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Sommario 1. La sentenza n. 8 del 2023 della Corte costituzionale – 2. La questione: la legittimità della ripetizione dell’indebito retributivo e previdenziale non pensionistico e la tutela della legitimate expectation – 3. La dimensione oggettiva della buona fede e l’adeguatezza dell’apparato rimediale interno – 4. Osservazioni conclusive
1. La sentenza n. 8 del 2023 della Corte costituzionale
«L’ordinamento nazionale delinea un quadro di tutele - previdenziali, pensionistiche, assicurative e assistenziali, cui si aggiunge l’art. 2126 cod. civ., riferito a una prestazione di natura retributiva - che supera ogni dubbio di possibile contrasto fra l’art. 2033 cod. civ. e l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, come interpretato dalla Corte EDU.
In tali casi non è richiesta alcuna prova dell’affidamento, sicché quest’ultimo, più che rilevare quale interesse protetto, si configura - unitamente al rilievo costituzionale riconosciuto, ai sensi dell’art. 38 Cost., al tipo di prestazioni erogate - quale ratio ispiratrice di fondo della indicata disciplina eccezionale, frutto di una valutazione rimessa alla discrezionalità del legislatore.
Al di fuori del raggio di tali disposizioni speciali, opera la disciplina generale dell’indebito oggettivo, di cui all’art. 2033 cod. civ. Sennonché, a fronte dell’obbligo restitutorio, da un lato, lo stesso art. 2033 cod. civ. prevede che, in ipotesi di buona fede soggettiva dell’accipiens, i frutti e gli interessi vanno corrisposti solo a partire dalla domanda di restituzione.
Da un altro lato, e soprattutto, si rinviene nell’ordinamento italiano una clausola te EDU a fondamento dell’affidamento legittimo, il cui perno risiede nella clausola di buona fede oggettiva o correttezza, che plasma, per un verso, ex art. 1175 cod. civ., l’attuazione del rapporto obbligatorio e, per un altro verso, la buona fede oggettiva, dando fondamento, ex art. 1337 cod. civ., alla stessa possibilità di identificare un affidamento legittimo.
In definitiva, la clausola della buona fede oggettiva consente di adeguare, tramite la rateizzazione, il quomodo dell’adempimento della prestazione restitutoria, tenendo conto delle condizioni economiche e patrimoniali dell’obbligato; inoltre, in presenza di particolari condizioni personali dell’accipiens e dell’eventuale coinvolgimento di diritti inviolabili, la buona fede oggettiva può condurre a ravvisare una inesigibilità temporanea o finanche parziale.
Infine, allontana definitivamente il dubbio dei rimettenti la constatazione che, nell’ordinamento italiano, una volta individuati i tratti de legittimo affidamento, è dato riconoscere, nell’ipotesi di una sua lesione, una possibile tutela risarcitoria proprio dentro le coordinate della responsabilità precontrattuale, sempre che ricorrano gli ulteriori presupposti applicativi del medesimo illecito. (Precedenti: S. 148/2017 - mass. 41098; S. 431/1993 - mass. 20160; O. 264/2004 - mass. 28687)» 1 .
2. La questione: la legittimità della ripetizione dell’indebito retributivo e previdenziale non pensionistico e la tutela della legitimate expectation
Con queste argomentazioni, la Corte costituzionale ha risolto la dibattuta questione sulla legittimità della ripetizione di indebite erogazioni pubbliche previdenziali, non pensionistiche, e retributive, ex art 2033 c.c., quando provengano da soggetti pubblici e il percettore sia in buona fede.
Come noto 2 , nello schema della lettera della legge, nessun rilievo viene riconosciuto alla buona fede soggettiva del debitore, se non per la decorrenza dei frutti e degli interessi: per il fatto oggettivo dell’indebito pagamento, il solvens ha diritto a ripetere quanto corrisposto, salve le eccezioni dell’obbligazione naturale e della prestazione contraria al buon costume, e l’accipiens ha l’obbligo di restituirlo. La rigidità e la tassatività della norma censurata spinsero la giurisprudenza costituzionale degli anni No- vanta ad enucleare metodi per temperarla, che lo fece attraverso il riferimento al c.d. “principio di settore”, secondo il quale, al posto della generale regola codicistica di incondizionata legittimità di ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c., deve applicarsi la diversa regola che esclude la ripetizione in presenza di una situazione di fatto, pure variamente articolata, accomunata dalla non addebitabilità al percipiente dell’erogazione non dovuta 3 .
