{{elencoDettaglioArticolo.categoria}}

La potestà regolamentare delle Casse Previdenziali

{{elencoDettaglioArticolo.sottoTitolo}}

di Gioia Rita Telli

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 3461 del 13 febbraio 2018, è tornata a pronunciarsi sulla questione dei poteri normativi degli enti previdenziali privatizzati.

La questione sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione. La Corte si è pronunciata all’esito di un giudizio, nel quale è stata contestata la legittimità dell’art. 49 del Regolamento Generale della Cassa Forense (nella formulazione applicabile ratione temporis, ossia quella approvata dal Consiglio di Amministrazione della Cassa Forense con delibera n. 133 del 2003, approvata dai Ministeri vigilanti, come da comunicato in G.U. n. 244 del 16 ottobre 2004), nella parte in cui prevede che le pensioni sono rivalutate per la prima volta a partire dal secondo anno successivo a quello di decorrenza, norma sottoposta al vaglio della Suprema Corte in quanto ritenuta in contrasto con il principio generale espresso dagli artt. 16 e 27 della legge n. 576/80, nonché con l’orientamento ripetutamente espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in materia. L’art. 49 del detto Regolamento Generale prevede espressamente che “gli importi delle pensioni erogate dalla Cassa sono aumentati annualmente, per la prima volta a far tempo dal secondo anno successivo a quello di decorrenza, con de-libera del Consiglio di Amministrazione, in proporzione alla variazione dell’indice annuo dei prezzi al consumo delle famiglie di operai ed impiegati, intervenuta nell’anno di decorrenza della pensione e rilevata dall’Istituto nazionale di statistica”.

Appare opportuno rammentare, in proposito, che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con una serie di pronunce rese nel corso degli anni (sentenze nn. 8684/ 1996, 7270/2004, 7279/2004, 7281/2004 e 7282/2004), avevano ritenuto che, in base al combinato disposto degli artt. 16 e 27 della l. n. 576/80, la perequazione della pensione al costo della vita dovesse decorrere dal primo giorno dell’anno successivo alla maturazione dei requisiti per il diritto alla prestazione, sulla base del decreto ministeriale emesso l’anno stesso della maturazione del diritto, il quale, nel fissare i coefficienti di rivalutazione, tiene conto della svalutazione intervenuta l’anno precedente alla sua emissione, ovvero di quell’anno che non viene preso in considerazione nella rivalutazione dei redditi (che si ferma, appunto, all’anno precedente a quello di maturazione del diritto).

La Cassa, con l’introduzione della modifica dell’art. 49 del Regolamento Generale, ha inteso ribadire, tramite un’espressa norma, la contraria interpretazione, già data dall’Ente agli artt. 16 e 27 della l. n. 576/80, in base alla quale i titolari di diritto a pensione, maturato nell’anno di emissione della delibera della Cassa che rileva la variazione dell’indice ISTAT, non possono usufruire di detta variazione con decorrenza dal 1° gennaio dell’anno successivo alla maturazione del diritto stesso, essendo l’epoca di riferimento, considerata da detta delibera, anteriore alla maturazione del diritto. Pertanto, ha espressamente statuito, con l’introduzione della citata norma regolamentare, che i trattamenti pensionistici corrisposti debbano essere rivalutati a partire dal 1° gennaio del secondo anno successivo alla maturazione degli stessi, sulla base della delibera di adeguamento dei coefficienti ISTAT emessa nell’anno precedente (il primo successivo alla maturazione del trattamento), che recepisce l’aumento ISTAT intervenuto tra l’anno di maturazione della pensione e l’anno precedente.

ll contesto normativo e giurisprudenziale.

