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Rapporto Cassa Forense - Censis 2025: meno avvocati, un po’ più anziani e leggermente più ricchi. Tutto vero?

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Domenico Monterisi

Come già avviene da qualche anno, il Direttore della Rivista mi ha chiesto un commento sul rapporto Censis Avvocatura che, ormai da nove anni, Cassa Forense, con la collaborazione di uno dei più prestigiosi istituti di ricerca del paese, ha presentato a Roma il 2 aprile scorso.

Si tratta, come sempre, di uno strumento utilissimo per verificare lo stato attuale della nostra professione, le prospettive future, il grado di soddisfazione che gli stessi avvocati dichiarano rispetto alla propria vita professionale e cosa - di positivo ovvero di negativo - si attendono dal futuro.

Il rapporto, come ben sintetizza la premessa a firma del Presidente di Cassa Forense, Avv. Valter Militi, esplora le trasformazioni dell’Avvocatura italiana, evidenziando un calo delle iscrizioni e l’evoluzione dei modelli professionali. Si analizzano i redditi degli avvocati, con un focus sulla crescita regionale e di genere, e le sfide future legate alle diverse attività e tipologie di clientela.

Un’attenzione particolare è dedicata al sistema previdenziale, all’integrazione pensionistica e alle prestazioni offerte da Cassa Forense. Il rapporto affronta anche temi cruciali come la conciliazione tra vita privata e lavoro, l’aggregazione tra studi legali e l’impatto dell’intelligenza artificiale sulla professione.

Si discute l’adattamento degli studi legali all’IA, analizzando l’impiego, l’impatto e le opinioni sull’IA, basandosi anche sull’esperienza diretta degli studi legali. Infine, il rapporto esamina l’accesso alla professione forense e presenta considerazioni di sintesi, offrendo un quadro completo e aggiornato sull’Avvocatura in Italia.

Potrei riassumere in poche parole la mia valutazione complessiva del rapporto: nulla di nuovo sotto il sole. Non perché i cambiamenti non ci siano stati, ma perché quello che sta avvenendo e che Cassa Forense e Censis registrano è un risultato ampiamente previsto dai più attenti osservatori degli aspetti sociologici, statistici, politici della professione forense.

I) VALUTAZIONI GENERALI

Volendo dare dei titoli riassuntivi del rapporto, potremmo indicarli come segue:

A) DIMINUZIONE DEGLI ISCRITTI

Nel 2024, il numero degli avvocati iscritti alla Cassa Forense è sceso a 233.260, registrando un calo dell’1,6% rispetto all’anno precedente. La flessione ha colpito in particolare le donne, che rappresentano ora il 46,8% degli iscritti, invertendo il trend di crescita degli anni passati.

Il Rapporto 2025 conferma l’invecchiamento della professione: l’età media degli iscritti è salita a 48,9 anni, rispetto ai 42,3 anni di vent’anni fa, mentre il numero di avvocati pensionati è passato da 29.868 nel 2019 a 34.719 nel 2024

B) REDDITI E DISPARITÀ TERRITORIALI, DI GENERE, DI ETÀ

Il rapporto evidenzia significative differenze nei redditi degli avvocati tra le diverse aree geografiche.

In media, gli avvocati del Nord Italia guadagnano circa il doppio rispetto ai colleghi del Sud. Le disparità reddituali, tuttavia, non riguardano soltanto la collocazione geografica dei professionisti, ma anche il loro genere, con le donne molto più indietro degli uomini; stesso discorso per gli avvocati più giovani rispetto ai colleghi ultracinquantenni.

C) INNOVAZIONE E ORGANIZZAZIONE DEGLI STUDI

Si osserva una crescente adozione di tecnologie digitali e modelli organizzativi più strutturati negli studi legali. L’integrazione dell’intelligenza artificiale nella pratica legale è ancora limitata: molti professionisti la percepiscono più come una minaccia che come un’opportunità.

D) PROSPETTIVE FUTURE E RIFORME Il rapporto sottolinea la necessità di riforme nell’ordinamento forense per affrontare le sfide attuali, come la sostenibilità economica della professione, l’accesso dei giovani e l’equilibrio di genere.

