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Che il principio di automaticità dei trattamenti previdenziali non sia operativo nei riguardi dei liberi professionisti iscritti alle Casse di riferimento, siano esse quelle cd. privatizzate di cui al d.lgs. n. 509 del 1994, attuativo delle previsioni dell’art. 1, commi 32 e 33, legge n. 537 del 1993, che quelle istituite ai sensi del d.lgs. n. 103 del 1996, attuativo della previsione dell’art. 2, comma 25, della legge 8 agosto 1995, è opinione consolidata sia in dottrina che in giurisprudenza.
Parrebbe, quindi, francamente poco utile continuare ad esplorare la questione. Tuttavia, non può passare inosservato che anche il sistema di sicurezza sociale risente degli effetti di riletture e di nuovi posizionamenti, in ordine a talune questioni di interesse centrale nel sistema delle tutele da riconoscere a chi lavora e che, per questa via, potrebbe non apparire scontata la soluzione tradizionalmente accettata. Per tale ragione, una ricognizione in termini attuali della ricostruzione accreditata è operazione utile e forse anche doverosa.
La riflessione, inoltre, pare ancor più significativa se il soggetto che la protezione deve assicurare è una Cassa professionale, soggetto per molti aspetti peculiare, sia quanto ad inquadramento strutturale tra i soggetti interni al sistema obbligatorio della previdenza, che quanto agli aspetti funzionali e gestionali.
Caratteri questi che costringono gli interpreti a complicati esercizi di coerenza, sempre in bilico tra la pretesa libertà negoziale (derivante dalla natura privatistica delle Casse) e gli innegabili e fortissimi condizionamenti che impone l’oggetto pubblico e di rilievo costituzionale affidato alla gestione delle Casse dall’art. 38, secondo comma. Cost. 2
Neppure può trascurarsi il rilievo della persona tutelata, perché il lavoro è tale a qualunque titolo venga prestato e di ciò la pandemia da COVID 19, che ancora persiste, ha dato piena contezza.
Si è evidenziato, in particolare, che proprio nell’ambito degli ammortizzatori sociali si è assistito ad un processo di parziale erosione delle barriere tra lavoro subordinato e autonomo, essendosi preso atto che i processi economici legati al post-fordismo hanno superato la centralità della posizione del lavoratore autonomo come attore dominante nel mercato del lavoro, specialmente se libero professionista.
Una prima considerazione, seguendo tale scopo della riflessione, porta a constatare che gli interventi normativi che hanno superato le tradizionali differenze nei trattamenti di protezione sociale, tra lavoratori subordinati e liberi professionisti, sono quelli relativi a prestazioni temporanee di sostegno al reddito o di diretto intervento dello Stato a copertura della contribuzione previdenziale dovuta con esonero del soggetto obbligato.
In particolare, la realtà che il legislatore dell’emergenza ha dovuto constatare è «frastagliata e costellata di fragilità economiche e contrattuali impensabili anche sol- tanto vent’anni fa». Già in favore dei collaboratori coordinati e continuativi, il decreto legislativo n. 22/2015 introdusse la DIS-COLL (articolo 15), sussidio di disoccupazione analogo alla NASpI, seppur di durata più breve, poi stabilizzato dall’articolo 7, legge n. 81/2017 (c.d. statuto del lavoro autonomo).
La reiterazione dei lockdown ha determinato l’adozione di una serie di interventi di sostegno al reddito una tantum per autonomi e professionisti e la sperimentazione dell’indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa (ISCRO) (articolo 1, comma 386 ss., legge n. 178/2020) e tra le misure dettate per mitigare i danni all’esercizio dell’attività professionale causati dalla pandemia vi è anche l’art. 1, comma 20 della legge 30/12/2020 n. 178, che ha previsto uno specifico fondo di un miliardo di euro (aumentato a 2,5 miliardi con D.L. n. 41/2021, convertito in legge n. 69/2021) dei contributi previdenziali dovuti per l’anno 2021 dai lavoratori autonomi iscritti all’INPS e dai professionisti iscritti alle Casse di Previdenza private di cui ai D. Lgs. 509/94 e 103/1996.
