{{elencoDettaglioArticolo.categoria}}

La tutela della salute e sicurezza negli studi professionali: oltre la proposta di semplificazione

{{elencoDettaglioArticolo.sottoTitolo}}

Anna Rota

1. Gli studi professionali nel sistema normativo della prevenzione

Attorno al tema della tutela della salute e sicurezza negli ambienti di lavoro si sviluppa un composito ed articolato sistema regolativo che nel d.lgs. n. 81/2008 trova il suo principale, ma non esclusivo, riferimento.

Qui si rinviene il più corposo dei provvedimenti legislativi che in materia anti-infortunistica dettaglia ed integra la previsione dell’art. 2087 cod. civ. Ai sensi della disposizione codicistica, l’imprenditore deve adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica/tecnologia.

Soffermarsi sull’impianto del d.lgs. n. 81/2008 consente di apprezzarne l’ampiezza del campo di applicazione ed il contenuto dello standard minimo di sicurezza da applicare nei contesti professionali.

Di fatto, il perimetro oggettivo e soggettivo del provvedimento si presenta così ampio da ricomprendere tra i beneficiari della tutela anche soggetti non titolari di un contratto di lavoro; la sua operatività coinvolge qualsiasi tipologia di rischio e tutti i settori di attività, incluse quelle di carattere libero-professionale. Ma v’è di più.

Ad integrazione delle norme di contenuto vincolistico, il legislatore promuove strumenti di natura volontaria consistenti nell’adozione di sistemi di gestione o di soluzioni tecniche, procedurali ed organizzative per come definite dall’art. 2, d.lgs. n. 81/2008 o dalle proposte di strumentazione introdotte dalle varie stagioni di riforma che hanno attraversato la normativa anti-infortunistica.

Più precisamente, nella discrezionalità dei responsabili delle organizzazioni di lavoro rientra l’adozione di iniziative, comportamenti e prassi idonee a migliorare i livelli di protezione dei lavoratori.

Si tratta di strumenti che, «nel segno di un’autentica cultura della sicurezza e d’un approccio promozionale, possono rivelarsi tali da conseguire risultati migliori rispetto all’irrigidimento normativo e alla minaccia della sanzione»1.

Numerose sono le riflessioni sorte sull’assetto regolativo appena delineato, specie a valle della ricca e copiosa giurisprudenza e degli interventi che sul versante amministrativo sono stati elaborati nel tentativo di precisare il contenuto delle norme e dei soggetti tenuti a darvi attuazione.

Tra gli ambiti presi in esame si fa apprezzare il settore degli studi professionali, ovvero l’eterogeneità di organizzazioni gestite da professionisti, inclusi quelli non iscritti in albi o collegi di categoria. Affiora un interessante laboratorio d’indagine all’interno del quale pare oggi utile esaminare il grado di attenzione alla promozione del benessere lavorativo, anche ben al di là di quanto previsto dall’applicazione degli standard minimi fissati ai sensi del d.lgs. n. 81/2008.

2. Gli obblighi di sicurezza del professionista in qualità di datore di lavoro

Prima di entrare nel merito degli strumenti di prevenzione di adozione volontaria, pare necessario richiamare brevemente gli obblighi di sicurezza operanti nello studio professionale, dapprima concentrandosi sulle realtà in cui sia possibile individuare il datore di lavo- ro ai fini prevenzionistici.

Ai sensi dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2008, si definisce tale il titolare del contratto di la- voro (criterio formalistico) o comunque il soggetto che nell’ambito dell’organizzazione esercita il potere decisionale e di spesa (criterio sostanziale).

Declinare la predetta definizione giuridica negli studi professionali porta ad individuare il datore ai fini prevenzionistici nel suo titolare oppure, in presenza di più persone che esercitano il potere decisionale e di spesa, in tutti i titolari.

Questa duplicazione di responsabilità è talvolta superata attraverso modifiche agli atti costitutivi che incidono sulla ripartizione delle competenze e delle funzioni tra i professionisti che operano all’interno dello studio. Una operazione di tal fatta non può ritenersi contraria all’ordinamento giuridico ove corrisponda all’effettiva configurazione dell’assetto aziendale, dunque alla perfetta congruenza tra dato formale (rectius documentale) e sostanziale.

Va d’altro canto escluso che questa distribuzione interna delle responsabilità configuri una delega di funzioni prevenzionistiche ai sensi dell’art. 16, d.lgs. n. 81/2008 2.