II) I NUMERI - EVOLUZIONE NUMERICA DELL’AVVOCATURA

I numeri ci aiutano senz’altro a sintetizzare i risultati del rapporto e a costruire osservazioni critiche più approfondite. Il totale degli avvocati nel 2024 è pari a 216.884 unità, con un decremento dell’1,6% rispetto all’anno precedente.

Trattasi di un dato che, come ormai avviene da qualche anno, è in lenta, ma costante diminuzione. Quello che sorprende e preoccupa è il dato dell’avvoìcatura femminile: la distribuzione per genere, indica 124.008 uomini iscritti a fronte di 109.252 donne. Negli ultimi decenni, la professione forense ha assistito a una crescente iscrizione da parte delle donne.

Senonché, mentre dal 2014 al 2019 questa tendenza era evidente, con una crescita costante anno dopo anno, tanto che nel 2019 la percentuale di donne iscritte alla Cassa Forense raggiungeva il 48,0%, i dati più recenti raccolti da Cassa Forense indicano una diminuzione nella percentuale di donne iscritte.

Dal 2020 al 2024, questa percentuale è diminuita al 46,8%, scendendo sotto il dato del 2014 (47,1%) e invertendo la tendenza di crescita degli anni precedenti, confermando un vero e proprio progressivo abbandono della professione da parte delle avvocate.

Oggi, tra gli avvocati iscritti attivi, le donne rappresentano il 49% e gli uomini il 51% L’analisi delle classi di anzianità degli iscritti attivi conferma, in ogni caso, la significativa presenza di avvocate tra i professionisti più giovani.

Altro dato preoccupante è costituito dall’invecchiamento della professione forense: negli ultimi due decenni, il fenomeno è generalizzato e coinvolge tutti gli avvocati iscritti alla Cassa Forense, senza distinzione di genere.

Dal 2002 a oggi, l’età media complessiva è aumentata di oltre sei anni, passando da 42,3 a 48,9 anni, a conferma di una tendenza ormai strutturale. Tra il 2019 al 2024, si è registrato un aumento del numero di iscritti pensionati di quasi cinque mila unità, mentre il numero di iscritti non pensionati è diminuito di quasi quindicimila avvocati.

Di conseguenza, nello stesso periodo il tasso di dipendenza, ovvero il rapporto tra iscritti attivi e pensionati, si è ridotto di 1,5 punti, passando da 7,7 nel 2019 a 6,2 nel 2024. Sono evidenti le implicazioni previdenziali di questi nuovi numeri, che, non a caso, hanno imposto l’intervento di Cassa Forense con l’approvazione della riforma della previdenza entrata in vigore a gennaio di quest’anno.

I dati delle nuove iscrizioni e cancellazioni non possono che essere in linea con quelli complessivi innanzi esposti, con un numero di cancellazioni (8.175) quasi doppio rispetto a quello delle nuove iscrizioni (5.485).

I numeri impongono riflessioni: la professione forense da anni non ha più appeal? È una delle possibili risposte, ma forse non l’unica. Innanzitutto, deve osservarsi che non invecchia soltanto la professione forense, ma l’intera popolazione.

E se in qualche modo il decremento demografico generale è attutito dall’immigrazione, nel mondo della professione forense si soffre, invece, del problema opposto ossia quello dei giovani laureati che si trasferiscono all’estero.

Problema che interventi normativi tardivi, parziali e poco appropriati non hanno saputo fermare o quanto meno ridimensionare. Va aggiunto, poi, che da qualche anno il necessario turn over all’interno della pubblica amministrazione, con massicce assunzioni di nuove unità lavorative, ha sottratto iscrizioni agli albi professionali, ben compreso quello forense. Insomma, la rivincita del posto fisso rispetto al sogno della libera professione.

La preoccupazione maggiore è data, tuttavia, dalla ormai generalizzata mancanza di praticanti: a un numero sempre più ridotto di iscritti alla facoltà di giurisprudenza fa da necessario corollario la mancanza di giovani interessati ad avviarsi alla libera professione; pochi praticanti, quindi, ma anche pochi giovani che, superato l’esame di abilitazione, si iscrivono effettivamente all’albo e quindi a Cassa Forense.