Si tratta, all’evidenza, di meccanismi normativi di tutela previdenziale che agiscono direttamente sulla posizione contributiva del lavoratore autonomo, anche professionista iscritto alla propria Cassa di riferimento, senza versamento della relativa contribuzione da parte dello stesso, ma che non possono accostarsi al meccanismo dell’automaticità di cui all’art. 2116, primo comma, cod. civ. Infatti, nel caso dell’esonero parziale si è in presenza di un beneficio concesso a domanda, finanziato da fondi statali e che poggia su determinati presupposti soggettivi ed oggettivi.
Significativamente, infatti, si parla di esonero, cioè di esclusione da responsabilità, intesa come conseguenza pregiudizievole connessa a quello che resta oggettivamente un inadempimento dell’obbligazione contributiva.
Altro aspetto di avanzamento della tradizionale diversità di tutela tra lavoro subordinato e lavoro autonomo/ professionale è quello degli istituti parentali del congedo e dell’indennità di maternità, che però si annovera nell’ambito delle misure assistenziali, per i quali il d.lgs. n. 80/2015 ha apportato talune modifiche alla normativa di supporto alla maternità e paternità nelle libere professioni che è oggetto delle disposizioni contenute negli artt. 70-73 del d.lgs. n. 151/2001.
Al di fuori di tali previsioni, certo peculiari, rimane poi l’area delle prestazioni pensionistiche per le quali, ovviamente, non può ipotizzarsi l’operatività di meccanismi di incondizionata omogeneità di trattamento tra categorie di lavoratori appartenenti a gestioni differenti.
Viene, qui, inevitabilmente in rilievo l’esistenza di diversificati regimi previdenziali, in ordine ai quali (da ultimo Corte Costituzionale n. 173 del 2018) si è affermato «che, pur in considerazione di un processo di convergenza dei rispettivi sistemi, la persistenza di «elementi di motivata diversità» (sentenza n. 148 del 2017) giustifica differenti regolazioni di aspetti e punti specifici […] la più rilevante differenza è oggettivamente costituita dalla struttura della contribuzione, correlata alle caratteristiche delle due tipologie di attività lavorativa: nel lavoro subordinato l’obbligo contributivo, col connesso versamento all’ente previdenziale, è riferito alla retribuzione, ed è distribuito tra datore di lavoro e lavoratore, con la conseguente applicazione del principio dell’automatismo di cui all’art. 2116 del codice civile, che tutela il lavoratore subordinato in caso di mancato versamento dei contributi da parte dell’obbligato; nel lavoro autonomo la contribuzione, correlata al reddito di impresa, è esclusivamente a carico del lavoratore interessato.
Ulteriori, e conseguenti, diversità fra i due sistemi in esame sono quelle […] costituite dalla presenza nel regime previdenziale del lavoro autonomo della “autodichiarazione” del reddito da parte dello stesso lavoratore, e dalla stessa discrezionalità del lavoratore autonomo di autodeterminarsi ai fini degli obblighi contributivi e dell’accesso alla prestazione pensionistica, configurandosi un rapporto diretto tra assicurato ed ente previdenziale».
Tale differenza strutturale, tuttavia, non giustifica qualsiasi diversità di disciplina, e la Corte Costituzionale ha giudicato nel caso irragionevole che il versamento di contributi correlati all’attività lavorativa prestata dopo il conseguimento del requisito per accedere alla pensione, anziché assolvere alla funzione fisiologica e naturale di incrementare il trattamento pensionistico, determini il paradossale effetto di ridurre l’entità della prestazione.
Anche la più recente giurisprudenza costituzionale, dunque, preso atto del regime differenziato del sistema previdenziale che si è realizzato nel nostro ordinamento con il mantenimento e la creazione di una pluralità di soggetti gestori (di cui il principio di automaticità delle prestazioni, descritto all’art. 2116 cod. civ., è indubbiamente peculiare espressione) utilizza lo strumento della concreta verifica della ragionevolezza della diversità della disciplina per procedere al sindacato di legittimità costituzionale, in tesi, posta in dubbio per la violazione innanzi tutto dell’art. 3 della Costituzione.