Più correttamente, si tratta di una attribuzione a titolo originario dei compiti propri del datore di lavoro, inclusi quelli non delegabili, ferma restando una residuale sfera di competenza in capo agli altri titolari dello studio3: in termini tanto di vigilanza sul datore di lavoro designato quanto d’intervento suppletivo in caso di inattività delle funzioni datoriali assegnate in via originaria.

Analoghe considerazioni possono svolgersi con riguardo alle società tra professionisti: l’analisi dell’articolata disciplina legislativa4 non restituisce deroghe rispetto all’applicazione dei principi generali e dei criteri stabiliti nel d.lgs. n. 81/2008.

Parallelamente, occorre considerare la graduazione degli obblighi di sicurezza in base ad una serie di requisiti: in prevalenza l’inquadramento professionale del creditore di sicurezza mentre, solo in parte, il rischio derivante dall’esecuzione della prestazione a favore del responsabile dell’organizzazione.

Tanto si delinea contraddicendo in parte l’ampiezza della definizione giuridica del soggetto destinatario della tutela (cfr. art. 2, co. 1, lett. a, d.lgs. n. 81/2008) la quale ricomprende qualunque persona che svolge un’attività lavorativa nell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, indipendentemente dal tipo o dalla forma contrattuale, nonché dalla presenza o meno di un corrispettivo economico per l’attività svolta (quindi anche al solo scopo di formazione e apprendimento).

Dal quadro vigente, il datore di lavoro dello studio professionale è configurabile laddove siano presenti lavoratori subordinati, ma anche quando si faccia ricorso a collaborazioni parasubordinate che prevedono lo svolgimento di attività lavorative nei locali del committente-datore di lavoro dello studio professionale5.

Analogo esito si registra nel caso di attivazione di tirocini, a partire da quelli curriculari per finire ai periodi di praticantato previsti dalle leggi di regolamentazione di alcune professioni. Delle osservazioni appena svolte si trova conferma negli interventi della Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro ex art. 12, d.lgs. n. 81/2008.

In primo luogo, può richiamarsi l’interpello n. 6/20156: con riguardo agli studi associati degli infermieri, i professionisti coinvolti sono da considerare alla stregua di lavoratori subordinati «qualora svolgano la propria attività nell’ambito della organizzazione di un datore pubblico o privato, oppure prestino la propria attività per conto di una società, un’associazione, o un ente in qualità di soci lavoratori».

In secondo luogo, risulta pertinente l’interpello n. 4/2018 in merito all’applicazione della normativa di sicurezza nei casi di tirocini formativi presso lavoratori autonomi non inquadrabili come datori di lavoro: «… se in un’azienda o uno studio professionale sono ammessi soggetti che svolgano stage o tirocini formativi, il datore di lavoro sarà tenuto ad osservare tutti gli obblighi previsti dal testo unico al fine di garantire la salute e la sicurezza degli stessi e, quindi, adempiere gli obblighi formativi connessi alla specifica attività svolta»; …«per le modalità di applicazione della normativa per la tutela …… dovrà farsi riferimento alla specifica disciplina contenuta nell’art. 5 del decreto interministeriale 3 novembre 2017, n. 195» 7 (provvedimento, quest’ultimo, integrato dalla l. n. 85/2023)8.

Individuare il datore di lavoro negli studi professionali rappresenta un’operazione necessaria per identificare il principale soggetto garante ed attuatore di una serie di prescrizioni nell’ambito di un sistema di prevenzione al quale collaborano diversi soggetti, per via di specifiche attribuzioni gestionali sul piano della organizzazione oppure di determinate competenze ed expertises nella materia della prevenzione dei rischi professionali.

Tuttavia, è da rilevare la non infrequente possibilità che il datore di lavoro svolga anche i compiti del preposto, in ragione dell’assetto aziendale ed «in considerazione della modesta complessità organizzativa dell’attività lavorativa. Questo accade laddove il datore sovraintenda direttamente a tali attività, esercitando i relativi poteri gerarchico-funzionali» (ipotesi ammessa, seppur come extrema ratio, dalla Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro, interpello n. 5/2023).

Centrale importanza riveste l’obbligo della valutazione dei rischi e la redazione del correlato documento della valutazione dei rischi, di seguito DVR unitamente alla designazione del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione, salvo il caso in cui il professionista non possa direttamente svolgere tale incarico in quanto in possesso dei requisiti di cui agli artt. 32 e ss., d.lgs. n. 81/2008.