Spaventano evidentemente i più ristretti ambiti della professione, la consapevolezza che, soprattutto ad alcune latitudini, i risultati reddituali possibili da raggiungere sono limitati e lontani nel tempo rispetto alla data di conseguimento del titolo universitario, a fronte di un impegno professionale spesso totalizzante, di elevati costi di accesso alla professione, di mancanza di garanzie dell’attività svolta in regime di monocommittenza presso studi più grandi.

III) MODELLI PROFESSIONALI E ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO

Altro tema affrontato dal Rapporto 2025 (per la cui redazione sono state raccolte le risposte di oltre 28.000 avvocati, ben oltre il 10% del totale degli iscritti) è avvocati): scelta che in prevalenza riguarda gli iscritti over 40.

Più interessati, se non altro per risparmio dei costi, alle aggregazioni (poi scenderemo nel dettaglio delle varie formule) sono i più giovani: soltanto il 38,8% degli infraquarantenni sceglie di operare da solo. Altra tendenza da sottolineare è quella dei collaboratori all’interno degli studi: il 10,4% degli avvocati svolge principalmente un ruolo di collaboratore, dedicando almeno l’80% del proprio tempo a questa attività.

Dato anche questo fortemente condizionato dall’età: il 28,75 di chi ha meno di 40 anni opera come collaboratore di uno studio. Soltanto l’1,5% di chi ha più di 65 anni. A questo dato fa da necessario contraltare l’età degli avvocati che si avvale di colleghi come collaboratori.

Il 10,1% degli iscritti è titolare di uno studio con collaboratori, dato che arriva a quasi il 18% per chi ha più di 65 anni, mentre è solo il 4,1% degli under 40. È di circa il 10% il numero degli avvocati membri di studio associato, Sta o Stp.

Il 5,7% opera in regime di collaborazione esclusiva, ovvero in monocommittenza. Senza sorprese il dato dell’età anagrafica dei monocommittenti, quasi sempre giovani (il 18,3% del totale degli infraquarantenni) mentre le altre fasce d’età sono sotto la media totale, arrivando allo 0,7% tra chi ha più di 64 anni. Altro modello organizzativo assai diffuso è quello della condivisione degli spazi di lavoro: oltre sei professionisti su dieci esercitano l’attività in studi condivisi, in tutto o in parte, con altri colleghi o altri professionisti. Nella maggioranza dei casi vi è la condivisione delle spese di affitto e generali; in altri casi vi è soltanto una sostanziale ospitalità senza partecipazione ai costi. Gli avvocati sono proprietari dello studio in cui operano soltanto nell’8,3% dei casi.

Lo smart working e, comunque, l’attività svolta in via esclusiva o preminente presso la propria abitazione, interessa quasi il doppio delle donne rispetto agli uomini, con l’11,3% delle avvocate che sceglie questa soluzione contro il 6,4% degli avvocati.

IV) IL GRADO DI SODDISFAZIONE DEGLI AVVOCATI: SI STABILIZZA L’INVERSIONE DI TENDENZA?

Permangono le criticità della professione e un grado di insoddisfazione numericamente non indifferente, ma è opportuno segnalare un lento, ma costante miglioramento.

Dal 2022 al 2025, i vari rapporti Cassa Forense - Censis susseguitisi consentono di rilevare un maggiore apprezzamento delle prospettive professionali nell’ambito legale: mentre nel 2022 il 28,4% degli avvocati riportava una situazione molto critica, con scarsa attività lavorativa e incertezza professionale, tale percentuale è scesa di quasi sei punti percentuali (22,7%) nel 2025. Sempre nel 2025 il 29,5% degli intervistati ha dichiarato di percepire una situazione abbastanza critica, ma nel 2022 il dato sfiorava il 33%.

Si è anche registrato un aumento degli avvocati che riferiscono di una situazione professionale stabile o migliorata rispetto all’anno precedente: il 29,6% ha segnalato una situazione invariata, il 15,8% ha dichiarato di trovarsi in una situazione positiva, evidenziando un miglioramento nonostante il contesto di crisi, mentre il 2,3% degli avvocati ha riferito di percepire uno stato professionale molto positivo, notevolmente migliorato nel corso dell’ultimo anno.

I dati vanno però meglio scandagliati tenendo conto di altre variabili, quali il genere, la provenienza geografica e l’età degli intervistati. Anche nel corso dell’ultimo anno si evidenziano differenze significative nella percezione della condizione professionale tra uomini e donne.