Il che equivale, ancora una volta, a dire che nessuna violazione del principio di parità di trattamento può scorgersi di per sé, nella pluralità dei sistemi di assicurazione obbligatoria, essendo affidato alla discrezionalità del legislatore il concreto atteggiarsi degli strumenti di protezione sociale necessari ad attuare il disposto del secondo comma dell’art. 38 Cost.
La trama logico ricostruttiva tracciata da Corte Cost. n. 374 del 1997 è quella secondo cui il principio espresso dall’art. 2116 del codice civile e ribadito, con riguardo alla assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, vecchiaia e superstiti, dall’art. 27, secondo comma, del r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636, come sostituito dall’art. 23-ter del d.l. 30 giugno 1972, n. 267, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1972, n. 485, va individuato nel valore derivante dal fatto che le prestazioni spettano al lavoratore anche quando i con- tributi dovuti non siano stati effettivamente versati.
Tale principio di “automaticità delle prestazioni”, con riguardo ai sistemi di previdenza e assistenza obbligatorie, trova applicazione – come si esprime l’art. 2116 cod. civ. – “salvo diverse disposizioni delle leggi speciali”: il che significa che potrebbe ritenersi sussistente una deroga rispetto ad esso solo in presenza di una esplicita disposizione in tal senso. Nella giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 9525 del 2002; n. 6340 del 2005; n. 23164 del 2007) si è consolidato il principio che l’automatismo delle prestazioni previdenziali non trova applicazione nel rapporto tra lavoratore autonomo (nella specie, libero professioni- sta) ed ente previdenziale, nel difetto di esplicite norme di legge (o di legittima fonte secondaria) che, eccezionalmente, dispongano in senso contrario.
Dunque, il mancato versamento dei contributi obbligatori impedisce, di regola, la stessa costituzione del rapporto previdenziale e, comunque, la maturazione del diritto alle prestazioni. Se ne è fatta applicazione, ad esempio, nella disciplina della Cassa Geometri affermandosi che il suddetto principio dell’automatismo delle prestazioni – proprio perché eccezionalmente previsto per la Cassa italiana di previdenza ed assistenza a favore dei geometri dall’art. 35 della legge 24 febbraio 1955, n. 990, poi abrogato dall’art. 43 della legge 4 febbraio 1967, n. 37 – non trova applicazione per le prestazioni che (come era avvenuto nella specie) non siano maturate nel periodo di vigenza (dal 1955 al 1967) dello stesso principio.
Senza dubbio, il meccanismo in parola costituisce una fondamentale garanzia per il lavoratore assicurato, in- tesa a non far ricadere su di lui il rischio di eventuali inadempimenti del datore di lavoro in ordine agli obblighi contributivi, e rappresenta perciò un logico corollario della finalità di protezione sociale inerente ai sistemi di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, ulteriormente rafforzata dall’attuazione di una direttiva comunitaria, attraverso la sua estensione al caso di obblighi contributivi non adempiuti e prescritti, gravanti su un datore di lavoro sottoposto a procedure fallimentari o di amministrazione straordinaria (art. 3 del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, recante “Attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro”).
Proprio l’ambito dell’insolvenza del datore di lavoro determina una maggiore espansione del principio e l’irrilevanza anche dell’eventuale prescrizione dell’obbligo contributivo sotteso alla prestazione, posto che si tratta di prestazioni il cui oggetto è l’erogazione di una prestazione a carico del Fondo di garanzia, quale soggetto destinato a sostituirsi al datore di lavoro per il pagamento del trattamento di fine rapporto (ex art. 2, l. n. 297/1982) e delle ultime retribuzioni (ex artt. 1 e 2, d.lgs. n. 80/1992, e successive modificazioni) dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore medesimo e la legge non prevede deroghe per effetto della prescrizione del contributo che finanzia il sistema (vd. Cass. 22 giugno 2017, n. 15589).