Anche la giurisprudenza amministrativa si è pronunciata in tal senso facendo leva però sul carattere di doverosità del recupero del denaro pubblico, costituendo esercizio, ai sensi dell’art. 2033 c.c., di un vero e pro- prio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale 4 .
In particolare, le circostanze individuate come rilevanti venivano così elencate: la durata del periodo di erogazione della prestazione contestata, la mancanza di responsabilità del percettore nell’insorgenza dell’errore che sia stato alla base della medesima, l’inosservanza da parte dell’Ente erogatore di un ragionevole e proporzionato periodo di tempo per definire la pratica, la non riconoscibilità obiettiva della maggiore erogazione non dovuta, l’avvenuta destinazione delle somme a reali esigenze di vita del percettore, l’incidenza dell’atto di recupero sulle condizioni personali dell’onerato. Tuttavia, in relazione ai pagamenti effettuati dall’amministrazione nell’ambito di rapporti di lavoro di impiego pubblico non contrattualizzato, si era anche costantemente affermato che «il recupero di somme indebitamente erogate costituisce il risultato di una attività amministrativa di verifica e di controllo, priva di valenza provvedimentale.
In tali ipotesi, l’interesse pubblico è in re ipsa e non richiede neppure specifica 3 Si fa espresso riferimento alle sentenze C. Cost., 14 dicembre 1993, n. 431; 10 giugno 1994, n. 240; 24 maggio 1996, n. 166. 4 Cons. Stato, sez. III, 9 giugno 2014, n. 2903. motivazione: infatti, a prescindere dal tempo trascorso, l’oggetto del recupero produce di per sé un danno all’Amministrazione, consistente nell’esborso di denaro pubblico senza titolo ed in un vantaggio ingiustificato per il dipendente.
L’Amministrazione, quindi, non ha alcuna discrezionale facultas agendi e, anzi, il mancato recupero delle somme illegittimamente erogate configura danno erariale, con il solo temperamento costituito dalla regola per cui le modalità dello stesso non devono essere eccessivamente onerose, in relazione alle esigenze di vita del debitore» 5 .
La sentenza della Corte EDU, 11 febbraio 2021, n. 4893/2013, emessa nel caso Casarin contro Italia, intervenuta in questo panorama, si è, però, mossa in controtendenza affermando che non è ripetibile l’emolumento – avente carattere retributivo non occasionale – corrisposto da una pubblica amministrazione in modo costante e duraturo e senza riserve ad un lavoratore in buona fede, in quanto si è ingenerato il legittimo affidamento sulla spettanza e titolarità dell’erogazione stessa.
La ripetizione, pertanto, benché pure dovuta ai sensi delle diposizioni nazionali sull’indebito oggettivo, comporterebbe la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 addizionale alla Convenzione. Secondo la citata disposizione convenzionale, «ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni» e la Corte EDU, valorizzando proprio la nozione di bene, ha ascritto a tale paradigma la tutela dell’affidamento legittimo («legitimate expectation»), situazione soggettiva dai contorni più netti di una semplice speranza o aspettativa di mero fatto («hope») 6 .