Le colleghe nel 27,5% dei casi definiscono la situazione molto critica e nel 30,4% abbastanza critica, il che significa che oltre il 57% delle stesse vive condizioni di difficoltà. Nel complesso, le previsioni sulla condizione professionale degli avvocati per il biennio 2024-2025 mostrano una tendenza prevalente verso la stabilità: il 52,1% degli intervistati a livello nazionale prevede che la propria situazione rimarrà invariata. Una quota più contenuta, pari al 20,2%, si aspetta un miglioramento, mentre il 27,7% teme un peggioramento.

Analizzando le differenze territoriali, in tutte le aree predomina una percezione di stabilità; ma nel Sud e nelle isole si registra una maggiore percezione di rischio e incertezza, cui fa da contraltare mentre un maggiore ottimismo nelle le regioni del Nord.

Nell’ultimo anno, il 33,3% degli avvocati ha preso in considerazione l’idea di abbandonare la professione, anche in questo caso si registra un leggero miglioramento rispetto all’anno passato quando il dato aveva raggiunto il 34,6%.

La principale motivazione risiede in questioni di natura economica (62,9%) o al calo della clientela (10,8%). Il 9,8% indica il raggiungimento dell’età pensionabile come motivo per terminare l’attività.

V) I REDDITI DELL’AVVOCATURA

Si è già detto in premessa che si registra un nuovo aumento del PIL dell’avvocatura, per tale intendendosi il reddito complessivo di tutti gli avvocati italiani. Il dato, certamente positivo, merita ulteriore approfondimento, per evitare il cadere nell’equivoco statistico del pollo di Trilussa.

Partiamo necessariamente dal dato generale: dall’elaborazione eseguita da Cassa Forense sulla base delle dichiarazioni dei redditi prodotti nel 2023, il reddito complessivo Irpef degli avvocati è aumentato del 5,6% tra il 2022 e il 2023, con un PIL complessivo superiore a 10 miliardi di euro di reddito.

Il volume d’affari ha raggiunto i 15,5 miliardi di euro, con un aumento del 5,2% rispetto all’anno precedente. Il reddito medio annuo per avvocato si attesta a 47.678 euro, con una variazione positiva del 6,8%.

L’aumento percentuale del reddito medio è maggiore di quello totale, in considerazione della diminuzione del numero degli avvocati.

Quanto alla distribuzione dei redditi, si confermano differenze notevoli, non soltanto fra uomini e donne, ma anche in relazione alla posizione geografica di svolgimento dell’attività e all’età. Le differenze di genere, quanto al reddito, restano notevolissime e sempre più inaccettabili: nel 2023 le avvocate hanno avuto un reddito medio pari a meno della metà di quello degli uomini avvocati, con una differenza di più di 30 mila euro. Si registra in continuità con i dati degli anni precedenti, una maggiore crescita del reddito delle avvocate (8,8%) rispetto a quello dei colleghi uomini (5,5%).

Il gap aumenta con il crescere dell’età: se gli avvocati sotto i trent’anni hanno un reddito rispetto alle colleghe della stessa classe di età mediamente di poco più di 2mila euro superiore, nella classe di età 60-64 anni la differenza supera i 44mila euro.

L’incremento reddituale maggiore tra il 2022 e il 2023 è avvenuto tra le avvocate e gli avvocati tra i 35 e 39 anni (11,9%) e per chi avesse un’età inferiore ai 30 anni (11,5%). Sono le avvocate con meno di 30 anni ad avere il reddito medio minore, mentre sono le avvocate della classe di età tra i 55 e 59 anni ad avere il reddito maggiore, con una differenza tra le due classi di 23.586 euro.

Per quanto riguarda gli uomini, gli incrementi di reddito più rilevanti sono rilevabili negli avvocati situati nella classe d’età inferiore ai 30 anni (9,7%) e in quella 40-44 anni (9,5%).

Anche in questo caso, sono gli avvocati con meno di 30 anni ad avere il reddito medio minore, mentre sono gli avvocati della classe di età tra i 60 e 64 anni ad avere il reddito maggiore, con una differenza tra le due classi di 65mila euro. Sia per gli uomini che per le donne, il livello del reddito medio, riferito al proprio genere, si riesce a raggiungere una volta superati i 50 anni.

