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1. - La linea evolutiva della legislazione in materia di tutela dei diritti sociali e del lavoro è ormai improntata, da oltreventi anni a questa parte (fatta eccezione per la presente legislatura che, per certi versi, ha sancito una parziale inversione di tendenza), alla progressiva erosione degli spazi di protezione sostanziale e processuale in favore del lavoratore ovvero del cittadino in condizioni di bisogno.
In tale prospettiva possono essere letti, sotto il profilo della disciplina sostanziale, gli interventi normativi che hanno gradualmente sancito la “fuga” dal lavoro subordinato e l’approdo a varie tipologie di lavoro flessibile, caratterizzate da livelli di tutela ridotti rispetto all’archetipo del lavoro subordinato a tempo indeterminato, nonché il tendenziale superamento della tutela reintegratoria in caso di illegittimità del licenziamento irrogato da un datore di lavoro assoggettato al regime di stabilità reale.
Dal lato della tutela giurisdizionale, tale linea di sviluppopuò essere rinvenuta nella previsione di termini decadenziali via via ridotti per il lavoratore che voglia agire in giudizio nonché nel parziale superamento della gratuità del processo del lavoro e della sicurezza sociale. In realtà, se è vero che l’accesso alla giustizia del lavoro continua ad essere esente da oneri (marche da bollo, spese di notifica, imposta di registro)ulteriori rispetto al compenso del proprio difensore, l’esenzione dal pagamento del contributo unificato dovuto per il deposito del ricorso giudiziale è ancora prevista per tutti coloro che, congiuntamente con i familiari conviventi, non superino la soglia di reddito pari a tre volte il limite reddituale previsto per l’accesso al gratuito patrocinio. Oltre a ciò, nei giudizi relativi a prestazioni assistenziali e previdenziali, il ricorrente va esente dal pagamento delle spese di lite in caso di soccombenza qualora non superi il limite pari a duevolte la soglia reddituale per l’accesso al gratuito patrocinio.
A tale quadro faceva eccezione il giudizio davanti alla Corte di cassazione, per il quale l’esenzione dal pagamento del contributo unificato non era prevista, a prescindere dall’ammontare del reddito. Ciò evidentemente ha costituito un importante vulnus all’esercizio del diritto di difesa, se si considerano gli importi particolarmente elevati del suddetto contributo, che pertanto hanno sovente finito per disincentivare i ricorrenti economicamente e socialmente più deboli dalla proposizione del ricorso.
2. - Sennonché, un contenzioso amministrativo instaurato da varie sigle sindacali ha condotto alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. quarta, 22 maggio 2019, n. 3298, che riapre –finalmente– spazi di tutela, questa volta sotto il profilo del diritto all’esenzione del pagamento del contributo unificato anche nel giudizio di cassazione per i soggetti percettori di redditi non superiori al limite di legge.
Dapprima,con la sentenza n. 211/2014 il TAR Lazio aveva respintoil ricorso proposto dalla Cgil Camera del Lavoro Metropolitana di Milano e Provinciale di Torino, nonché dall’Unione Sindacale Territoriale Cisl di Milano edi Torino, con il quale si chiedeva l’annullamento della Circolare n. 65934 dell’11 maggio 2012 del Ministero della Giustizia con riferimento al “contributo unificato - disposizioni introdotte con l'art. 37 del D.L. 6 luglio 2011 n. 98 convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111 ed art. 28 legge n. 183 del 12 novembre 2011”.
In particolare, le organizzazioni sindacali originarie ricorrenti avevano prospettato censure di violazione di legge,in relazione agli artt. 3 e 97 Cost.,nonché eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità ed ingiustizia manifesta; inoltre, in via subordinata,era stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 comma 1-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, qualora fosse stato inteso nel senso che la soglia di reddito ivi prevista per l'esenzione dal contributo unificato fosse riferita“alla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l'istante” (art. 76,comma 2, d.P.R. n. 115 del 2002), in relazione al combinato disposto degli artt. 3, 4, 24, 35 e ss. e 53 Cost. Dal canto suo,il Ministero della Giustizia si era costituito in giudizio eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo e chiedendo il rigetto nel merito del gravame in quanto infondato.
