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L’azione risarcitoria nei confronti dell’ente di previdenza per danni derivanti da erronee comunicazioni *

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Daniela Calafiore

L’errore dell’Ente previdenziale e l’affidamento dell’assicurato

L’esperienza pratica formatasi in materia di rapporto previdenziale mostra come i temi dell’errore dell’ente previdenziale e l’affidamento dell’assicurato nello svolgimento del rapporto previdenziale ricorrano spesso. Ciò anche in considerazione della complessità del sistema previdenziale, sia dal punto di vista della organizzazione delle gestioni assicurative interessate e delle specifiche regole d’azione che le stesse devono osservare, che da quello della posizione del singolo assicurato che vede concretizzati i diritti di protezione sociale coperti dall’art. 38 Cost. anche attraverso la correttezza dell’attività di amministrazione attiva della propria posizione assicurativa.

Frequentemente, l’assicurato lamenta di aver subito un danno dalla cattiva gestione di alcune fasi del rapporto che lo lega all’ente previdenziale, nella correttezza della quale aveva posto legittimo affidamento, ed altrettanto frequentemente – nella diversa materia ad esempio della disciplina dell’indebito previdenziale – si individua nel legittimo affidamento dell’accipiens l’elemento necessario, almeno in via interpretativa, per neutralizzare la pretesa dell’ente di ottenere la restituzione della prestazione erroneamente erogata.

L’atteggiamento della giurisprudenza di legittimità, ad una prima impressione, si caratterizza per una forte impronta pragmatica, tesa a risolvere la concreta questione specifica attraverso il ricorso a schemi di diritto civile generale a cui si fa seguire un complesso di conseguenze.

Una lettura più attenta, tuttavia, evidenzia l’affiorare di regole di soluzione delle questioni non del tutto coerenti tra di loro. All’interno di una più ampia riflessione, dunque, è utile analizzare i percorsi fino a questo momento seguiti e favorire l’emersione delle questioni non affrontate ex professo ma tuttavia implicite nella ricostruzione del sistema normativo applicabile.

Si individuano, a tale scopo, due aree di indagine che saranno affrontate nel presente scritto ed in altro successivo: l’azione risarcitoria proposta dall’assicurato nei confronti dell’ente di previdenza per danni derivanti da erronee comunicazioni ed informazioni e l’azione di ripetizione dell’indebito previdenziale.

La responsabilità civile degli enti previdenziali nella giurisprudenza di legittimità

Quello della responsabilità civile degli enti previdenziali è uno dei temi di diritto civile generale che l’esperienza pratica registra con maggiore frequenza e sui quali è caduta l’attenzione di taluni studiosi. 1

Con opinione univoca, da oltre un ventennio, si afferma la natura contrattuale della responsabilità dell’ente previdenziale per aver fornito errate informazioni che abbiano arrecato danno all’assicurato, e ciò in quanto viene ribadito che l’Istituto risponde del danno derivato da un proprio errore di comunicazione, salvo che provi che la causa dell’errore sia esterna alla sua sfera di controllo o comunque che l’errore sia stato inevitabile anche con la dovuta diligenza.

La regola pratica è stata affermata sin da Cassazione n. 8613 del 1993 che superò il precedente orientamento 2 che si era espresso nel senso che la domanda con la quale l’assicurato, senza contestare la legittimità della reiezione della propria istanza di pensione di anzianità, chiede la condanna dell’Inps al risarcimento dei danni, derivatigli dalle dimissioni dal posto di lavoro prima della maturazione del diritto a pensione, deducendo che tali dimissioni siano state indotte da erronee indicazioni dell’istituto circa la spettanza del trattamento di quiescenza, non implica l’applicazione di norme previdenziali, secondo la previsione di cui all’art 442 cod. proc. civ., e, pertanto, esula dalla competenza per materia del pretore in funzione di giudice del lavoro.

La citata Cass. n. 8693 del 1993, specificando l’oggetto della causa risarcitoria, proposta in subordine rispetto a quella di riconoscimento del diritto a pensione in conseguenza del versamento di un onere di ricongiunzione calcolato dall’INPS in modo erroneo, osservò che «[…] la ricorrente chiede la corresponsione della pensione di vecchiaia – nonostante che il contributo di riscatto sia di entità maggiore rispetto a quello da lei corrisposto all’INPS – per esser risarcita dal danno cagionatole con l’abbandono del posto di lavoro, determinato dalla erroneità del calcolo del contributo stesso. La ricorrente fonda, quindi, la sua pretesa risarcitoria sulla violazione colposa di uno specifico obbligo comportamentale da parte dell’istituto – che è controparte del rapporto assicurativo che ad esso lo astringe – e quindi, sostanzialmente, sul piano della responsabilità contrattuale – e non un qualsiasi terzo che abbia leso un’altrui posizione giuridica. È innegabile – di conseguenza che anche tale lite – che si incentra sulla violazione di un dovere di correttezza specifico – consistente nell’uso della dovuta diligenza e professionalità nel compiere operazioni amministrative su cui si fondano decisioni di portata esistenziale da parte dell’assicurato – rientri fra “le controversie riguardanti le assicurazioni sociali” che l’art. 442 cpc attribuisce alla competenza per materia al giudice del lavoro. […] Senza, quindi, includere nel suo ambito i comportamenti di più generica correttezza amministrativa - sorretta, tuttavia, non dal generico dovere del neminem ledere - bensì dalla specifica finalizzazione del comportamento dell’ente previdenziale alla realizzazione dell’interesse tutelato per l’assicurato. […]».