Con specifico riguardo allo strumento operativo di pianificazione degli interventi di prevenzione, pare d’interesse una recente pronuncia della Cassazione penale9 che ha confermato la responsabilità di un odontoiatra a fronte della violazione degli obblighi inerenti la valutazione dei rischi del relativo studio.

La presenza di una collaboratrice, in qualità di addetta alla poltrona, avrebbe imposto una specifica enunciazione nel DVR, in specie sotto il profilo dei rischi di esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro di cui all’allegato C al d.lgs. 151/2001.

Ai sensi dell’art. 6, d.lgs. n. 151/2001, tale obbligo sussiste nelle ipotesi di maternità biologica e trova eguale applicazione nel caso di madri affidatarie o adottive, a nulla rilevando la presunta infertilità del personale femminile in ragione dell’età anagrafica.

Il precedente, unicum a quanto consta, coordina l’esigenza di uniformità della legislazione prevenzionistica con quella altrettanto necessaria di differenziare le misure di protezione in base al genere, all’età, alle condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati ed in generale a tutte le modifiche organizzative, tecniche e procedurali del contesto occupazionale.

Il che si rende indispensabile alla luce dei fattori anagrafici e delle differenze di genere caratterizzanti l’attuale contesto del lavoro professionale dove non è infrequente registrare il crescente fenomeno della cd. femminilizzazione della professione10.

Quanto evidenziato produce più d’una sollecitazione con riguardo all’importanza di definire statuti protettivi che possono essere ragionevolmente differenziati in base allo specifico bisogno da tutelare, anche al di fuori del periodo di gestazione e puerperio o a ciò equiparato.

Di fatto, scopo ultimo del legislatore è quello di individuare misure coerenti con lo specifico ambiente di lavoro ed in grado di eliminare il rischio, o quanto meno ridurlo al minimo.

Il chiarimento offerto in sede interpretativa può dirsi utile anche a seguito delle modifiche apportate dalla l. n. 85/2023 nell’ambito degli «Interventi urgenti in materia di rafforzamento delle regole di sicurezza sul lavoro e di tutela contro gli infortuni, nonché di aggiornamento del sistema di controlli ispettivi», segnatamente in relazione agli obblighi di sicurezza incidenti sui percorsi di alternanza scuola – lavoro.

Alla luce del vigente quadro normativo, «le imprese iscritte nel registro nazionale per l’alternanza integrano il proprio documento di valutazione dei rischi con un’apposita sezione ove sono indicate le misure specifiche di prevenzione dei rischi e i dispositivi di protezione individuale da adottare per gli studenti nei percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento.

L’integrazione al documento di valutazione dei rischi è fornita all’istituzione scolastica ed è allegata alla Convenzione» (cfr. art. 17, co. 4, d.l. n. 48/2023 conv. con modd. in l. n. 85/2023).

Benchè il dato positivo si riferisca alle imprese, non pare esservi dubbio sulla estensione dell’obbligo di cui agli artt. 28 e 29, d.lgs. n. 81/2008 a carico di qualunque soggetto ospitante, incluso il professionista configurabile come datore di lavoro in senso prevenzionistico ed iscritto al Registro nazionale per l’alternanza scuola-lavoro.

Ad integrazione di un quadro normativo in continuo cambiamento, un interesse verso il tema della salute e sicurezza traspare anche dai contratti collettivi, sia quelli sottoscritti per i dipendenti degli studi professionali, quanto quelli dedicati a singole categorie professionali (nell’ampio panorama di riferimento si segnalano, a mero titolo esemplificativo, le intese a tutela dei dipendenti e collaboratori di studi legali o contabili o odontoiatrici, i contratti sottoscritti nell’ambito di studi professionali non ordinistici).

Oltre ad essere menzionata tra gli strumenti di bilateralità, è da segnalarne la rilevanza sul versante disciplinare, dove la violazione degli obblighi di sicurezza da parte del lavoratore legittima la sanzione del licenziamento per giusta causa.

Tra i contratti esaminati, si rinvia ad esempio al CCNL per i dipendenti di Studi professionali, centri elaborazione dati, consulenti tributari e tributaristi con validità 06/2016 – 06/2019, il quale ricollega la sanzione estintiva alla «grave violazione degli obblighi in materia di sicurezza del lavoro come il rifiuto del lavoratore di utilizzare i dispositivi di protezione individuali, il rifiuto di partecipare alle visite mediche disposte dal datore di lavoro oppure dal medico competente, l’assenza ingiustificata dagli obblighi formativi» (art. 64).