La Corte EDU ha in particolare specificato i presupposti che consentono di identificare un affidamento legittimo in capo al percettore della prestazione, che sia persona fisica, e ha individuato i presupposti costitutivi della legitimate expectation – che la Corte riqualifica, nella sentenza in commento, già ponendo le basi per lo sviluppo del suo ragionamento, «le condizioni che tramutano la condictio indebiti in un’interferenza sproporzionata nei confronti di tale affidamento» 7 . Ebbene, questi sono: l’erogazione di una prestazione a seguito di una domanda presentata dal beneficiario che agisca in buona fede o su spontanea iniziativa delle autorità; la provenienza dell’attribuzione da parte di un ente pubblico, sulla base di una decisione adottata all’esito di un procedimento, fondato su una disposizione di legge, regolamentare o contrattuale, la cui applicazione sia percepita dal beneficiario come fonte della prestazione, individuabile anche nel suo importo; la mancanza di una attribuzione manifestamente priva di titolo o basata su semplici errori materiali; un’erogazione effettuata in relazione a una attività lavorativa ordinaria e non a una prestazione isolata o occasionale, per un periodo sufficientemente lungo da far nascere la ragionevole convinzione circa il carattere stabile e definitivo della medesima; la mancata previsione di una clausola di riserva di ripetizione. Ora, nei tre atti di rimessione 8 , pur con tutte le peculiarità e le differenze delle specifiche situazioni, viene riscontrata la sussistenza di una situazione di affidamento legittimo del privato percettore e della sua lesione per effetto di una sproporzione tra le ragioni di interesse pubblico generale al recupero dell’indebito e il diritto personale al rispetto dei suoi propri beni e, quindi, l’integrazione di tutti gli indici, valorizzati dalla Corte EDU nella nota e dibattuta sentenza Casarin, la cui sussistenza avrebbe reso applicabile la norma dell’art. 1 Prot. add., in relazione all’ingenerarsi di un legittimo affidamento, perché costitutivi di un diritto alla irripetibilità di attribuzioni patrimoniali pubbliche ingiustificate.
Le questioni sollevate sono sostanzialmente convergenti: le tre ordinanze concludono per la non plausibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2033 c.c., di un’interpretazione, cioè, che non leda il principio generale dell’affidamento legittimo, per come declinato e codificato dalla giurisprudenza della Corte EDU in riferimento al parametro interposto dell’art. 1, Primo Protocollo Addizionale alla Cedu.
3. La dimensione oggettiva della buona fede e l’adeguatezza dell’apparato rimediale interno
La Corte costituzionale, con la sentenza in commento, ha deciso le tre questioni, sollevate in relazione al parametro costituito dall’art. 117, primo comma, Cost., unitamente all’art. 1, primo prot. add., Cedu, per come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, rigettandole per infondatezza e confermando la legittima ripetibilità delle indebite erogazioni pubbliche. Il primo elemento del ragionamento della Corte è la valorizzazione della buona fede nella sua dimensione oggettiva.
Partendo, invero, dalla constatazione che la stessa «Corte EDU riconosce l’interesse generale sotteso all’azione di ripetizione dell’indebito, e in genere riscontra la legalità dell’intervento, che solo raramente si è dimostrata carente (sentenza 12 ottobre 2020, Anželika Šimaitien contro Lituania, paragrafo 115)»9, la Corte ritiene che il fulcro della giurisprudenza convenzionale sia rappresentato dalla «proporzionalità dell’interferenza» quale sede di bilanciamento «fra le esigenze sottese al recupero delle prestazioni indebitamente erogate e la tutela dell’affidamento incolpevole» 10, lasciando agli Stati contraenti una ristretta libertà «onde evitare che gravi sulla persona fisica un onere eccessivo e individuale».
L’identificazione di una situazione di legitimate expectation «non importa, per ciò solo, l’intangibilità della prestazione percepita dal privato» e, conclude, «la giurisprudenza della Corte Edu offre una ricostruzione dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU volta a stigmatizzare interferenze sproporzionate rispetto all’affidamento legittimo ingenerato dall’erogazione indebita da parte di soggetti pubblici di prestazioni di natura previdenziale, pensionistica e non, nonché retributiva»11.
Posta in questi termini la (ri)lettura della giurisprudenza convenzionale relativa all’articolo 1 citato, i passaggi più rilevanti, attraverso i quali la Corte arriva a sostenere il superamento di «ogni dubbio di possibile contra- sto fra l’art. 2033 cod. civ. e l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al citato parametro convenzionale interposto» 12 , possono essere così ricostruiti. Eccezion fatta per le prestazioni previdenziali, pensionistiche e assicurative, per specifiche prestazioni economiche assistenziali e per le ipotesi rientranti nel- la disciplina dell’art. 2126 c.c., che rappresentano disposizioni speciali, la disciplina generale dell’indebito oggettivo di cui all’art. 2033 c.c., applicata al rapporto di lavoro pubblico e pubblico privatizzato, nonché al rapporto previdenziale, realizza quel bilanciato contemperamento di interessi secondo il canone della proporzionalità.