In ordine all’autonomia normativa delle Casse, giova rammentare che gli enti previdenziali, a seguito della trasformazione in persone giuridiche private – associazioni o fondazioni –, operata dal d.lgs. n. 509/94, devo-no ritenersi soggetti innanzitutto alla disciplina di cui agli artt. 12 ss. del codice civile – come previsto espressamente dall’art. 1, comma 2, del decreto –, che ne prevede l’autonomia statutaria e di auto-organizzazione (in applicazione del più ampio principio di autonomia negoziale previsto dall’art. 1322 c.c., secondo il quale le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge), autonomia che può essere limitata dal legislatore soltanto se ciò risulti essere strettamente rilevante per l’attività pubblicistica svolta.

Pertanto, l’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 509/94 – che ha attuato la delega per il riordino o la soppressione di enti pubblici di previdenza e assistenza, secondo il di-sposto dell’art. 1, comma 32, della L. n.537/93 –, secondo il quale gli enti privatizzati hanno “autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei principi. stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto, in relazione alla natura pubblica dell’attività svolta” e i successivi artt. 3, comma 2, e 1, comma 4, che prevedono che le Casse, proprio in virtù e nell’esercizio di tale autonomia, possono adottare propri Regolamenti e Statuti, con l’unico limite del rispetto di precisi e tassativamente indicati criteri che ne delimitano l’operatività, non fanno altro che fissare i limiti ap-posti all’autonomia che gli enti previdenziali privatizzati possiedono per il fatto stesso della loro natura privata, e tali limiti sono da ritenersi legittimi se funzionali ad una migliore realizzazione delle finalità perseguite. In particolare l’art. 1, comma 3, del predetto D.Lgs. 509/94, ha previsto la continuazione dello svolgimento delle attività assistenziali e previdenziali già esercitate in favore degli iscritti, facendo salvo unicamente l’obbligo di iscrizione e contribuzione, anche qui lasciando, per-tanto, autonome le Casse nella determinazione della disciplina relativa all’esercizio delle suddette attività. Ed ancora l’art. 2, comma 2, fissa come limite generale all’autonomia gestionale, organizzativa e contabile degli enti previdenziali il mantenimento dell’equilibrio di bi-lancio.

Ancora più esplicitamente dispone l’art. 3, comma 4, del D. Lgs. n. 509/94, che ha previsto, una volta avvenuta la trasformazione in fondazione, la permanenza del-l’operatività della disciplina della contribuzione previdenziale già vigente nei singoli ordinamenti degli enti, lasciando spazio, pertanto, per il prosieguo, data la man-cata fissazione in tal sede finanche soltanto di principi e criteri direttivi, all’autonomia normativa delle Casse. Da quanto sopra emerge che gli enti privatizzati possiedono ampia autonomia non soltanto in relazione agli in-vestimenti e alla gestione ed organizzazione complessiva dell’ente, ma anche in ordine alle contribuzioni pretese ed alle prestazioni erogate. Quanto detto trova conferma nell’art. 3, comma 12, del-la legge 8 agosto 1995 n. 335, ove si stabilisce che, per “assicurare l’equilibrio di bilancio”, gli Enti previdenziali privati possono adottare tutti i necessari “provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento e di ogni altro criterio di de-terminazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti”.

Anche in questo caso, infatti, è la legge stessa ad individuare lo spazio di autonomia degli enti previdenziali in materia di erogazione delle prestazioni, con l’individuazione dell’unico limite costituito dal principio del pro rata. Si fa, inoltre, presente che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 15/99, si è occupata di alcuni dubbi di legittimità costituzionale, relativi all’art. 1, comma 4, lett. a), del D.Lgs. n. 509/94, con riferimento agli artt. 76 e 77 Cost., in quanto il D.Lgs. in esame – disponendo che lo statuto degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza trasformati in persone giuridiche private sia ispirato a criteri di trasparenza nei rapporti con gli iscritti e composizione degli organi collegiali, fermi restando i vigenti criteri di composizione degli organi stessi, così come previsti dagli attuali ordinamenti - avrebbe violato i limiti della delega prevista dall’art. 1, comma 33, della legge n. 537/93, la quale non prevedeva alcuna limitazione per la composizione degli organi collegiali, affermando, per contro, la necessità di garantirne l’autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile.

