{{elencoDettaglioArticolo.categoria}}

Prospettive di tutela economica, normativa e previdenziale dell’avvocato in regime di monocommittenza

{{elencoDettaglioArticolo.sottoTitolo}}

Alessandro Giuliani

1. La nozione di dipendenza economica, tradizionalmente legata al lavoro subordinato1 , pertanto etero-organizzato ed etero-diretto2 dal datore di lavoro3, che ne ha giustificato anche la speciale tutela apprestata dalla disciplina lavorista 4 , da tempo non è più estranea ad attività professionali tipicamente, sebbene non esclusivamente, caratterizzate dalla categoria classica dell’autonomia 5 , intesa nella logica del codice civile quale rapporto lavorativo «senza vincolo di subordinazione» 6 .

A fronte di un contesto produttivo e sociale marcatamente diverso 7 da quello nel quale è sorta ed è stata storicamente normata la distinzione tra lavoro autonomo e subordinato 8 , anche lo spazio che da sempre hanno occupato le cc.dd. professionali liberali è stato progressivamente eroso dalla tendenza a limitare il potere contrattuale del professionista, in favore di dinamiche per le quali la garanzia dell’affidamento di un certo numero di affari compenserebbe una drastica compressione della libertà di gestione ed organizzazione della propria attività 9 , così peraltro ponendo le basi per una vera e propria proletarizzazione di una parte non marginale del ceto professionale intellettuale.

Di tale evoluzione vi è ampia e ormai duratura testimonianza 10 anche nella professione forense 11 , soprattutto (ma non solo) nelle fasi iniziali delle carriere 12 , tanto che a più riprese, tra la scorsa e l’attuale legislatura 13 , si è proposto di introdurre una disciplina speciale per regolamentare la fattispecie dell’avvocato in regime di monocommittenza «nei riguardi di un altro avvocato o di un’associazione professionale o una società di avvocati» 14 , al fine di declinare una peculiare disciplina di tutela 15.

Per altro verso, la necessità di tale intervento normativo deriva dal condivisibile assunto per il quale, logicamente ed eticamente, ancor prima che giuridicamente, gli avvocati svolgono, per un connaturato compito istituzionale, la propria attività al fine di difendere e tutelare i diritti e gli interessi altrui, così che sarebbe inammissibile che gli stessi possano essere frustrati nella garanzia dei propri e relegati in un vero e proprio «limbo di indeterminatezza» 16 .

Una disciplina attenta a garantire le necessarie tutele economiche, normative e previdenziali è difatti funzionale a far sì che l’avvocato possa operare nel rispetto dei requisiti deontologicamente necessitati di «piena libertà 17, autonomia ed indipendenza».

D’altra parte, la necessità di prevedere uno speciale statuto protettivo nei confronti dell’avvocato che si trovi in una posizione di particolare debolezza contrattuale potrebbe farsi discendere anche dal ruolo riconosciuto nelle più recenti discipline legislative, che ne hanno valorizzato progressivamente sia una funzione latamente “pubblicistica” 18 , sia quella di vero e proprio cardine della c.d. “giurisdizione forense” 19 .

Non sfugge però che circoscrivere l’ambito di applicazione della normativa alle ipotesi di monocommittenza anzidetta lasci invece al di fuori del perimetro delle tutele minime essenziali 20 introdotte dalla proposta di legge i professionisti che si trovino in tale condizione nei confronti di altri soggetti (si pensi ad esempio al caso degli istituti assicurativi o di credito e più in generale agli avvocati in regime di convenzione con associazioni o imprese nel quale l’attività venga svolta in maniera anche solo prevalente nei confronti di tali soggetti) 21 .

2. La consapevolezza della situazione di ontologica debolezza dell’avvocato in regime di monocommittenza affiora nitidamente nella relazione introduttiva della proposta di legge in discorso, dove si evidenzia che il mercato della professione forense risente da un lato di alti costi di avviamento dell’attività e, dall’altro, dell’intrinseca difficoltà per l’avvocato appena abilitato di formarsi una clientela idonea a garantirgli una continuità reddituale.

Da ciò sarebbero discesi un «dumping professionale, con conseguente perdita di potere economico e contrattuale dei singoli avvocati, e la diffusione di forme di esercizio della professione ben lungi dal modello ideale della libera avvocatura» 22 .