L’ordinamento interno è già predisposto per «esaltare la specificità degli elementi posti in rilievo dalla giurisprudenza della Corte EDU a fondamento dell’affida- mento legittimo» e ciò fa tramite le «clausole generali di buona fede» di cui agli artt. 1175 e 1337 c.c 13.
Soprattutto l’art. 1337 c.c., nell’interpretazione invalsa nel diritto vivente, rappresenta, con riferimento alla tutela dell’affidamento rispetto alla conclusione di un contratto o rispetto al perfezionamento di un contratto non invalido né affetto da un vizio cosiddetto incompleto, «un possibile modello generale di tutela dell’affidamento legittimo» circa la spettanza di una prestazione indebitamente erogata e così offre concretezza ad elementi che corrispondono a quelli individuati dalla Corte EDU per fondare il riconoscimento di un affida- mento legittimo.
L’interesse pubblico al recupero di somme indebitamente erogate e l’affidamento incolpevole del percettore sono pertanto bilanciati nell’impostazione della sentenza n. 8 e gli indici sintomatici della legimate expectation indicati dalla Corte EDU sono pienamente valorizzati dalle clausole generali degli artt. 1175 e 1337 c.c. e possono, così, sintetizzarsi: apparenza di un titolo posto a fondamento dell’attribuzione privo di clausola di riserva di ripetizione; particolare relazione tra solvens e accipiens: soggetto pubblico il primo, persona fisica il secondo, poiché una tale relazione è in grado di ingenerare la fiducia nella legittimità dell’erogazione per la competenza e l’autorità del solvens e per il convincimento che esso persegue interessi generali; natura delle prestazioni erogate (pre- videnziali e retributive); carattere ordinario e durevole delle attribuzioni patrimoniali; nella necessaria buona fede soggettiva dell’accipiens14. Sulla base di ciò, la Corte introduce il secondo pilastro del suo ragionamento, l’adeguatezza dell’apparato rimediale italiano. Dal punto di vista concreto e rimediale, infatti, il primo strumento individuato dalla Consulta, e radicato nella clausola generale di cui all’art. 1175 c.c., è la rateizzazione, che rende adeguato il quomodo dell’adempimento della prestazione restitutoria, sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell’obbligato.
Il primo «contrappunto, imposto dalla buona fede alla pretesa restitutoria dell’ente solvens, si radica nell’obbligo del creditore di “rateizzare la somma richiesta in restituzione”, con un credito restitutorio che viene così modularizzato sulle condizioni, patrimoniali e/o di salute, di un debitore che si vede (…) piombare una do- manda di restituire quanto pensava di aver percepito (non occasionalmente) in modo legittimo» 15.
In secondo luogo, la buona fede oggettiva può condurre, a seconda della gravità delle ipotesi, a ravvisare una «inesigibilità temporanea o finanche parziale» onde evitare che la pretesa creditoria, entrando in conflitto con un interesse prevalente, si traduca in un abuso del diritto16.
In presenza di particolari condizioni personali del debitore, correlate a diritti inviolabili, l’obbligazione restitutoria dell’indebito viene temperata dall’istituto dell’inesigibilità, che non colpisce la fonte dell’obbligazione, caducandola, ma solo ne modula gli effetti secondo modalità ritenute dal giudice conformi a buona fede.
È il paragrafo 12.2.1 della motivazione ad esprimere il cuore dell’innovatività della sentenza annotata. L’inesigibilità concretizza la buona fede e il rapporto obbligatorio restitutorio conseguente risulta condizionato tanto dall’affidamento, perché legittimo, ingenerato nel percipiente, quanto dalle condizioni in cui quegli versa.
L’istituto dell’inesigibilità, quindi, in un primo momento imporrebbe l’adozione di un piano di rientro rateale non facoltativo, visto che la pretesa restitutoria, per la Consulta, resta «inesigibile fintantoché non sia richiesta con modalità che il giudice reputi conformi a buona fede oggettiva (ex multis, Consiglio di Stato, sezione seconda, sentenza 10 dicembre 2020, n. 7889; parere 31 dicembre 2018, n. 3010; adunanza plenaria, sentenza 26 ottobre 1993, n. 11)» 17 .