La giurisprudenza successiva della Sezione lavoro si mostra sostanzialmente conforme a tale indirizzo (si segnalano, tra i precedenti massimati, Cass. n. 9775 del 1996, n. 1800 del 1999, n. 14593 del 2000; n. 14668 del 2001; n. 3613 del 2002; Cass. n. 8118 del 2008). Con tale ultima decisione, in particolare, la fattispecie sostanziale si costruisce con rinvio all’obbligo dell’Istituto, ai sensi della L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 54, di comunicare all’assicurato che ne faccia richiesta, i dati relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica.

A ben guardare, la fattispecie risarcitoria viene dunque ricostruita con riferimento ad un obbligo specifico definito dalla legge che regola l’azione dell’ente amministrativo ed è la lesione di tale obbligo che, congiuntamente all’affidamento che l’assicurato ripone nell’attività amministrativa, integra l’elemento costitutivo del diritto al risarcimento del danno.

Dunque, si afferma che «[…] la violazione dell’obbligo di comunicazione cui fa riferimento la norma presuppone una specifica richiesta dell’interessato, e proprio per la indicata funzione attribuita dalla legge alla comunicazione cui l’ente previdenziale è tenuto in ordine alla situazione previdenziale e pensionistica dell’assicurato, legittimamente costui fa affidamento sulla esattezza dei dati a lui forniti, così come la giurisprudenza di questa ha sottolineato in analoga controversia (v. in motivazione la già citata pronuncia L. n. 19340/03)».

Di portata ben più ampia è Cass. n. 15083 del 2008 che, nell’esaminare il rapporto tra azione risarcitoria avente ad oggetto la corresponsione a tale titolo della prestazione previdenziale e l’azione diretta a conseguire la medesima prestazione, afferma che le due azioni hanno in effetti il medesimo oggetto e che non è di ostacolo all’accoglimento della domanda risarcitoria avente ad oggetto la prestazione perduta in via diretta l’eventuale decadenza prevista dall’art. 47 d.p.r. n. 639 del 1970, infatti «non si ravvisa alcuna duplicazione né alcuna indebita interferenza tra l’azione diretta a conseguire una prestazione e l’azione di risarcimento del danno per indebita negatoria della prestazione stessa …. 8. Poiché nella specie sussiste un rapporto obbligatorio tra INPS ed assicurato, non si verte in tema di responsabilità generale aquiliana, bensì in tema di responsabilità “lato sensu” contrattuale, onde la colpa si presume. …. È vero che, come paventato dalla Corte di Appello, in tal modo si finisce per reintrodurre a titolo di risarcimento del danno il contenuto di domande di prestazioni colpite da preclusione o decadenza: ma questa precisamente è la portata della norma, la quale tende ad apprestare un rimedio risarcitorio a situazioni di obiettiva ingiustizia, pur precluse in via amnistrativa».

Tale posizione, contraddetta da Cassazione n. 7683 del 2010 ed anche da Cass. n 1660 del 2012; n. 23282 del 2016 e n. 23114 del 2019, che hanno condizionato la responsabilità dell’INPS al fatto che la situazione contributiva sia comunicata dall’ente a seguito della presentazione della domanda dell’interessato e che non si sia specificata la provvisorietà dei dati forniti e dell’eventuale presenza di errori, al fine di verificare, con la collaborazione dell’assicurato, la sua posizione contributiva, risulta nuovamente superata da Cass. n. 21454 del 2013 che nell’ipotesi in cui l’I.N.P.S. abbia fornito all’assicurato, mediante il rilascio di estratti-conto assicurativi, contenenti risultanze di archivio e pur se privi di sottoscrizione, una erronea indicazione (in eccesso) del numero dei contributi versati, il danno sofferto dall’interessato per la successiva interruzione del rapporto di lavoro per dimissioni e del versamento dei contributi, è riconducibile non già a responsabilità extracontrattuale, ma contrattuale, in quanto fondata sull’inadempimento dell’obbligo legale gravante su enti pubblici dotati di poteri di indagine e certificazione, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.), di non frustrare la fiducia di soggetti titolari di interessi al conseguimento di beni essenziali della vita (quali quelli garantiti dall’art. 38 Cost.), fornendo informazioni errate o anche dichiaratamente approssimative, pur se contenute in documenti privi di valore certificativo.