Tale situazione avrebbe prodotto una specie di divaricazione del ceto forense, tra i “titolari di uno studio” da un lato e i “collaboratori” dall’altro, che a causa dei costi di esercizio della professione, della difficile garanzia di un reddito costante e certo, nonché della concorrenza al ribasso nel mercato per procurarsi una clientela, si troverebbero a dover mettere la propria competenza professionale a disposizione di un collega che abbia invece i mezzi per far fronte ai costi in maniera esclusiva e continuativa 23 .

Da tale situazione discenderebbe che i cc.dd. collaboratori vengono inseriti in una struttura etero-organizzata, tanto da essere tenuti a rispettare un determinato orario di lavoro e la turnazione feriale, non- ché da essere retribuiti mensilmente con un compenso forfetario fisso, così peraltro assumendogli oneri di una parasubordinazione di fatto 24 , senza le tutele di questa 25 .

Sennonché tale ibridazione tra una fattispecie formalmente sussumibile all’interno dello schema della collaborazione e la sostanziale presenza di un rapporto di lavoro astrattamente riconducibile nell’alveo della subordinazione renderebbe necessaria la predisposizione di una disciplina legale che di fronte al riconoscimento di una siffatta situazione di fatto ne agevoli la qualificazione sotto il profilo giuridico ed economico, riequilibrandone i profili di asimmetria.

In particolare, la proposta muove dal presupposto teorico secondo il quale la figura professionale dell’avvocato in regime di monocommittenza non sarebbe astrattamente inquadrabile, a legislazione invariata, nella tipologia dei rapporti giuridici attualmente normati. Ciò anche in considerazione dell’espressa esclusione dell’applicazione della disciplina del lavoro subordinato ex art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2015 26 alle «collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali», che peraltro si ritiene non osti alla possibilità di richiedere l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato anche qualora esso sia formalmente qualificato come autonomo o parasubordinato.

L’intervento si proporrebbe pertanto di dettare una disciplina speciale del rapporto di collaborazione professionale tra committente e collaboratore, mediante il riconoscimento di un sistema di garanzie a tutela degli avvocati monocommittenti, che esclude l’applicazione dei tipici istituti previsti dalla di- sciplina relativa al lavoro subordinato 27 .

3. L’art. 1 della proposta, nel definirne l’oggetto e l’ambito di applicazione, ammette che la collaborazione resa in regime di monocommittenza dall’avvocato, in via continuativa e prevalente, in favore di un altro avvocato (ovvero di un’associazione professionale o di una società tra avvocati)mediante corresponsione di un compenso con cadenza periodica, fisso o variabile, possa non essere riconducibile nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, così invero depotenziando la portata realmente innovativa della disciplina 28 .

Quest’ultima, nonostante l’espressa qualificazione legale all’interno dell’autonomia 29 , sembra in definitiva introdurre una ipotesi nuova di rapporto parasubordinato, tendenzialmente schermato da possibili sconfinamenti nel campo della subordinazione.

Il rischio che si coglie è che tale disposizione finisca per coprire, con una presunzione legale di autonomia, fattispecie dotate invece di caratteri tipici della subordinazione (monocommittenza, compenso fisso a cadenza periodica, continuatività e prevalenza della collaborazione, lavoro svolto nei locali e con l’utilizzo degli strumenti forniti dal committente30), così invero limitando la capacità protettiva della disciplina 31 .

Sennonché la previsione contenuta all’art. 2, che regolamenta la forma e il contenuto del contratto di collaborazione professionale tra l’avvocato in regime di monocommittenza e il committente, prevede l’obbligo di stipula di esso in forma scritta a pena di nullità 32 , mentre l’indicazione della durata del rapporto 33 , della disciplina sul compenso 34 e sul rimborso delle spese 35 ,del periodo di prova nonché del termine di preavviso 36 per l’esercizio del diritto di recesso 37 sarebbe prevista ad probationem 38, sebbene vengano previsti dalla fonte legale ulteriori obbligazioni in capo alle parti 39 .