La nota giurisprudenza della Corte di cassazione formatasi sin dagli anni ottanta dello scorso secolo, sopra riportata nella consolidata versione testuale, ha preso spunto dalla citata affermazione della Corte Costituzionale n. 347 del 1997 ed ha, a propria volta, sostenuto che il principio dell’automatismo delle prestazioni previdenziali non trova, invece, applicazione nel rapporto fra lavoratore autonomo (e, segnatamente, libero professionista, come nella specie) ed ente previdenziale – nel difetto di esplicite norme di legge (o di legittima fonte secondaria), che eccezionalmente dispongano in senso contrario – con la conseguenza che il mancato versamento dei contributi obbligatori impedisce, di regola, la stessa costituzione del rapporto previdenziale e, comunque, la maturazione del diritto alle prestazioni (vedi, per tutte, Cass. n. 7602/2003, cit., 11869/95, 4149/88; con specifico riferimento a libero professionista, Cass. n. 18720/2004, 9525/2002, 4153/80, nonché 6340/2005, cit.).
Nè la prospettata diversità di trattamento – tra lavoratori dipendenti, appunto, e lavoratori autonomi (e, segnatamente, liberi professionisti, come nella specie) – si pone in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza (art. 3 Cost.) – anche sotto il profilo della ragionevolezza – in considerazione della diversità di situazione esistente tra lavoratore subordinato – al quale non possono essere, all’evidenza, imputate omissioni contributive del proprio datore di lavoro – e lavoratore autonomo (o, segnatamente, libero professionista, come nella specie), che – in dipendenza, appunto, della inapplicabilità del principio dell’automatismo – subisce soltanto le conseguenze pregiudizievoli dell’inadempimento di obbligazioni contributive a proprio carico (vedi, per tutte, Cass. n. 18720/2004, 7602/2003, 4153/80, 9408/2002, nonché 6340/2005, cit.).
Il principio è stato confermato da Corte di cassazione n. 11430 del 2021, secondo cui nelle collaborazioni coordinate e continuative, soggette al regime previdenziale della gestione separata Inps, l’obbligazione contributiva grava sul collaboratore, a cui favore l’art. 2, comma 30, l. n. 335 del 1995 dispone, con carico sul committente, l’accollo privativo ex lege nella misura di due terzi dell’importo dovuto all’ente previdenziale.
Nella gestione separata, in caso di omesso versamento dei contributi, non trova quindi applicazione il principio di automatismo delle prestazioni ex art. 2116, primo comma, cod. civ., in quanto sussiste un qualificato interesse del collaboratore all’integra- le adempimento dell’obbligazione contributiva e, in quanto debitore, ai sensi dell’art. 1236 c.c., gli va riconosciuta la facoltà di rinunciare all’effetto privativo dell’accollo, assumendo su di sé l’intero adempimento del debito contributivo.
Si è posta, dunque, in evidenza la vincolatività strutturale dell’obbligazione contributiva che non si differenzia, proprio per la concreta possibilità per il lavoratore di assumere si di sé l’adempimento dell’obbligo, da quella delle altre ipotesi di obbligazioni contributiva gravanti sul lavoratore autonomo.
Anche in questo caso, dunque, non si pone un problema di irragionevolezza in sé della mancata applicazione della regola dell’automaticità, proprio perché il lavoratore resta direttamente responsabile dell’inadempimento.
È proprio questo connotato centrale della struttura dell’obbligo contributivo, gravante sul lavoratore auto- nomo come sul libero professionista, che rileva anche al fine di non sospettare di illegittimità costituzionale l’art. 2116 c.c., primo comma. Il dubbio sulla ragionevolezza della previsione di legge, infatti, per quanto si è ripetutamente sopra osservato, non si determina per effetto della mera differenza di discipline strutturali dell’obbligazione contributiva, dal momento che non può elidersi, ragionevolmente, la conseguenza previdenziale negativa della condotta di chi è inadempiente rispetto all’obbligo stesso.
