil proseguono, quindi, con il tema del primato della legge, che dominerà lungo tutto l’Ottocento e per buona parte del Novecento nell’Europa continentale, fondando il diritto della borghesia ottocentesca su tale assolutismo giuridico. Assolutismo che, come viene efficacemente spiegato nel testo, realizzerà la cancellazione della pluralità delle fonti (tra cui la tradizione) e l’immedesimazione della volontà della nazione con la norma espressa dalle assemblee legislative. Corollari di questa tendenza saranno il positivismo ed il formalismo, che troveranno il loro punto di incontro nella dottrina pura del diritto di Kelsen, elaborata proprio nel momento in cui l’Europa scoprirà gli orrori della seconda guerra mondiale e dell’olocausto.

Ma la prospettiva della narrazione è di ampio respiro e riesce ad allargare lo sguardo del lettore oltre i confini del panorama continentale. Così l’analisi delle fondanti degli ordinamenti giuridici a civil law vale anche, nell’esposizione di Marinelli, ad evidenziarne le differenze rispetto al sistema giuridico anglosassone, nel quale, per ragioni di ordine geografico e storico, l’evoluzione del diritto civile si dipanerà attraverso un percorso suo proprio, basato sul precedente giudiziario e sulle metodologie di interpretazione della legge. La tragedia della guerra – si legge nell’ultima parte del libro dedicata al diritto contemporaneo e postmoderno – porterà con sé la nascita dell’Europa unita, felicemente preconizzata dal celebre discorso che Robert Schuman tenne il 9 maggio 1950 nella sala dell’orologio del Quai d’Orsay, riproponendo le suggestioni della carta di Ventotene e dell’utopia pacifista di Grozio e valorizzando i principi di libertà e di democrazia della civiltà europea.

In quest’ultima parte del testo si evidenzia come proprio dalle macerie della guerra vedranno la luce le costituzioni moderne, quali quella tedesca e quella italiana. In particolare, coglie nel segno l’autore allorché mostra come quest’ultima abbia realizzato una sintesi di altissimo livello tra il pensiero liberale, il pensiero cristiano e il pensiero socialista, consentendo di favorire in Italia uno sviluppo economico e sociale non disgiunto dall’affermazione dei diritti inviolabili dell’uomo.

Dunque, è questo è il motivo dominante del lavoro che oggi abbiamo l’onore di illustrare: la storia del diritto europeo del professor Marinelli permette di individuare e comprendere le grandi traiettorie dei valori e dei principi comuni, dimostrando come la diversità delle esperienze converga, infine, in una identità europea unica, realizzata anche sul piano della dimensione giuridica per effetto dell’appassionato lavoro di giuristi di estrazione, formazione e cultura diverse, che il diritto è stato capace di fondere e di unificare in una sintesi straordinaria. Alla ricostruzione di questa tesi, ovvero della rilevanza della cultura giuridica nell’identificazione dell’Europa e della sua civiltà, il libro di Marinelli apporta un contributo determinante, non solo sotto il profilo dell’esposizione delle singole situazioni, dei singoli metodi e dei singoli istituti, quanto piuttosto con riguardo ai collegamenti storici e spaziali che l’autore riesce a cogliere con acume e senso della storia.

Ed è proprio questa capacità che rende l’ultima fatica del giurista aquilano un’opera completa ed articolata, ma al contempo chiara e didattica, senza, tuttavia, mai scadere nella banalità. Sarebbe, dunque, riduttivo qualificare quella in commento come una pubblicazione accademica: in effetti, la cura e la sensibilità con le quali il suo autore riesce a cogliere la ricca trama dei collegamenti tra il diritto e le altre espressioni della cultura europea, quali la morale, la religione e la letteratura, la indirizzano ad un pubblico più largo, appassionato, attento ed esigente quanto a rigore e autenticità, ma, in ogni caso, non specialista.


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