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Prestazioni previdenziali e assistenziali e ricorso straordinario al Capo dello Stato: questioni di ammissibilità

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Silvia Caporossi

I provvedimenti adottati dalla Cassa in materia previdenziale e assistenziale sono stati talvolta oggetto di impugnazione mediante ricorso straordinario al Capo dello Stato. Il presente lavoro, dunque, mira a chiarire i limiti entro cui detto rimedio è esperibile nei confronti di atti aventi ad oggetto prestazioni di tal genere. Innanzitutto, giova rammentare che il ricorso straordinario al Capo dello Stato, disciplinato dal D.P.R. n. 1199/1971, si configura quale rimedio alternativo a quello giurisdizionale, soggetto a declaratoria di inammissibilità se proposto in pendenza di un giudizio instaurato dal medesimo ricorrente e avente ad oggetto la stessa .

La ratio di tale divieto risiede «nell’evitare l’inutile proliferazione dei ricorsi [connotati dall’obiettiva identità del petitum e della causa petendi] ed il pericolo di pronunce contrastanti di organi appartenenti allo stesso ramo di giustizia».

In secondo luogo, si precisa che l’ammissibilità del ricorso straordinario è subordinata a due preliminari condizioni, rappresentate dalla devoluzione della materia controversa alla giurisdizione amministrativa, ai sensi dell’art. 7 D.lgs. 104/2010 (c.d. Codice del processo amministrativo), e dal carattere definitivo del provvedimento impugnato, avverso il quale deve già essere stato esperito il ricorso gerarchico, come previsto dall’art. 8, comma 1, D.P.R. 1199/1971.

Incidentalmente, si coglie l’occasione per fare menzione – limitandoci a qualche breve cenno – del contrasto sviluppatosi in seno a giurisprudenza e dottrina in merito alla natura del ricorso al Capo dello Stato. In proposito, si reputa sufficiente rammentare – senza ripercorrere i vari orientamenti che si sono sul punto registrati – che, prima delle riforme introdotte dalla L. 69/2009 e dal Codice del processo amministrativo (D.lgs. 104/2010), l’impostazione prevalente riconosceva al rimedio in questione natura amministrativa, seppur connotata da elementi di specialità, trattandosi di uno strumento finalizzato ad assicurare la risoluzione non giurisdizionale di controversie sorte in sede amministrativa.

L’attribuzione del carattere della vincolatività al parere emesso dal Consiglio di Stato e l’espressa previsione della possibilità di sollevare, in sede consultiva, questioni di legittimità costituzionale, hanno tuttavia «modificato l’antico ricorso amministrativo, trasformandolo in un rimedio giustiziale, che è sostanzialmente assimilabile ad un “giudizio”, quantomeno ai fini dell’applicazione dell’art. 1 della legge cost. n. 1 del 1948 e dell’art. 23 della legge n. 87 del 19536 […] Per effetto di queste modifiche, l’istituto ha perduto la propria connotazione puramente amministrativa ed ha assunto la qualità di rimedio giustiziale amministrativo, con caratteristiche strutturali e funzionali in parte assimilabili a quelle tipiche del processo amministrativo».

Ulteriore conferma della mutata natura del ricorso straordinario si rinviene nella nuova formulazione dell’art. 48 D.lgs. 104/2010 (c.d. Codice del processo amministrativo), nel quale è precisata, in termini di maggior rigore e di accentuato parallelismo, la regola dell’alternatività tra ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e ricorso ordinario al giudice amministrativo, riconoscendo la facoltà di opposizione di cui all’art. 10 D.P.R. 1199/1971 in favore di tutte le parti nei cui confronti sia stato proposto il ricorso straordinario.

Parimenti, l’art. 7 del medesimo codice – come già sopra precisato – è stato modificato nel senso di circoscrivere l’ammissibilità del suddetto rimedio alle sole materie devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo.

In precedenza, la predicata natura amministrativa del ricorso al Capo dello Stato induceva a ritenere esperibile detto rimedio anche nelle controversie spettanti alla cognizione del giudice ordinario, in regime di concorrenza e non di alternatività con tale giurisdizione. Nel nuovo contesto normativo, una siffatta concorrenza si tradurrebbe in una inammissibile sovrapposizione fra un rimedio giurisdizionale ordinario e un rimedio giustiziale amministrativo, alternativo altresì rispetto al ricorso giudiziale amministrativo, con il quale condivide solo alcuni tratti strutturali e funzionali.