Né mancano precisazioni con specifico riguardo alle forme di remote working. Vi sono disposizioni che, oltre a regolamentare l’accesso nei locali del telelavoratore, individuano il grado di diligenza richiesto al lavoratore nello svolgimento di tale attività fuori dallo studio professionale (artt. 77-79).

Talvolta, nel lavoro agile si identifica la misura più idonea per gestire fenomeni di mobbing e molestie sessuali che trovino origine nella sede aziendale (cfr. art. 65, p. 11, CCNL Servizi-Studi professionali del 13 marzo 2023) oppure lo schema attraverso cui «soddisfare specifiche esigenze di flessibilità e sicurezza proprie di alcune situazioni quali quelle dei lavoratori disabili o di coloro che riprendono il servizio dopo periodi di lunga assenza per maternità, malattia, infortunio, aspettativa» (CCNL dipendenti degli studi professionali 2020-23).

Strettamente connessi alla tutela del benessere si pongono inoltre gli istituti contrattuali a tutela delle lavoratrici, quali “l’assistenza sanitaria pediatrica di prossimità” e lo “psicologo post partum” (art. 129, CCNL dipendenti degli Studi professionali 2020-2023).

3. Segue. Gli obblighi del professionista privo di di- pendenti o soggetti a questi equiparati

Seppur le recenti analisi attestino un drastico calo di professionisti senza dipendenti11, non può trascurarsi di esaminare la questione giuridica più spinosa per il diritto della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Quali adempimenti nell’ambito di studi professionali in cui non sia possibile delineare la figura del datore di lavoro ai fini prevenzionistici?

Richiamando l’Interpello n. 6 del 2015, ciò accade qualora il professionista «presti la propria attività in autonomia e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente o dell’associazione».

In assenza di lavoratori subordinati o soggetti a questi equiparati ai sensi dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2008, la condotta esigibile dal professionista si presenta piuttosto circoscritta sotto il profilo contenutistico, non operando a suo carico alcuna attribuzione degli obblighi propri del datore di lavoro, né quelli non delegabili, né quelli trasferibili in forza dell’art. 16, d.lgs. n. 81/2008.

In particolare, negli studi professionali privi di dipendenti nell’accezione lata che offre la legislazione anti-infortunistica non vige l’obbligo della valutazione di tutti i rischi presenti nell’ambiente di lavoro e di redazione del relativo documento, né quello di designare il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, il Medico competente o gli Addetti all’emergenza e primo soccorso.

Al professionista spetta dare attuazione a quanto san- cito dagli obblighi previsti dagli art. 21 e 26, d.lgs. n. 81/2008. Oltre a delineare «un regime di tutela sui generis, … orientato verso l’autotutela o comunque verso un tipo di tutela attiva»12, il legislatore prescrive al lavoratore autonomo di utilizzare attrezzature di lavoro e dispositivi di protezione individuale conformi alle disposizioni di cui al titolo III.

In aggiunta a ciò, il d.l. n. 48/2023 conv. in l. n. 85/2023 prevede che sia- no adottate «idonee opere provvisionali in conformità alle disposizioni di cui al titolo IV», che disciplina gli adempimenti in materia di sicurezza nei cantieri temporanei e mobili.

A questa porzione di obblighi si aggiunge quello di munirsi di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità, qualora la prestazione sia effettuata in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto. In quanto «fonte bidirezionale»13, l’art. 21, d.lgs. n.81/2008 stabilisce infine che il lavoratore autonomo «con oneri a proprio carico»14 abbia facoltà di beneficiare della sorveglianza sanitaria secondo le previsioni di cui all’art. 41, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali.

Altrettanto è disposto in ordine alla partecipazione a corsi di formazione specifici, incentrati sui rischi propri delle attività svolte, secondo le previsioni di cui all’art. 37 (salvo quanto disposto dalle norme speciali).

Anche in questa seconda ipotesi gli oneri economici ricadono sul lavoratore autonomo. D’altro canto trova applicazione l’art. 26, d.lgs. n. 81/2008, che interviene sui fenomeni di segmentazione dei processi produttivi15.