Su 233mila iscritti, sono 77.862 gli avvocati che hanno percepito, nel 2023, un reddito superiore ai 35mila euro; in particolare, tra il 2022 e il 2023, sono cresciuti del 1,2% gli avvocati che hanno un reddito tra i 35mila e i 55.400 euro e del 2,2% i legali con un reddito compreso tra 55mila e i 115.650 euro.

Ampia è anche la distanza che separa, in media, i redditi di chi esercita la professione nel Nord del Paese e quelli di chi risiede nell’area meridionale. Rispetto al reddito medio, al Nord il valore risulta del 37,8% superiore, al Centro si riscontra una percentuale superiore dell’10%, al Sud del 38,3% inferiore. Gli estremi si registrano in Lombardia, regione a più alto reddito, in cui il reddito medio è pari al 170% di quello medio nazionale, e in Calabria, in cui è minore del 50%.

La crescita reddituale fra il 2022 e il 2023 appare maggiore fra le aree meridionali rispetto al resto del Paese: +8,4% nel Sud e Isole, +9,8% in Calabria.

In conclusione, può affermarsi che il reddito complessivo degli avvocati italiani ha registrato nel 2023 una crescita notevole rispetto al 2022 e che le differenze fra uomini e donne, avvocati settentrionali e meridionali, fra iscritti giovani e meno giovani, seppure assai significative, registrano un trend di diminuzione percentuale in qualche modo incoraggiante.

VI) LE SFIDE MAGGIORI PER IL FUTURO DEI REDDITI DEGLI AVVOCATI

Gli intervistati sono stati chiamati a rispondere sugli aspetti che influenzano maggiormente in senso negativo l’esercizio della professione.

Tra i fattori più critici, spiccano gli oneri amministrativi e fiscali, insieme all’elevata complessità burocratica che caratterizza il settore (35,3%); seguono il ritardo dei pagamenti (34,6%) e la sovrabbondante offerta di servizi legali a causa dell’alto numero di avvocati (30,1%).

Anche l’intelligenza artificiale è percepita come un fattore di rischio.

VII) IL QUADRO PREVIDENZIALE NELL’AVVOCATURA

Anche sul fronte pensionistico, inevitabilmente, si registra una notevole differenza fra uomini e donne: l’importo medio delle pensioni per gli uomini è pari a 37.792 euro, ben 13.825 euro in più dell’importo medio per le donne che invece è 23.967 euro.

Analoghi i risultati per quasi tutte le altre tipologie di pensione, seppur con una differenza meno accentuata; ciò vale per le totalizzazioni e i cumuli, le pensioni di invalidità e inabilità e le pensioni contributive.

Mostrano andamento opposto solamente le pensioni di riversibilità, le quali presentano importi maggiori per le donne (23.791 contro 19.755 euro), e le pensioni indirette (19.072 euro per le donne contro 16.929 euro per gli uomini).

VIII) LE NUOVE SFIDE E OPPORTUNITÀ PER L’AVVOCATURA

Altro argomento trattato dal rapporto 2025 riguarda la difficoltà degli avvocati di conciliare la vita professionale con quella personale e familiare.

Per il 63,4% degli avvocati è ancora molto o abbastanza difficile far conciliare la carriera forense con la vita personale; lo ritiene molto difficile il 17,1%, abbastanza difficile il 46,3%. Il 27,5% lo percepisce poco difficile, mentre meno di un avvocato su dieci afferma di non avere problemi nel trovare un adeguato bilanciamento fra professione e vita personale.

Anche qui i fattori età e genere assumono rilievo. Oltre il 70% degli avvocati con meno di 50 anni afferma di avere molta o abbastanza difficoltà a far combaciare questi due aspetti della vita, mentre questa percezione tende a calare al 59,3% per la fascia di età da 50 a 64 anni, per poi ulteriormente scendere al 42,6% tra chi ha più di 64 anni.

Un divario di genere emerge anche nella conciliazione della carriera forense con la vita personale. Nonostante i progressi della società verso una distribuzione più equa delle faccende domestiche e della cura delle persone fragili all’interno della famiglia, questi impegni ricadono ancora oggi in maggior misura sulle donne.