In proposito, appare opportuno precisare che, all’indomani delle suindicate riforme legislative, la giurisprudenza maggioritaria tendeva a riconoscere natura giurisdizionale al ricorso straordinario, in quanto in grado di assicurare un livello di tutela non inferiore a quello garantito dall’azione esperibile in sede giudiziale. «Dalla premessa della qualificazione del decreto decisorio che definisce la procedura innescata dalla proposizione del ricorso straordinario come decisione di giustizia avente natura sostanzialmente giurisdizionale, si trae il duplice corollario dell’ammissibilità del ricorso per ottemperanza al fine di assicurare l’esecuzione del decreto presidenziale e del radicamento della competenza in unico grado del Consiglio di Stato alla stregua del combinato disposto dell’art. 112, comma 2, lettera b), e 113, comma 1 , del codice del processo amministrativo».

Ciononostante, l’opinione ad oggi prevalente riconosce al rimedio in discussione carattere sui generis, né amministrativo né giurisdizionale, bensì giustiziale, esercizio di quella funzione con cui le amministrazioni risolvono, senza ricorrere al giudice, i conflitti insorti tra le stesse o tra le amministrazioni medesime e i privati. «La funzione giustiziale, così succintamente descritta, si colloca, dunque, tra l’amministrazione e la giurisdizione e trova una base normativa anche nella Costituzione, là dove l’art. 117 della Carta, nel secondo comma, alla lettera l), nell’elencare le materie di legislazione esclusiva dello Stato, tiene distinta quella della “giurisdizione e norme processuali” dalla “giustizia amministrativa”».

Da quanto sopra, si evince che la funzione giustiziale presenta carattere ibrido, condividendo con la giurisdizione il medesimo scopo – vale a dire la risoluzione deiconflitti – e alcuni tratti strutturali (come il contrad- 19 dittorio, l’attivazione a istanza di parte, la più o meno accentuata indipendenza del decidente, ecc.), ma rimanendo, ciononostante, un’attività propria dell’amministrazione.

Ciò posto, venendo alla valutazione dell’esperibilità del ricorso straordinario al Capo dello Stato avverso i provvedimenti aventi ad oggetto prestazioni di natura previdenziale e assistenziale erogate dalla Cassa, si rileva che, in ordine alla determinazione della giurisdizione in capo al giudice ordinario o amministrativo, occorre avere riguardo alla natura, discrezionale o vincolata, delle suddette prestazioni, dovendosi qualificare in termini di interesse legittimo la situazione giuridica soggettiva collegata all’esercizio di una potestà amministrativa finalizzata alla tutela diretta ed immediata di un interesse pubblico, e in termini di diritto soggettivo la posizione giuridica di vantaggio riconosciuta al privato da norme che pongono a carico dell’Ente obblighi a garanzia di interessi individuali.

In proposito, si rileva che la giurisprudenza è unanime nell’affermare che il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo – seppur nella diversa materia della concessione e della revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche – «deve essere deciso ricorrendo al criterio della situazione soggettiva per la tutela della quale si agisce in giudizio, con la conseguenza, pertanto, che: a) sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, senza che alla Pubblica Amministrazione sia demandato compito diverso dalla mera verifica dell’effettiva esistenza dei relativi presupposti, non potendo l’Autorità amministrativa all’uopo deputata, dunque, esercitare alcuna discrezionalità in ordine all’an, al quid o al quomodo dell’erogazione».

Ebbene, con riferimento alla quasi totalità dei provvedimenti emessi dalla Cassa in materia previdenziale e assistenziale, la giurisdizione spetta non al giudice amministrativo, bensì all’autorità giudiziaria ordinaria in funzione di giudice del lavoro, posto che viene qui a configurarsi una posizione di diritto soggettivo e non di interesse legittimo. Di contro, laddove si riscontrasse la titolarità di una posizione di interesse legittimo, la cognizione della controversia sarebbe indubbiamente attratta alla giurisdizione amministrazione.