Il professionista può rilevare nella veste di operatore economico affidatario di lavori, servizi e fornitura16, mentre non può dirsi applicabile la disciplina contenente adempimenti preliminari che il dettato normativo pone in via esclusiva a carico del soggetto committente-datore di lavoro (verifica dell’idoneità tecnico-professionale dell’appaltatore, secondo le forme indicate dal testo di legge e l’obbligo di fornire informazioni sull’ambiente di lavoro nel quale sarà svolta la parte di attività esternalizzata).

Al professionista compete l’adempimento di obblighi spettanti su tutti i soggetti coinvolti nell’affidamento, indipendentemente dalla figura rivestita: cooperazione all’attuazione delle misure di sicurezza; reciproca informazione dei rischi specifici della propria organizzazione; infine, collaborazione alla redazione del documento unico della valutazione dei rischi interferenziali (DUVRI), ove previsto.

A quest’ultimo proposito, va rammentato che il legislatore prevede una ipotesi di esonero dall’obbligo di predisporre il DUVRI nel caso di esecuzione di servizi di natura intellettuale, presumendo – in maniera non del tutto condivisibile - l’eccessiva onerosità dell’adempimento di fronte ad una ridotta rischiosità delle attività appaltate17.

Alla luce del descritto quadro di riferimento, emerge una minore incisività delle regole prevenzionistiche ove riguardanti il lavoratore autonomo tout court e la ridotta attenzione in primis alle raccomandazioni del Consiglio europeo aventi per obiettivo il miglioramento della protezione della salute e della sicurezza sul lavoro dei lavoratori autonomi.

Tra gli elementi che attendono di essere esaminati v’è da segnalare la previsione di strumenti e tutele adeguati ad una «esposizione a rischi per la salute e la sicurezza analoga a quelli che corrono i lavoratori dipendenti» (così consid. 6).

A distanza di 20 anni dalla raccomandazione 2003/134/ CE, la tutela prevenzionistica di chi offre prestazioni di lavoro intellettuale al di fuori dello schema della subordinazione ed assimilati (collaborazione etero-organizzata ai sensi dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015, collaborazione coordinata e continuativa svolta fuori dai locali del committente) rimane un argomento ancora marginale del più ambizioso progetto di tutela integrale collegata alla persona (in quanto tale e non in ragione della relativa tipologia contrattuale)18 che la sinergia tra organismi europei e istituzioni nazionali sta cercando di promuovere19.

Del resto, la prospettazione avanzata dagli organismi comunitari risulta plausibile anche sul piano teorico generale, traendo legittimazione dai principi costituzionali che impongono la garanzia del lavoro «in tutte le sue forme e applicazioni» (art. 35, Cost.): non si può negare che il diritto inviolabile alla salute debba essere protetto in qualsiasi ambiente produttivo e per tutte le persone che prestano la propria attività lavorativa, indipendentemente dalla qualifica- zione contrattuale del relativo rapporto.

4. La (inattuata) semplificazione dell’art. 11, legge n. 81/2017

All’esito di una valutazione dei principali aspetti critici dell’attuale panorama normativo, risulta l’assenza di una trama regolativa dedicata alle specificità degli studi professionali.

Invero, sul tema la legge n. 81/2017 aveva conferito una delega al Governo finalizzata alla promozione di un assetto semplificato di regole di prevenzione nel settore degli studi professionali.

Nell’ambito del provvedimento recante disciplina a tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale (capo I) e le regole per il lavoro agile (capo II), il Parlamento ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti attuativi entro un anno dalla data di entrata in vigore della l. n. 81/2017, non senza lasciare dubbi sulla ragionevolezza dell’intervento a partire dalla difficoltà di individuare caratteristiche tali da prevedere uno statuto differenziato dalle attività professionali svolte negli uffici, tanto pubblici quanto privati20.

Analoghe critiche sono state avanzate intorno all’assoluta genericità dei precetti e dei criteri direttivi della legge delega21.

Più precisamente, entro maggio 2018 il Governo avrebbe dovuto provvedere alla «individuazione di specifiche misure di prevenzione e protezione idonee a garantire la tutela della salute e della sicurezza delle persone che svolgono attività lavorativa negli studi professionali, con o senza retribuzione e anche al fine di apprendere un’arte, un mestiere o una professione» ed alla «determinazione di misure tecniche ed amministrative di prevenzione compatibili con le caratteristiche gestionali ed organizzative degli studi professionali».