Non sorprende quindi che il 70,6% delle avvocate percepisca un equilibrio tra vita e lavoro molto o abbastanza difficile da ottenere, mentre per gli uomini il dato scende al 57%, marcando una differenza di 13,6 punti percentuali.

IX) L’AGGREGAZIONE TRA STUDI LEGALI

L’aggregazione tra studi legali rappresenta una possibile strategia per affrontare le sfide del mercato, incrementare la competitività e condividere risorse e competenze. Non si tratta, tuttavia, di una scelta particolarmente opzionata dagli avvocati italiani, ostacolata da resistenze culturali, operative ed economiche. Tra le principali ragioni che frenano l’aggregazione tra Avvocati, vi è la difficoltà nella determinazione della percentuale dei profitti tra i partner (35,7%). Criticità che si conferma trasversale alle diverse età.

Le incertezze sui costi e sull’investimento iniziale costituiscono un altro rilevante freno, indicato dal 29,2% degli avvocati. Segue il timore di perdere il rapporto personale con gli assistiti (25,8%), dato trasversale a tutte le età. Gli ostacoli fiscali (indicati dal 17,8% degli avvocati), appaiono più rilevanti tra i professionisti più giovani. Interessante il dato di coloro che dichiarano di non vedere vantaggi nell’aggregazione professionale, una percezione che cresce con l’età, che denota una maggiore apertura tra i giovani professionisti verso modelli associativi.

X) L’UTILIZZO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE NELLA PROFESSIONE Uno dei focus che caratterizza il Rapporto Cassa Forense Censis 2025 riguarda l’utilizzo di strumenti di Intelligenza Artificiale nel settore legale.

Come meglio vedremo in dettaglio, siamo in presentazione selettiva e da una serie di ragioni che ne limitano la diffusione. Il 27,5% degli avvocati dichiara di utilizzare l’IA nelle attività professionali quotidiane. L’uso riguarda soprattutto la ricerca giurisprudenziale e documentale (20%), quasi a sostituire le tradizionali banche dati. Più limitato è l’utilizzo nell’ambito della redazione e revisione di contratti e documenti legali (5,0%), nell’automazione delle attività amministrative interne (1,0%) e nell’analisi predittiva dei casi e nell’elaborazione di strategie legali (1,2%). La maggioranza degli avvocati (72,3%) non utilizza l’intelligenza artificiale per motivazioni molteplici: il 16,3% afferma di non conoscere o non saper utilizzare tali strumenti, mentre il 6,4% considera l’investimento iniziale troppo oneroso. Un dato significativo è rappresentato dal 31,7% di professionisti che, pur non utilizzando questi strumenti, sta considerando di adottarli nel prossimo futuro, segno di un interesse potenziale.

Solo il 17,0% non intende avvalersi dell’IA nemmeno in prospettiva futura. Guardando alle diverse fasce d’età, si percepisce un vero e proprio stacco generazionale: ad utilizzare l’IA sono il 37,4% degli avvocati con meno di 40 anni, dato che invece oscilla tra il 26,1% ed il 24,6% nelle altre fasce d’età, con una differenza di almeno 10 punti percentuali. Si riflette così una diversa familiarità con le tecnologie digitali, tipica delle generazioni più giovani, che hanno visto l’IA e l’innovazione tecnologica evolversi parallelamente alla loro formazione professionale. L’adozione dell’IA nel settore legale segue inoltre un evidente gradiente territoriale.

Il Nord-ovest si conferma l’area con la più alta percentuale di utilizzo (31,3%), seguito dal Nord-est (29,2%), dal Centro (28,1%), e con 6,6 punti percentuali di stacco dalla prima il Sud e isole (24,7%). A differenza di altri aspetti della professione, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale non mostra un divario di genere. Per quanto riguarda la percezione che gli avvocati hanno dell’impatto dell’IA sulla professione forense nei prossimi cinque anni, il 27,3% ritiene che l’intelligenza artificiale automatizzerà alcune attività amministrative e ripetitive, senza sostituire completamente il lavoro umano.

Un 25,8% prevede invece che l’IA trasformerà significativamente la professione, automatizzando funzioni che attualmente sono tradizionalmente svolte dagli avvocati.