Restano, palesemente esterne ed estranee a tale ambito le diverse ed ulteriori ragioni sostenute da chi approva la tesi dell’applicazione analogica dell’art. 2116, primo comma, cod. civ. anche in favore dei lavoratori autonomi coordinati e continuativi. A ben vedere, si tratta di ragioni che, in sé considerate, esprimono rilevanti e condivisibili valutazioni di tipo sociale ed economico, sottese ad istanze di equità sostanziali che potrebbero addirittura essere estese ad una platea più ampia, ma che difficilmente possono divenire efficaci de iure condito.
Infatti, l’automaticità dei trattamenti previdenziali garantisce l’effettività della tutela previdenziale mediante il riconoscimento dell’efficacia della posizione contributiva corrispondente al lavoro prestato, anche se la stessa non poggia sul versamento dell’importo contributivo dovuto a causa dell’inadempimento del soggetto che vi era tenuto e che non è il titolare del rapporto previdenziale.
Si è sottolineato, 6 che l’art. 2116, primo comma, cod. civ. riferisce il c.d. principio di automaticità ai soli lavoratori subordinati, proprio in quanto i relativi adempimenti contributivi – dai quali, secondo la logica assicurativa “pura”, dovrebbe discendere il diritto alle prestazioni – sono a carico del datore di lavoro (art. 2115 cod. civ.). L’accesso alla tutela previdenziale viene concesso a prescindere dal regolare versamento dei contributi, in quanto l’ordinamento mette il soggetto protetto al ripa- ro dalle conseguenze di eventuali inadempimenti del terzo datore di lavoro, assicurando, così, un alto grado di effettività alla tutela medesima.
Tuttavia, si tratta di una tutela pur sempre vincolata alla incidenza delle porzioni di anzianità contributiva non cadute in prescrizione (ai sensi dell’art. 40 l. n. 153 del 1969), per cui si è correttamente osservato che più che di una automaticità di effetti giuridici conseguenti alla sola esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, si tratta di automaticità riferita alla costituzione del rapporto previdenziale e, quindi, di quello contributivo. Peraltro, proprio l’evidenza drammatica dell’esperienza pandemica ha forse definitivamente messo in luce il limite strutturale insito nello strumento prefigurato dall’art. 2116 c.c. ed alla ricostruzione della tutela previdenziale in termini puramente assicurativi.
La pandemia, in altri termini, ha dimostrato che l’obbligo dello Stato di fornire la protezione prevista dall’art. 38 Cost. prescinde dalla struttura soggettiva dell’obbligazione e dal principio di autoresponsabilità, e si lega a valutazioni discrezionali del legislatore che non si fondano certo sulla diversa natura giuridica del rapporto di lavoro sottostante. È, dunque, legittimo dissentire da chi ritiene chela regola esplicitata dall’art. 2116 c.c. avrebbe subito un vero e proprio processo di “costituzionalizzazione”, posto che l’effetto di evitare che le inadempienze dei datori di lavoro determinino conseguenze negative ai lavoratori incolpevoli costituirebbe la tutela apprestata anche dall’art. 38 Cost. 7 ; si è, anche in tempi assai recenti 8, affermato che l’automaticità delle prestazioni previdenziali si caratterizza per fondamento, sviluppo e coordinate costituzionali e da tale presupposto si è sviluppato un discorso ad ampio raggio attraverso il quale si propongono interpretazioni della regola ampliate anche a favore ad es. dei lavoratori iscritti alla gestione di cui all’art. 2, comma 26, l. n. 335 del 1995. Pare, tuttavia, che le legittime istanze di garanzia delle tutele sociali spettanti anche a tali lavoratori non possano essere soddisfatte attraverso l’utilizzo di strumenti estranei a tali fini e con ripercussioni di sistema non di poco conto. L’estensione della regola dell’automaticità delle prestazioni al di fuori dell’ambito del lavoro dipendente (che comunque vale nel raggio temporale della contribuzione non prescritta ex art. 40 l. n. 153 del 1969), infatti, comporta una incertezza immanente sul costo del finanziamento del sistema.