La Corte, pur rigettando la questione di costituzionalità – ritenendo, pertanto, legittima e non eccedente la delega legislativa la previsione del rispetto dei vigenti criteri di composizione degli organi collegiali –, ha comunque riconosciuto la piena autonomia degli enti privatizzati, osservando che “la garanzia dell’autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile degli enti privatizzati […] non attiene tanto alla struttura dell’ente, quanto piuttosto all’esercizio delle sue funzioni” e precisando ancora che è pienamente ammissibile, nel rispetto della delega conferita dalla legge n. 537/93, “l’eventuale indicazione di limiti entro i quali l’autonomia debba essere esercitata”; la Consulta ha affermato, inoltre, che i limiti individuati dal decreto legislativo, in attuazione della delega, riguardano soltanto “lo statuto che deve essere adottato dai competenti organi degli enti con-testualmente alla trasformazione dell’ente in associazione o fondazione”, e tale previsione “non tocca minimamente, quindi, le successive vicende della vita dell’ente”, che può, pertanto, nel corso del tempo, modificare lo statuto ed adottare propri regolamenti. Si rileva, inoltre, che il Consiglio di Stato, nel parere n. 1530/97 – parere richiesto proprio dalla Cassa Forense in ordine al valore precettivo o meramente programmatico della disposizione di cui all’art. 3, comma 12, della legge n. 335/95, in materia di determinazione della base pensionabile in ipotesi di anzianità inferiore a quindici anni, maturata presso gli enti previdenziali privatizzati –, rilevando che la norma in esame ha riconosciuto a tali enti “una sfera di autonomia senza dubbio maggior-mente ampia rispetto alle previsioni già contenute nel D.lgs. n. 509/94”, ha riconosciuto, stante il valore meramente programmatico e non precettivo della suddetta norma, la facoltà delle Casse professionali di aumentare, con apposita delibera, il periodo di riferimento della base pensionabile ai fini del calcolo della pensione, al di là di quanto stabilito dalle leggi previgenti.

Si può, pertanto, affermare che alle Casse, a partire dal momento della trasformazione in fondazioni – con personalità giuridica di diritto privato ai sensi degli artt. 12 e ss. del codice civile –, è stata riconosciuta piena facoltà di derogare alle leggi previgenti, laddove non vi sia un esplicito limite contrario e quando ciò è necessario per garantire l’equilibrio degli Enti e la regolare erogazione delle prestazioni agli iscritti. Ciò posto, la Corte Costituzionale ha affermato che i di-ritti previdenziali possono essere modificati e anche drasticamente ridotti, in quanto debbono essere bilanciati con l’interesse al contenimento della spesa e al mantenimento dell’equilibrio di bilancio (sentenze n. 99 del 1995, n. 417 del 1996 e n. 127 del 1997), perché sol-tanto la tutela di questi interessi può far sì che per il fu-turo possa essere assicurato il godimento degli stessi diritti previdenziali (cfr. Corte Cost. n. 2 del 1994; Trib. Roma, n. 5796/2016). Anche il Consiglio di Stato ha ribadito la natura assolutamente privatistica delle Casse professionali e, dunque, la loro piena autonomia nelle materie di competenza, fermi restando i controlli previsti dalla disciplina vigente (Ministeri vigilanti, Corte dei Conti) (Cons. Stato, 1 ot-tobre 2014, n. 4882). Si rileva, inoltre, che la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 254/2016 del 18/10/2016, in ordine alla questione attinente la legittimità dei Regolamenti emanati dalla Cassa Forense, ha, tra l’altro, affermato che i Regolamenti adottati dalla Cassa “sono riconducibili ad un pro-cesso di privatizzazione degli enti pubblici di previdenza e assistenza che si inserisce nel contesto del complessivo riordinamento o della soppressione di enti previdenziali” e che “questo assetto è stato realizzato attraverso una sostanziale delegificazione della materia, come osservato anche dalla Corte di Cassazione, con la sentenza 16 novembre 2009, n. 24202”. Il giudice delle leggi, inoltre nella sentenza n. 7/2017, depositata in data 11/01/2017, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della normativa che dispone l’obbligo di versamento al bilancio dello Stato delle somme derivanti dalla riduzione della spesa per consumi intermedi delle Casse di previdenza e di assistenza privatizzate. La pronuncia, al di là del tema specifico affrontato, rappresenta invero un passaggio davvero importante per le Casse, poiché la Corte evidenzia che “l’ingerenza del prelievo statale rischia di minare gli equilibri che costituiscono elemento indefettibile dell’esperienza previdenziale auto-noma […] cosicché ogni spesa eccedente al necessario finisce per incidere negativamente sul sinallagma macroeconomico tra contributi e prestazioni” in quanto la configurazione della norma (quella oggetto di valutazione di legittimità, n.d.r.) aggredisce, sotto l’aspetto strutturale “la correlazione contributi-prestazioni, nell’ambito della quale si arti-cola la naturale missione delle Casse di previdenza di preservare l’autosufficienza del proprio sistema previdenziale”. Invero, per la Corte, “il relativo assetto organizzativo e finanziario, basato sul principio mutualistico, deve essere preservato in modo coerente con l’assunto dell’autosufficienza economica, dell’equilibrio della gestione e del vincolo di destinazione tra contributi e prestazioni”.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 3461 del 13 febbraio 2018.