La sentenza di primo grado statuiva quindi che, ritenuta la giurisdizione del giudice amministrativo,essendo l’oggetto del contenzioso un atto amministrativo generale, che dettava norme per l’applicazione del contributo unificato per l’iscrizione a ruolo da parte degli uffici giudiziari, andassero confermate le argomentazioni già fatte proprie dal medesimo TAR con la sentenza n. 7284 del 18 luglio 2013.
In particolare,il TAR riteneva, sulla base di una interpretazione letterale delle disposizioni richiamate, che non potesse essere accolta la tesi delle ricorrenti secondo la quale il richiamo operato dal comma 1-bis dell’art. 9 del d.P.R. 115/2002 all’art. 76 dello stesso d.P.R. ai fini dell’individuazione dei soggetti esenti dal contributo unificato nella proposizione di controversie di previdenza e assistenza obbligatorie, nonché per quelle individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego, dovesse essere limitato allo stesso art. 76, comma 1.
In sostanza, nell’individuazione del reddito ai fini della debenza del contributo unificato in materia di lavoro o sicurezza sociale, secondo il Giudice di primo grado si sarebbe dovuto far riferimento al reddito complessivo del nucleo familiare, in considerazione del fatto che l’art. 76 comma 4 del d.P.R. 115/2002,con riferimento all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, stabiliva che del solo reddito personale si tiene conto quando la causa ha ad oggetto diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi.
Infine, veniva rigettata, in quanto manifestamente infondata, la questione di costituzionalità sollevata in relazione all’art. 9, comma 1-bis del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dal momento che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale (cfr., tra tante, Corte Cost., 21 gennaio 1988, n. 73; 13 aprile 1977, n. 63, ma anche Corte di Giustizia UE, IV, 18 marzo 2010) l'art. 24 Cost. non vieterebbe che la legge possa subordinare l'esercizio dei diritti a condizioni, purché non vengano imposti oneri o modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l'esercizio del diritto di difesa ovvero lo svolgimento dell'attività processuale. D’altro canto,tali ipotesi non venivano ritenute sussistenti nel caso in esame, dal momento che la normativa “riformatrice”, mediante il richiamo a un meccanismo già previsto dall’ordinamento e mediante l’apposizione di una soglia numerica di esenzione e del coevo meccanismo per determinare tale soglia, intendeva equilibrare l’introduzione del contributo unificato anche per le controversie di lavoro, contemperando le ragioni “erariali” con la tutela di diritti fondamentali dell’individuo, che imponevano l’esenzione dal pagamento di detto contributo per fasce di reddito ben determinate, secondo un sistema già consolidato proprio nell’ambito della materia delle spese di giustizia (cfr. Tar Lazio, sez. I, 18 luglio 2013, n. 7284).
3. - Avverso tale sentenza veniva proposta impugnazione da parte delle organizzazioni sindacali ricorrenti, che riproponevano le censure già articolate in primo grado, in particolare con riferimento al fatto che non esisterebbe alcuna forma di esenzione dal versamento del contributo unificato - a prescindere da ogni soglia di reddito - nei processi innanzi alla Suprema Corte di Cassazione.
I ricorrenti affermavano inoltre che l’interpretazione del dato normativo primario contenuta nella circolare impugnata fosse inesatta e che la disciplina sul contributo unificato potesse essere interpretata in senso diverso, in via costituzionalmente orientata;reiteravano altresì in via subordinata la richiesta di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1-bis del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, sostenendo che, se mai si fosse ritenuta esatta l’interpretazione del dato normativo primario contenuta nella circolare impugnata, ne sarebbe dovuta discendere la non manifesta infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale incidente sulla disposizione anzidetta.
La sentenza in commento ha quindi ritenuto l’appello parzialmente fondato e ha conseguentemente riformato in parte la decisione impugnata, accogliendo il ricorso di primo grado nella parte in cui censura le determinazioni contenute nell’impugnata circolare, relative al calcolo del contributo unificato, nei giudizi di Cassazione, confermandone per il resto il rigetto. Con specifico riferimento alla questione sollevata dalle appellanti relativamente all’esenzione dal pagamento del contributo unificato nei processi dinanzi alla Corte di cassazione in pretesa attuazione dell’ultima parte dell’art. 9 comma 1-bis citato, essa è stata invece dichiarata fondata; sebbene la lettera della norma presti il fianco a interpretazioni diverse,il Consiglio di Stato ha ritenuto particolarmente persuasiva la tesi ricorrente, che è stata pertanto accolta.