Il 23,7% considera l’IA come uno strumento complementare, che offrirà supporto decisionale senza sostituire gli avvocati: molti professionisti vedono nell’IA una risorsa per migliorare l’efficacia delle decisioni legali, ma senza compromettere la centralità del giudizio umano. Un 9,8% ritiene che l’impatto dell’IA sarà minimo, con un ruolo marginale nella pratica legale.

XI) LE PAROLE DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE SULL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

I ricercatori del Censis hanno poi eseguito un interessante esperimento e cioè quello di interrogare proprio l’intelligenza artificiale sulle parole utilizzate dagli intervistati per esprimere le proprie opinioni in relazione al rapporto fra intelligenza artificiale e professione.

I risultati, ampiamente prevedibili, fanno riflettere. Questi i risultati che ha dato l’intelligenza artificiale che ha preso in esame le circa 500 risposte libere, raccolte a margine dalla domanda del questionario sull’impatto dell’applicazione della stessa IA.

In definitiva, si perviene a queste conclusioni: la maggior parte degli intervistati manifesta un atteggiamento critico nei confronti dell’IA, evidenziando forti riserve sull’affidabilità e sull’impatto a lungo termine sul settore legale, con un generale auspicio di utilizzare l’IA per migliorare l’efficienza senza compromettere la qualità e l’etica professionale.

Nel Rapporto 2025, un paragrafo è poi dedicato all’analisi di interviste rivolte a testimoni privilegiati, e cioè alcuni studi legali in cui l’adozione dell’IA è risultata piuttosto avanzata e l’esperienza di una legal tech, un’azienda di servizi direttamente impegnata nel fornire soluzioni tecnologiche per l’attività dei professionisti forensi.

XII) FOCUS TERRITORIALE: IL CRINALE GEOGRAFICO CHE CARATTERIZZA COMPORTAMENTI E DECISIONI DEGLI AVVOCATI

Un altro interessante argomento affrontato dal Rapporto è quello della distribuzione degli avvocati in base alla quota di fatturato riconducibile all’attività giudiziale e quella riconducibile all’attività stragiudiziale.

Partendo da un dato nazionale che vede prevalere significativamente la componente dell’attività giudiziale del fatturato, i ricercatori del Censis hanno esaminato le differenze riscontrabili sui diversi territori, giungendo, per esempio, alla verifica che in alcune regioni del Nord Italia (Lombardia e Trentino Alto Adige) vi è una leggera prevalenza del fatturato proveniente da attività stragiudiziale. Discorso inverso al Sud, dove la quota di fatturato da attività giudiziale arriva a superare il 60%.

Anche il regime fiscale adottato dagli avvocati italiani è differente a seconda del territorio in cui si opera. Dato peraltro facilmente intuibile, sol che si consideri che l’adozione di un regime fiscale quale il forfettario è destinato ad una platea di professionisti che non superano una certa quota di fatturato (prima 65.000 euro ora 85.000 euro).

Dal che consegue inevitabilmente, tenuto conto delle differenze reddituali già evidenziate innanzi, come il regime forfettario sia adottato in maniera preponderante al Sud (70% circa) con alcune ragione come Sicilia e Basilicata dove la percentuale supera il 76%. Al Nord, a fronte di una media nazionale del 66,4%, in alcune regioni si scende al 47% (Trentino Alto Adige) o al 56,3% (Lombardia). Più omogeneo sul territorio nazionale è, invece, il sentiment degli intervistati rispetto alla conciliazione fra vita professionale e vita familiare da parte degli avvocati. Infine, si registrano differenze territoriale per quanto attiene all’utilizzo dell’IA: solo poco più un quarto degli avvocati italiani dichiara di utilizzare le applicazioni IA (27,5%). Livelli superiori alla media nazionale si osservano, in particolare, in Lombardia, in Trentino-Alto Adige e in Friuli-Venezia Giulia. Le regioni dove è più estesa la componente di chi non accede alle applicazioni di IA sono la Puglia e la Sicilia.

XIII) L’ACCESSO ALLA PROFESSIONE FORENSE L’ultima tematica affrontata dal Rapporto 2025 riguarda l’accesso alla professione. Si tratta di un argomento che, come abbiamo accennato nella parte iniziale di queste riflessioni, desta sempre più preoccupazione, registrandosi una vera e propria caduta dell’appeal della professione forense.