In aggiunta a ciò, l’operato dell’Esecutivo avrebbe dovuto procedere ad una semplificazione degli adempimenti meramente formali in materia di salute e sicurezza negli studi professionali, «anche per mezzo di forme di unificazione documentale», riformulando e razionalizzando «l’apparato sanzionatorio, amministrativo e penale, per la violazione delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro negli studi professionali, avuto riguardo ai poteri del soggetto contravventore e alla natura sostanziale o formale della violazione».

Tra le considerazioni che suggerisce l’ampiezza/genericità della legge delega, l’intento di introdurre una maggiore flessibilità nell’adempimento degli obblighi di prevenzione applicabili nel contesto degli studi professionali è senza dubbio in linea con gli interventi regolativi da tempo dedicati al settore delle imprese di minori dimensioni in ragione delle difficoltà e degli oneri economici connessi all’adempimento delle norme di sicurezza.

Malgrado la mancata attivazione del Governo, l’iniziativa contenuta nell’art. 11, l. n. 81/2017 rimane emblematica e rafforzativa di un ampliamento degli spazi di flessibilizzazione degli obblighi di prevenzione, tuttavia insinuando il dubbio d’indebolire lo standard di tutela.

La proposta regolativa arricchisce il già ricco campionario di strumenti, check list e applicativi a disposizione delle imprese minori per soglia dimensionale o per complessità del ciclo produttivo oppure infine tenendo conto del basso indice di infortuni e malattie professionali (cc.dd. modelli standardizzati per la valutazione dei rischi professionali, modelli semplificati elaborati anche per l’adozione di MOG nelle micro e piccole imprese, …)

Altrettanti profili problematici rivela il secondo criterio direttivo, evocando una stretta relazione tra l’individuazione di misure tecniche ed amministrative e le caratteristiche gestionali ed organizzative che difficilmente possono giustificare un intervento unitario ed omogeneo nel variegato contesto degli studi professionali. Oscuro è risultato soprattutto il riferimento a misure amministrative, dovendosi constatare l’impossibilità di farvi confluire le semplificazioni di ordine documentale a cui fa riferimento al criterio direttivo di cui all’art. 11, lett. c)22.

Non lascia invece dubbi l’intervento sul quadro sanzionatorio.

In un contesto che ricollega la sanzione penale alle violazioni di sicurezza più gravi e che distribuisce le responsabilità in base alla capacità concreta di gestire il rischio professionale, affiora l’intento di alleggerire le pene collegate ai reati contravvenzionali, ancora una volta non eliminando dubbi elementi di ragionevolezza.

Una diversificazione delle pene e degli importi delle ammende, d’entità inferiore per gli studi professionali, pare difficilmente giustificabile sul piano del diritto e segnatamente sul piano della relativa costituzionalità ex art. 3 Cost.

Oltre a nuclei tematici differenziati, l’attuazione della delega nel senso indicato dalla l. n. 81/2017 avrebbe identificato disparità di trattamento sul fronte sanzionatorio anche rispetto alle imprese di minori dimensioni da cui altre disposizioni della legge delega hanno preso spunto.

5. La promozione europea del prototipo O.I.R.A. e la sua attuazione a livello nazionale: un software per le attività d’ufficio

Una riflessione a sé stante richiede la semplificazione associata al prototipo europeo denominato O.I.R.A. (acronimo di Online Risk Assessment).

Si tratta del più noto software sviluppato sulla piattaforma WEB dell’A- genzia Europea per la salute e la sicurezza sul lavoro, con lo scopo di promuovere l’assolvimento degli obblighi di prevenzione nelle piccole imprese.

La distribuzione gratuita dello strumento informatico nasce dall’idea di ridurre il numero di vincoli giuridici a carico della principale figura di garanzia, pur nella consapevolezza di non poter in alcun caso dar luogo alla totale esenzione delle obbligazioni di sicurezza.

Al contempo, risponde all’obiettivo di ampliare il set responsabili di attività economiche, evidenziandone le plurime opportunità, in primis in termini di riduzione di costi derivanti dal decremento di malattie professionali, infortuni e quasi incidenti.

A ciò si aggiunge il beneficio connesso al miglioramento delle prestazioni organizzative guidato da un processo interamente digitalizzato che fornisce alle micro e piccole imprese le risorse e le conoscenze necessarie per una valutazione autonoma dei propri rischi.

In concreto, l’OiRA «offre un approccio passo passo al processo di valutazione dei rischi, iniziando con l’individuazione dei rischi sul luogo di lavoro e accompagnando quindi l’utente attraverso il processo di adozione delle azioni preventive fino al monitoraggio e alla segnalazione dei rischi»23.