Tali considerazioni confermano, a parere di chi scrive, che l’esigenza di perseguire le finalità imposte dall’art. 38, secondo comma, Cost., pur avendo ovviamente un riferimento soggettivo esteso in via universale a tutti i lavoratori, deve trovare realizzazione mediante strumenti appropriati ed adeguati, che tengano conto delle peculiarità del sistema previdenziale italiano e dei concreti sistemi di finanziamento utilizzati dalle diverse tipologie di gestione.
Dunque, e ciò evidentemente non può non valere anche per i liberi professionisti iscritti alle Casse professionali di riferimento, non è predicabile un approccio interpretativo semplicemente mirato ad estensioni generalizzate di meccanismi interni ad un peculiare tipo di gestione. Come ribadito da Corte Cost. n. 7 del 2017, la gestione finanziaria delle Casse professionali, in attuazione del portato normativo del d.lgs. n. 509 del 1994, è ispirata dall’esigenza di percorrere una strada alternativa di tipo mutualistico rispetto alla soluzione «generalista» della previdenza dei dipendenti pubblici rappresentata dal sistema INPDAP, ora accorpato all’INPS. Tale alternativa consiste sostanzialmente nell’autonomia finanziaria comportante l’assoluto divieto di contribuzione da parte dello Stato, nonché la ricerca di equilibri di lungo periodo sul piano previdenziale, finanziario ed economico.
Al di fuori dall’ordinaria gestione finanziaria, si collocano, invece quegli eventi che la discrezionalità del legislatore ha ritenuto di porre a presupposto di interventi diretti a favore del lavoratore, anche libero professionista, quale l’esonero contributivo di cui si è sopra detto in ragione dell’evento pandemico. Resta, al momento, di rilievo singolare la vicenda che riguarda l’INPGI, che costituirà evidentemente, motivo di studio ed approfondimento in quanto dimostrativa, seppure in situazione estrema, della criticità intrinseca al sistema delineato dal d.lgs. n. 509 del 1994 che realizza un modello destinato a muoversi in bilico tra la gestione autonoma dell’attività demandata all’ente privato e l’estrema rilevanza pubblica della stessa attività.
Si è osservato, infatti, che 9, nell’ambito dei penetranti interventi disposti in relazione alla crisi dell’Istituto, già l’art. 193, d.l. n. 34, conv. l. n. 77 del 2020, aveva disposto che la cassa integrazione in deroga fosse pagata dall’INPS anche per i giornalisti dipendenti iscritti alla gestione sostitutiva dell’INPGI, con effetto di accredito della relativa contribuzione figurativa presso quest’ultimo Istituto, su finanziamento dell’INPS.
La legge di bilancio del 2021 (l. n. 178 del 2020) è quindi intervenuta, sia disponendo un ulteriore differimento, rispetto a quello già previsto dall’art. 192 del decreto n. 34, del termine «perentorio» imposto all’Istituto dall’art. 16-quinques, d.l. n. 34, conv. l. n. 58 del 2019, per la trasmissione ai Ministeri vigilanti del bilancio tecnico attuariale, da redigere tenendo conto delle misure di riforma del regime previdenziale, adottate per assicurarne la sostenibilità economico-finanziaria nel medio e lungo periodo, che disponendo una massiccia fiscalizzazione degli oneri sociali.
Da ultimo, la legge di Bilancio 2021 ha stabilito che dal 1° luglio 2022 la gestione sostitutiva dell’INPGI passerà all’INPS, così ponendosi termine a tale tipo di gestione. In conclusione, de iure condito, non si scorgono elementi di novità normativa, tali, per portata e consapevolezza, da indurre a ritenere che il sistema del diritto vivente sin qui consolidatosi possa subire radicali sovvertimenti, fermo restando che la concreta esperienza e l’urgente indifferibilità di protezione imposta dall’art. 38 della Costituzione fungono da presupposti evidenti dell’ampia discrezionalità di cui gode il legislatore nell’apprestare gli strumenti, volta per volta, ritenuti adeguati.
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