Il tutto con comprensibili e critiche implicazioni anche di ordine previdenziale, oltre che di invecchiamento progressivo della professione. Il Rapporto 2025 esamina il problema, partendo dalle iscrizioni alla Facoltà di Giurisprudenza, evidenziando un calo di immatricolati: complessivamente, tra l’a.a. 2010/2011 e il 2023/2024 si è verificata una riduzione di oltre 10mila immatricolati: se nel 2010 questi erano 28.029, circa 50 diciannovenni su mille, nel 2023 il numero è sceso a 16.989 (su mille neodiplomati se ne sono iscritti quasi 30).

Una delle principali cause di questa emorragia è la complessità del percorso di studi, non solo per la notevole mole di studio, o per le lunghe tempistiche necessarie al conseguimento del titolo - con un elevato numero di studenti fuori corso - ma anche per le difficoltà di accesso al mondo del lavoro.

Altro fattore scoraggiante è rappresentato dallo scarso livello occupazionale dei professionisti forensi, unito a redditi mediamente bassi, soprattutto se confrontati con quelli offerti da altri percorsi magistrali. L’interpretazione più classica di questo fenomeno è che il mercato legale sia saturo, con un numero di laureati in Giurisprudenza superiore alla reale domanda.

Altra ipotesi da considerare però è che il problema non sia affatto legato al numero di laureati, quanto al numero di laureati non adeguatamente preparati ad inserirsi efficacemente nel settore professionale, a causa di un percorso di studi incentrato per lo più sullo studio mnemonico di norme e codici, e carente in attività dove sviluppare competenze pratiche.

L’esame di abilitazione alla professione forense costituisce un ulteriore fattore determinante nella scelta di intraprendere il percorso di studi in Giurisprudenza. A partire dall’emergenza Covid19, ci sono state diverse modifiche nelle modalità di svolgimento, che hanno causato variazioni anche sul tasso di successo. Nel 2019, i candidati all’esame, ancora svolto secondo la modalità tradizionale delle tre prove scritte, erano 22.199, di cui poco più di un terzo (8.229) è riuscito ad abilitarsi.

La modifica delle modalità di svolgimento dell’esame con la doppia prova orale e l’eliminazione della prova scritta ha comportato un notevole innalzamento del numero del tasso di successo passato al 52,7%. Nel 2023, il modello d’esame ha subìto un ulteriore cambiamento: è stata reinserita la prova scritta mantenendo comunque un solo orale.

Il numero di candidati è sceso sensibilmente: rispetto all’anno precedente, si sono registrate 4.692 presenze in meno. Il tasso di successo è invece rimasto pressoché simile ai due anni precedenti (46,2%), ma il bacino di abilitati è stato in assoluto il più basso della serie storica 2019-2023, essendo pari a 4.486.Ulteriore elemento preso in esame dallo studio del Censis riguarda il tempo che intercorre tra il conseguimento del titolo di laurea in Giurisprudenza e l’iscrizione all’ordine degli avvocati.

Le tempistiche risultano piuttosto dilatate: la fascia più numerosa è rappresentata da coloro che conseguono la laurea in un periodo compreso tra quattro e sei anni (34,2%), seguiti da chi impiega tra tre e quattro anni (28,2%); ancora minore è invece rappresentato da chi impiega sei o più anni (15,3%). I tempi sono variabili non solo a causa del tirocinio post-laurea, ma anche per via dell’esame stesso, che in Italia si configura come uno dei più complessi e selettivi a livello europeo.

A ciò si aggiunge che l’esame si svolge una volta l’anno, il che comporta un ulteriore ritardo per coloro che non riescono a superarlo al primo tentativo. Dopo l’iscrizione all’Albo, l’iter verso l’autonomia economica si rivela quasi sempre lungo e complesso. È stato chiesto agli avvocati quanto tempo fosse necessario per raggiungere un livello di reddito sufficiente a garantire l’indipendenza economica e soltanto il 19,8% degli avvocati riesce a raggiungerla entro i primi due anni di attività.

Un ulteriore 17,8% impiega tra tre e quattro anni, mentre il 21,8% raggiunge questo traguardo dopo un periodo compreso tra cinque e sei anni. 


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