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 3461 del 13 febbraio 2018, ha confermato l’orientamento della giurisprudenza costituzionale e di legittimità sui poteri normativi degli enti previdenziali privatizzati, ritenendo pienamente legittima la modifica dell’art. 49 del Regolamento Generale della Cassa, dando con ciò l’ennesima conferma dell’autodichia dell’Ente e della conseguente delegificazione della materia. Facendo espressamente seguito alle precedenti pronunce n. 19981/2017, n. 12209/2011 e n. 24202/2009, la Suprema Corte ha ritenuto di dare continuità all’orientamento della precedente giurisprudenza non solo di legittimità, ma anche costituzionale, che ha ritenuto che l’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 509/94 – che ha attuato la delega per il riordino o la soppressione di enti pubblici di previdenza e assistenza, secondo il disposto dell’art. 1, comma 32, della L. n.537/93 –, secondo il quale gli enti privatizzati hanno “autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto, in relazione alla natura pubblica dell’attività svolta”, non fa altro che fissare i limiti apposti all’autonomia che gli enti previdenziali privatizzati possiedono per il fatto stesso della loro natura privata e tali limiti sono da ritenersi legittimi, se funzionali ad una migliore realizzazione delle finalità perseguite.

Pertanto, tali Enti, che non fruiscono di finanziamenti o di altri ausili pubblici di carattere finanziario e mantengono la funzione di enti senza scopo di lucro, cui continuano a fare capo i rapporti attivi e passivi ed il patrimonio dei precedenti enti previdenziali, hanno assunto la personalità giuridica di di-ritto privato con il mantenimento dei poteri di controllo ministeriale sui bilanci e di intervento sugli organi di amministrazione (cfr. art. 14 l. n. 111/2011) in aggiunta alla generale soggezione al controllo della Corte dei Conti ed a quello politico da parte della Commissione parlamentare di cui all’art. 56 della legge n. 88/1989. La Suprema Corte, come già affermato dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 248/97, ha evidenziato che la modifica degli strumenti di gestione, legati alla differente qualificazione giuridica dei detti Enti, non ha, peraltro, mutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza e assistenza svolta dall’ente originario, permanendo l’obbligatorietà della contribuzione a conferma della rilevanza pubblicistica dell’inalterato fine previdenziale, oltre che del principio di autofinanziamento (cfr. anche Corte Cost, n. 15/1999). La Suprema Corte, richiamando anche espressamente l’ordinanza della Corte Costituzionale n. 254/2016, sopra citata, ha, pertanto, nuovamente ribadito che il ri-conoscimento, operato dalla legge in favore dei nuovi soggetti, dell’autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile, pur con l’eventuale imposizione di limiti al suo esercizio, ha realizzato una sostanziale delegificazione, attraverso la quale, nel rispetto dei limiti imposti dalla stessa legge, è concesso agli Enti previdenziali privatizzati di regolamentare le prestazioni a proprio carico anche derogando a disposizioni di legge (conforme anche la più recente sentenza della Suprema Corte n. 4980/2018).