Ed infatti, anche se l’interpretazione contenuta nella circolare di tale specifica disposizione concernente il giudizio di cassazione potrebbe trovare fondamento in una politica legislativa che vorrebbe disincentivare il contenzioso in generale, ed in particolare con riferimento al giudizio di legittimità, di fronte al fatto che nel caso del giudizio innanzi alla Corte di Cassazione la misura “base” sia individuabile all'articolo 13, comma 1, non può affermarsi che ciò implichi in radice l’esclusione dalla esenzione. D’altra parte, qualora il legislatore avesse voluto prevedere che nel giudizio di cassazione sarebbe sempre dovuto il versamento del contributo unificato, una norma siffatta avrebbe dovuto essere strutturata in maniera autonoma e a sé stante, mediante una disposizione che rientrasse all’interno della prescrizione “madre” concernente l’esenzione.
Secondo tale ricostruzione sistematica, il Consiglio di Stato è quindi giunto a ritenere ragionevole che, nei processi per controversie di previdenza ed assistenza obbligatorie, nonché per quelle individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego, l’esenzione disposta a favore della parte che sia titolare di un reddito inferiore a tre volte l’importo previsto dall’articolo 76 debba restare ferma, anche per i giudizi in Cassazione. In tale ottica, il richiamo all’art. 13 comma 1 avrebbe esclusivamente il significato di indicare l’ammontare della prestazione dovuta dalle parti che siano titolari di un reddito eccedente tale soglia. L’appello è stato quindi dichiarato parzialmente fondato e ritenuto meritevole di parziale accoglimento, unicamente nella parte in cui censura le determinazioni contenute nell’impugnata circolare relative al calcolo del contributo unificato, nei giudizi di Cassazione; in parziale riforma dell’impugnata decisione, con conseguente accoglimento del ricorso di primo grado e il discendente annullamento in parte qua della circolare impugnata, cioè con riferimento alle determinazioni relative al calcolo del contributo unificato, nei giudizi di Cassazione.
4. -La sentenza commentata appare pertanto di indubbio interesse in quanto, sulla scorta di argomentazioni di natura al contempo sistematica e letterale della disciplina, conduce al risultato di riaprire importanti spazi di gratuità del processo per i soggetti meno abbienti, anche nell’ambito del giudizio di legittimità.
Tale arresto fa per certi versi il paio con la pronuncia della Corte costituzionale n. 77 del 2018, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 92 comma 2 cpc come modificato dal d.l. n. 132 del 2014, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, non solo in ipotesi di soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, ma anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni. Ed infatti, la compresenza nel nostro ordinamento di un assetto normativo che, con riferimento al processo del lavoro e della sicurezza sociale, negava da un lato il diritto all’esenzione dal pagamento del contributo unificato nel giudizio di cassazione anche per i soggetti economicamente più deboli e che restringeva in maniera rigida e predeterminata le ipotesi di compensazione delle spese a fronte della soccombenza in giudizio, costituiva un grave impedimento alla proposizione dell’azione giudiziale da parte del lavoratore ovvero della persona che volesse far valere in giudizio un diritto sociale.
Con i due arresti pocanzi citati si riaprono invece astrattamente nuove possibilità di tutela giudiziale, sebbene la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 92, comma 2,cpc rimetta la decisione sulla compensazione delle spese nelle ipotesi di sussistenza delle “analoghe gravi ed eccezionali ragioni” alla discrezionalità del giudice e la “ritrovata” esenzione del giudizio di cassazione in materia sociale e del lavoro riguardi soltanto le persone con redditi inferiori alle soglie di legge.
Si tratta pertanto di un contesto normativo nel quale è ancora evidente la compressione del diritto di agire giudizialmente per la tutela dei diritti sociali rispetto alla disciplina precedente all’introduzione del contributo unificato e alla riscrittura dell’art. 92 cpc, ma al contempo non può tacersi come l’ordinamento, mediante l’intervento sia della giustizia amministrativa che di quella costituzionale, sia riuscito a “correggere” il tiro di una legislazione eccessivamente sbilanciata a disincentivare il contenzioso e alle esigenze di garantire ulteriori entrate erariali, ma sempre meno attenta alla garanzia in sede processuale dei diritti sostanziali in materia sociale e del lavoro.
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