Trattasi, in buona sostanza, di diritti di natura previdenziale e assistenziale, volti ad assicurare supporto agli iscritti nell’esercizio della professione e successivamente ad essa. La competenza, quindi, è regolata dall’art. 442 c.p.c. e la giurisdizione spetta al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro e dell’assistenza sociale.

Ciò posto, per quanto attiene alla seconda delle suindicate condizioni di ammissibilità, si rileva che, potendo il ricorso straordinario al Capo dello Stato essere esperito solo “contro gli atti amministrativi definitivi”, qualora non si sia provveduto all’impugnativa in sede gerarchica dell’atto non definitivo, l’eventuale rimediostraordinario deve essere dichiarato inammissibile.

Infatti, con l’espressione “atti amministrativi definitivi” si intendono «i provvedimenti contro i quali non è previsto o è già stato esperito il ricorso amministrativo ordinario. I provvedimenti contro i quali è possibile esperire ricorso gerarchico […] non sono, per definizione, definitivi, diventandolo solo all’esito della decisione del ricorso gerarchico […] o una volta trascorsi 90 giorni dalla presentazione del ricorso».

Per quanto concerne il regime impugnatorio dei provvedimenti emessi dalla Cassa, l’art. 23 dello Statuto introduce un rimedio gerarchico, prevedendo la possibilità di presentare reclamo al Consiglio di Amministrazione avverso le delibere della Giunta Esecutiva, nel termine di trenta giorni dalla comunicazione dell’atto lesivo. Parimenti, nei confronti dei provvedimenti adottati dagli uffici dell’Ente il riesame è riservato alla Giunta Esecutiva.

Pertanto, il ricorso straordinario al Capo dello Stato contro un provvedimento della Cassa sarebbe, in linea teorica, ammissibile, sul presupposto che si discorra di situazioni di interesse legittimo, esclusivamente dopo che sia stato presentato reclamo al Consiglio di Amministrazione, in quanto soltanto una volta che l’organo gerarchicamente superiore ha provveduto ad un ulteriore riesame della richiesta di ammissione alla prestazione, il provvedimento di rigetto può ritenersi definitivo.

Né tali conclusioni possono dirsi superate dall’infruttuoso decorso dei termini per proporre reclamo, «essendo richiesto, ai fini del sopravvenire del carattere della definitività, il verificarsi di nuove e diverse situazioni costituite o da una valutazione ulteriore da parte dell’organo sovraordinato a quello che ha emesso l’atto impugnato, ovvero dalla formazione del silenzio-rigetto attraverso il decorso del tempo, situazioni che, tuttavia, presuppongono in ogni caso l’iniziativa del soggetto interessato attraverso l’impugnativa gerarchica».

Peraltro, muovendo dalla conclusione precedentemente esposta in merito alla sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, giova rilevare che la previa pro-posizione del reclamo al Consiglio di Amministrazione o alla Giunta Esecutiva costituisce anche condizione di procedibilità – e non di ammissibilità – del ricorso giurisdizionale proposto avverso un provvedimento adottato dalla Cassa in materia di prestazioni previdenziali e assistenziali obbligatorie, ai sensi dell’art. 443 c.p.c. Dunque, si rappresenta che, nel caso in cui il professionista decida di esperire il ricorso giurisdizionale avverso un provvedimento avente ad oggetto diritti di natura previdenziale o assistenziale, il ricorrente è in ogni caso onerato di proporre previamente reclamo, con la conseguenza che, in difetto, il giudice è tenuto a disporre la sospensione del giudizio, al fine di consentire la presentazione del rimedio amministrativo interno e la riassunzione del giudizio in un termine perentorio dalla cessazione della causa di sospensione.

Da quanto sopra, emerge che il previo esperimento del ricorso gerarchico costituisce sia condizione di procedibilità che di ammissibilità, rispettivamente, del ricorso straordinario al Capo dello Stato e del ricorso giurisdizionale al giudice ordinario.

Traendo, dunque, le conclusioni della breve disamina sopra esposta, si rileva che il ricorso straordinario al Capo dello Stato, sottoposto ad una duplice condizione di ammissibilità, risulta proponibile esclusivamente nei confronti di quegli atti che, oltre ad essere definitivi, siano rimessi alla giurisdizione del giudice amministrativo, con conseguente possibile esclusione, per quanto qui di nostro interesse, dei provvedimenti adottati in materia previdenziale e assistenziale.


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