Nel rinviare agli Stati membri la individuazione delle soluzioni più adeguate al contesto di riferimento, l’esperienza italiana denota più di una specificità con riguardo all’ambito di operatività del software.

Ai sensi dell’art. 29, co. 6 quater, d.lgs. n. 81/2008, introdotto dal Jobs Act (cfr. d.lgs. n. 151/2015) è previsto che «Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi previo parere della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, sono individuati strumenti di supporto per la valutazione dei rischi di cui agli articoli 17 e 28 e al presente articolo, tra i quali gli strumenti informatizzati secondo il prototipo europeo OIRA».

Da qui, una disposizione legislativa che, con enfasi analoga a quella riconosciuta all’impiego di procedure standardizzate e sistemi di prevenzione, accredita le facilitazioni del processo valutativo dei rischi connesse all’utilizzo della tecnologia, senza mettere in discussione né la natura meramente facoltativa della sua adozione e neppure la necessità, ben presente anche nell’ordinamento domestico, di non indebolire la tutela sostanziale dei soggetti esposti al rischio professionale.

Mutuando quanto già affermato dalla giurisprudenza penale sulle procedure standardizzate, l’adozione dell’OIRA deve comunque preservare l’esigenza di specificità del DVR, ancorchè prodotto all’esito di un procedimento guidato, poiché la facoltà (e non l’obbli- go) di ricorrervi non può trasformare un adempimento non delegabile del datore in mera formalità.

Anche nel caso dell’OIRA, è necessario procedere – come peraltro è esplicitato nel sito dell’Agenzia europea per la salute e sicurezza del lavoro - alla «individuazione degli specifici pericoli cui i lavoratori sono sottoposti e alla specificazione delle misure di prevenzione da adottar- si», sulla scorta del dovere datoriale di personalizzare la valutazione in base alle caratteristiche soggettive e oggettive di chi opera per la realizzazione del processo produttivo (in part. v. Cass. Pen, sez. III, 27 settembre 2022, n. 36538).

Le principali critiche alla novella sono state avanzate con riguardo al perimetro applicativo, a ben vedere non riservato alle realtà produttive dove l’attuazione delle garanzie legali si presenta poco agevole sul piano dei costi aziendali e per via degli oneri gestionali.

Si tratta di profili di problematicità comunque stemperati e in buona parte superati dalla prima attuazione della disposizione legislativa, che presenta una portata applicativa più in linea con le strategie comunitarie.

Acquisito il parere favorevole della Commissione consultiva permanente, il Ministero del Lavoro ha appro- vato il prototipo OIRA con riguardo alla valutazione dei rischi degli uffici nelle micro, piccole e medie imprese (cfr. il Decr. n. 61/2018).

Il decreto n. 61/2018 è stato successivamente aggiornato ed integrato da una nuova versione, migliorata a partire dal layout e da aspetti operativi più fruibili per i suoi destinatari e per la riconoscibilità dei rischi dell’organizzazione24.

L’assenza di dati ufficiali ed aggiornati sul concreto apporto della strumentazione tecnologica negli studi professionali non consente di formulare considerazioni puntuali sul successo dell’iniziativa legislativa.

D’altro canto, l’analisi sul piano comparato restituisce l’impossibilità di formulare conclusioni definitive o quanto meno entusiasmanti intorno alle pratiche di semplificazione sperimentate e praticate nel settore della sicurezza sul lavoro.

Restringendo l’analisi all’esperienza dell’OIRA, sono diversi i Paesi dell’UE che registrano una diffusa e dunque maggiore applicazione dello strumento, anche in settori produttivi ad elevata rischiosità25.

6. A margine dell’attuale quadro regolativo: critica ad un approccio omologante

Ad eccezione dell’esperienza dell’OIRA che, come spiegato, può trovare applicazione all’interno degli studi professionali, non possono rendicontarsi altre iniziative legislative, né è possibile rendicontare d’un acceso confronto teorico-istituzionale dedicato al tema del lavoro professionale.

L’assenza di approfondimenti pare trovare la principale giustificazione nell’idea tutt’altro che fondata di avere da fare con un luogo di lavoro estraneo all’insorgenza di rischi professionali o, tutt’al più, con presenza di rischi trascurabili.