La Suprema Corte ha, quindi, definitivamente confermato l’ampiezza dei poteri normativi della Cassa, inquadrandoli nello schema della delegificazione, che trova al tempo stesso fondamento e limite nell’equilibrio di bilancio, che l’Ente è tenuto a mantenere (cfr. art. 14 l. n. 111/2011), arrivando a concludere in favore della piena legittimità della previsione, da parte della Cassa, con proprio regolamento, di norme che siano in aperto con-trasto con disposizioni di legge precedenti nell’interpretazione datane addirittura dalla stessa giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione; ed infatti, con riferimento alla specifica fattispecie sottoposta al vaglio della Suprema Corte – riguardante, come detto, la legittimità della norma di cui all’art. 49 del Regolamento generale della Cassa –, nella motivazione della sentenza stessa si legge: “è, altresì, evidente che alla luce del nuovo contesto normativo non assuma alcun rilievo l’orientamento giurisprudenziale formatosi in relazione alla previgente disciplina che prevedeva che gli aumenti annuali delle pensioni a carico della cassa forense […] dovessero essere applicati anche a favore dei soggetti che avessero conseguito il diritto a pensione nell’anno di emissione della relativa delibera”. Quindi, in sostanza, la potestà regolamentare dell’ente può operare in difformità della fonte primaria di legge, pur in presenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato in senso contrario. Tale pronuncia rimarca, pertanto, l’autonomia della Cas-sa e la discrezionalità che caratterizza il relativo esercizio regolamentare, riaffermando il principio già espresso dalla Corte Costituzionale, in base al quale, in virtù del-l’esigenza di stabilità di bilancio – che rappresenta il principale limite funzionale all’esercizio dei suoi poteri regolamentari – la Cassa può, con proprio regolamento, abrogare a disposizioni di legge.

L’ulteriore conferma della Corte Costituzionale.

Da ultimo, si rileva che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 67/2018, proprio a seguito di rimessione da giudizio avente come parte la Cassa Forense, ha confermato i principi già espressi in precedenza in ordine al-l’autonomia regolamentare che caratterizza gli enti previdenziali privatizzati. La Consulta ha, infatti, ulteriormente ribadito – e proprio richiamando la pronuncia della Suprema Corte del 13 febbraio ultimo scorso – che “l’abbandono di un sistema interamente disciplinato dalla legge, dopo la trasformazione della Cassa in fondazione di diritto privato, al pari di altre Casse categoriali di liberi professionisti, in forza del D.Lgs. n. 509/1994, e l’apertura all’autonoma regolamentazione del nuovo ente non hanno indebolito il criterio solidaristico”, “con il citato D.Lgs. n. 509 del 1994, il legislatore delegato, in attuazione di un complessivo disegno di riordino della previdenza dei liberi professionisti, ha arretrato la linea d’intervento della legge (si è parlato in proposito di delegifi-cazione della disciplina: da ultimo, Cassazione Civile, n. 3461/2018), lasciando spazio alla regolamentazione provata delle fondazioni categoriali, alle quali è assegnata la missione di moderare tale forma di previdenza” … “Rientra ora nel-l’autonomia regolamentare della Cassa dimensionare la contribuzione degli assicurati”.


Note

Argomenti correlati

Categoria