4. La necessità di normare in maniera specifica la fattispecie viene condivisibilmente ritenuta utile sia nella prospettiva di assicurare a tali collaboratori possibilità di crescita sul piano professionale, con il correlato riconoscimento di un corrispettivo economico proporzionato al livello quantitativo e qualitativo del lavoro svolto, sia in quella di predisporre una tutela previdenziale congrua.

Inoltre, la logica di contemperamento tra diritti e obblighi a carico di entrambe le parti del rapporto sottesa alla disciplina proposta si porrebbe in rapporto di continuità con i princìpi cardine della professione individuati dalla Costituzione e dalla legge professionale forense.

Per altro verso, la soluzione normativa ipotizzata potrebbe condurre alla valorizzazione delle collaborazioni genuine, disincentivando invece l’utilizzo di partite IVA che simulano rapporti di lavoro nella sostanza subordinati.

In tal senso va letta la scelta di affiancare l’introduzione di un sistema di garanzie e tutele per l’avvocato in regime di monocommittenza all’assenza dell’obbligo di essere lavoratore subordinato, indirizzando al contrario le collaborazioni interprofessionali verso un rapporto di effettiva libera scelta tra due lavoratori autonomi.

Un elemento di innovazione è costituito dalla disciplina dettata nei casi di gravidanza, adozione, malattia e infortunio, per i quali l’art. 10 prevede che qualora l’indisponibilità si verifichi per un periodo non superiore a centottanta giorni il rapporto rimane sospeso 40, sebbene vi siano limiti e condizioni 41 e non vi sia il diritto al corrispettivo.

La peculiarità del rapporto in discorso trova un’ulteriore estrinsecazione nella disciplina contenuta all’art. 11, dove accanto alla previsione per la quale nell’erogazione del compenso il committente opera come sostituto d’imposta provvedendo alle ritenute fiscali secondo la normativa vigente in materia, si dispone che i compensi percepiti dall’avvocato in regime di monocommittenza, assoggettati a contribuzione previdenziali in favore della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, siano posti per un terzo a carico del committente e per due terzi a carico del collaboratore 42 .

Pertanto, accanto ad una previsione che connota tipicamente il rapporto di lavoro autonomo (obbligo di versamento della contribuzione in capo al prestatore d’opera), ve n’è un’altra che ne suggerisce un avvicina- mento alla categoria della parasubordinazione (la ripartizione tra le parti, pur prevalente sul collaboratore 43, dell’obbligo contributivo) ed un’altra ancora invece affatto speciale (l’esonero dal versamento del contributo integrativo), che potrebbe giustificarsi con il fatto che il reddito prodotto in uno o più affari è già sottoposto alla rivalsa sul cliente del committente.

Diversamente, con riferimento alla contribuzione soggettiva, essa è comunque dovuta in forza del rapporto di collaborazione, fornendo la principale risorsa ai fini dell’accumulo del montante contributivo del collaboratore.

D’altro canto, la nozione di congruità e proporzionalità del compenso costituisce sia una garanzia a tutela della (almeno) sufficienza del reddito prodotto attraverso la collaborazione, sia un parametro mediato ai fini del raggiungimento di livelli più cospicui di contribuzione, nell’ottica della necessaria adeguatezza del sistema previdenziale.

Si ritiene quindi che la proposta di legge in discorso abbia l’indubbio pregio di fornire un tentativo di risposta al bisogno di tutela espresso dalla parte socialmente e contrattualmente più debole della categoria forense, sebbene vengano offerte soluzioni non immuni da critiche, a partire dalla discutibile scelta di costruire la disciplina di protezione esclusivamente attorno al concetto di lavoro autonomo ex art. 2222 c.c. 44 , obliterando prospettive di tutela che potrebbero derivare da una di- versa e più pregnante impostazione della problematica della dipendenza economica45.

Più in generale, andrebbe forse maggiormente valorizzato il ruolo dell’avvocato come delineato dall’art. 359 c.p., che riconducendo la professione forense all’interno del servizio di pubblica necessità, potrebbe giustificare un circuito di approvvigionamento delle risorse a carico della collettività che, anche al di fuori dei casi ad oggi previsti come coperti dal gratuito patrocinio, assicuri all’avvocato di svolgere la propria attività con la garanzia di un trattamento congruo e dignitoso, a partire da quello retributivo e, conseguentemente, contributivo.


Note

Argomenti correlati

Categoria