Invero, l’attenzione ai compiti tipici di chi svolge una prestazione dal contenuto intellettuale in ragione o meno della iscrizione ad un albo/collegio suggerisce di soffermarsi sui pericoli e sulla tipologia dei fattori di rischio, a partire da quelli derivanti dall’organizzazione del lavoro e dalle condizioni ambientali.

Qui si sviluppa l’annoso tema dei rischi di rilevanza psico-sociale, negletti rispetto a qualsiasi approfondimento nell’ambito qui indagato così come a buona parte delle realtà lavorative italiane, non solo quelle di ridotte dimen- sioni.

Che si configuri o meno la posizione di garanzia dato- riale, la pervasività degli strumenti tecnologici induce a svolgere una riflessione più approfondita con riguardo a prestazioni che si eseguono anche al di fuori del tradizionale luogo di lavoro.

La strumentazione tecnolo- gica e digitale a disposizione del professionista scolorai confini topografici dello studio presso cui è ricevuta la clientela, per aprirsi ad una pluralità di sedi, inclusa quella domestica.

Non si ignori che, per indirizzo giurisprudenziale, nella nozione giuridica di luogo di lavoro deve ricomprendersi qualunque sede in cui sia presente una persona che lavora: più precisamente rileva il luogo ove «venga svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità della struttura in cui essa si esplichi e dell’accesso ad essa da parte di terzi estranei all’attività lavorativa, finalità che possono essere sportive, ludiche, artistiche, di addestramento o altro e ogni luogo nel quale il lavoratore deve o può recarsi per provvedere ad incombenze di qualsiasi natura in relazione alla propria attività»26.

D’altro canto, sia consentita una critica nei confronti di un intervento regolativo omogeneo per tutti gli studi professionali, tenuto conto delle diverse caratteristiche presentate dai comparti professionali delineati secondo gli ultimi rinnovi in sede di contrattazione collettiva nazionale27.

Profonde differenze esistono tra gli studi legali e quelli medici o odontoiatrici, specie sul fronte della esposi- zione a determinati fattori di rischio come quello biologico o di contrazione di infezioni.

Analoghe considerazioni suggeriscono le prestazioni svolte da architetti, ingegneri e geometri sovente impegnati in attività di sopralluogo in ambienti pericolosi o soggetti a rischio idrogeologico, oppure in operazioni cantieristiche in qualità di coordinatore in fase di esecuzione ai sensi del titolo IV, d.lgs. n. 81/2008 recante gli obblighi di sicurezza nei cantieri temporanei e mobili.

La non omogenea esposizione ai rischi si riflette anche sulla tipologia di eventi processati dall’INAIL: ancorché condizionati dal contagio da COVID 19, i dati degli ultimi tre anni restituiscono un incremento del numero di infortuni, inclusi quelli mortali ed un più accentuato aumento delle malattie professionali.

L’idea di catalogare il lavoro negli studi professionali secondo un coefficiente di rischio unitario, basso o comunque trascurabile, sconta una semplificazione che nei fatti non trova rappresentazione.

Ove non adeguatamente valutata, l’esposizione dei relativi rischi finirà per compromettere l’integrità psico-fisica di quanti invece si trovano a gestire fattori di criticità di varia natura, non eccettuando quelli derivanti dalla disponibilità costante e dalla pervasività degli strumenti tecnologici che supportano lo svolgimento dell’attività professionale.

L’esperienza della pandemia ha messo in evidenza molte criticità, colpendo anche i professionisti, specie quando operano al di fuori di rapporti di subordinazione.

Tale categoria di lavoratori è tra quelle che maggiormente hanno subito l’impatto dei rischi di matrice psico-sociale. Per tali ragioni, il dibattito europeo sul diritto di disconnessione meriterebbe di essere ampliato quanto al novero di soggetti da coinvolgere e con riguardo alle problematiche da gestire, non soltanto sul piano della sicurezza di genere.

Presentato come fenomeno sociale28, il tema della iper-connettività ai dispositivi tecnologici e digitali è da valutare anche sotto il profilo delle minacce all’habitat relazionale del lavoratore che esercita in regime di libero professionista: instabilità dei tempi di lavoro ed esposizione alle aggressioni della sfera psicologica e sociale sono soltanto due dei fattori che reclamano maggiore attenzione da parte delle istituzioni ma anche di tutti gli attori privati chiamati a realizzare il miglioramento continuo delle condizioni di salute e sicurezza negli ambienti di lavoro29.


Note

Argomenti correlati

Categoria