Un’inesigibilità che tempera la rigidità del credito restitutorio pecuniario – che non può estinguersi per impossibilità sopravvenuta della prestazione in favore del debitore percipiente – e che, nel caso fosse temporanea, legittima il ritardo nell’adempimento, disinnescando la possibilità di chiedere l’attivazione della mora debendi 18.
Un’inesigibilità che, sotto altro profilo, può arrivare a legittimare una parziale restituzione dell’indebito, che soltanto «in casi limite potrebbe approssimarsi alla totalità dell’importo dovuto», sempre che si rinvengano particolari situazioni personali del debitore legate a diritti inviolabili.
Circoscritta a queste ipotesi, quindi, una non ripetibilità – totale o parziale – dell’indebito potrebbe verificarsi, ma viene marginalizzata a casi rari, rarissimi, e rimessi alla discrezionalità del giudice.
Infine, la Consulta ricostruisce il sistema interno per la tutela dell’accipiens incolpevole con l’ultimo istituto: la possibilità – laddove ne ricorrano i presupposti – di porre a carico del solvens un obbligo di risarcimento del danno per avere, con la propria condotta (in ipotesi) negligente, ingenerato il legittimo affidamento nel percettore della prestazione di cui, in un secondo momento, si chiede la restituzione, fonte a sua volta di ulteriori pregiudizi.
La sproporzione dell’interferenza nell’affidamento legittimo viene invero esclusa in ragione della possibilità, riconosciuta al soggetto percettore, di accedere alla tutela risarcitoria nei confronti dell’ente a cui sia imputabile l’indebita erogazione della prestazione, in presenza dei presupposti per farne valere una responsabilità precontrattuale. 4.
Osservazioni finali
Con una raffinata motivazione, la Corte costituzionale fa «quadrare l’Ordinamento nazionale con la […] giurisprudenza della Corte EDU»19, come è stato osservato, e se la buona fede è «consustanzialmente idonea, com’è scritto a chiare lettere, “a recepire processi di concretizzazione giurisprudenziale”, la legitimate expectation della Corte EDU, ridotta all’essenziale, altro non è se non una species aggiuntiva di affidamento legittimo che si differenzia da altre tipologie per l’avere ad oggetto una prestazione indebita» 20 .
La Corte costituzionale ha, così, arricchito l’art. 2033 c.c., codificando un istituto rimediale che agisce sul quomodo della ripetizione, l’inesigibilità di «tipo scalare» ex fide bona, in presenza del rapporto «affidamento (incolpevole)/fragilità dell’accipiens (in ragione delle sue condizioni personali/economiche)»21.
L’estrema rilevanza della sentenza n. 8 potrebbe essere temperata – quanto meno da un punto di vista formale – dalla considerazione della sua efficacia: trattandosi invero di pronuncia di rigetto, come noto, essa importa la declaratoria di non illegittimità dell’art. 2033 c.c. con efficacia inter partes, producendo effetti diretti e vincolanti solamente rispetto ai processi a quibus.
Indubbiamente, però, l’efficacia della decisione è anche – e forse soprattutto – persuasiva, poiché difficilmente i giudici di merito e di legittimità potranno non tenerne conto, ma molto più probabilmente dovranno conformarsi all’interpretazione indicata dalla Corte e ritenuta ex autoritate conforme a Costituzione.
L’effetto immediato della pronuncia in commento, quindi, è una – per vero discutibile – dilatazione dei poteri del giudice di merito e di legittimità, che si troverà a dover applicare la sentenza costituzionale nel caso concreto: se infatti la sentenza spiega e concretizza il legittimo affidamento giuridicamente rilevante, lo stesso non vale per il parametro della proporzionalità dell’intervento, per il punto di equilibrio del bilanciamento degli interessi contrapposti, per le condizioni economiche e patrimoniali del debitore e per la “scalare” risposta rimediale: concetti giuridici, questi, dai quali dipende la legittimità dell’ordinamento nazionale, ma che sono ancora troppo vaghi, con il rischio di accentuazione del soggettivismo giuridico e di una contrazione della protezione sociale ai danni del percettore privato in buona fede.
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