Ancor più esteso risulta il campo di operatività dell’azione risarcitoria secondo Cass. n. 23050 del 03/10/2017, che ha ritenuto l’ente previdenziale tenuto a risarcire il danno sofferto dall’interessato per il mancato conseguimento del diritto a pensione, a titolo di responsabilità contrattuale, fondandolo sull’inadempimento dell’obbligo legale gravante sugli enti pubblici, dotati di poteri di indagine e certificazione, di non frustrare la fiducia di soggetti titolari di interessi al conseguimento di beni essenziali della vita (quali quelli garantiti dall’art. 38 cost.), ancorché le informazioni erronee siano state fornite mediante il rilascio di estratti-conto assicurativi non richiesti dall’interessato e inidonei a rivestire efficacia certificativa.

Di certo interesse, inoltre, è la posizione soggettiva dell’assicurato e del grado di consapevolezza che lo stesso ha dell’errore in cui è incorso l’Istituto. Così si registra la posizione di Cass. n. 6643 del 2020, secondo cui l’erronea certificazione resa dall’ente previdenziale all’assicurato, che sia lavoratore autonomo, circa la sua posizione contributiva, non comporta la responsabilità risarcitoria, di natura contrattuale, dell’ente, poiché il valore certificativo delle comunicazioni ex art. 54 della l. n. 88 del 1989 può logicamente predicarsi soltanto per quelle concernenti i dati di fatto della posizione previdenziale rilasciate ad assicurati che, rispetto al rapporto contributivo sulla cui base è modulato il loro rapporto previdenziale, siano terzi, e, quindi, non possano avere conoscenza alcuna dei predetti dati, ma non anche per le comunicazioni rilasciate ad assicurati che siano anche parte del rapporto contributivo stesso, i quali non possono fondare alcun affidamento meritevole di tutela su eventuali errori compiuti dall’ente nella comunicazione di notizie che rientrano nella loro diretta sfera di conoscibilità.

Ancora, la citata Cass. n. 23114 del 17/09/2019 ha riconosciuto la responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. dell’INPS in ipotesi di errate comunicazioni (contraddetta tuttavia da Cass. sez. III n. 14556 del 2022), ed ha ammesso che il giudice possa limitare il risarcimento dovuto nell’ipotesi in cui l’assicurato medesimo – non essendosi attivato per interrompere il processo produttivo dell’evento dannoso, così rassegnando le proprie dimissioni malgrado l’evidente erroneità, riscontrabile sulla base dell’ordinaria diligenza, dei dati contributivi a lui comunicati – abbia concorso al verificarsi del predetto evento, ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., ed ha pure ritenuto che l’omesso controllo, ad opera dell’interessato, dei dati forniti dall’INPS non potesse ritenersi di per sé solo causa del danno, ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c., ed escludere la responsabilità dell’Istituto, in quanto la sussistenza di un obbligo di informazione dell’ente pubblico ed il legittimo affidamento dell’assicurato in ordine all’esattezza dei dati comunicatigli dalla pubblica amministrazione determinano l’applicazione del principio dell’equivalenza delle condizioni ex art. 41, comma 1, c.p.

Da questa breve e sintetica rassegna si evince che il percorso della giurisprudenza di legittimità si svolge, con una certa dose di elasticità, nel senso della ricostruzione di una fattispecie astratta di azione risarcitoria, ammessa nei confronti dell’ente previdenziale, tipizzata quanto al presupposto dell’attività che realizza l’inadempimento dell’Istituto (variando dalla necessità che l’errata comunicazione discenda da un rituale procedimento di specifica interrogazione, al mero rilascio di un prospetto contributivo anche esplicitamente solo orientativo) che al grado di affidamento dell’assicurato all’interno dell’azione risarcitoria, che si assume essere di natura contrattuale in quanto derivante dalla lesione di uno specifico obbligo di legge.

Spunti di riflessione: la relazione tra la responsabiità civile degli enti pubblici nell’ambito generale ed in quello settoriale della previdenza sociale

La riflessione che la ricognizione degli orientamenti giurisprudenziali suggerisce è innanzi tutto quella di verificare se può parlarsi di una disciplina della responsabilità civile degli enti previdenziali connotata da caratteri peculiari che ne consentano, a livello sistematico, una ricostruzione in termini di parziale scosta- mento dalla disciplina generale che, come è noto, occupa un ambito del diritto amministrativo di notevole complessità.

Infatti, il quadro soggettivo della previdenza sociale si caratterizza per la pluralità dei soggetti che la gestiscono, di natura pubblica (innanzi tutto INPS ed INAIL) ed anche privatizzata (Casse professionali). Prendendo le mosse da ciò che tradizionalmente si connette alla nozione di responsabilità civile della p.a. e senza alcuna aspirazione alla completezza, deve innanzi tutto registrarsi l’indubbia influenza che sugli orientamenti sopra ricordati ha rivestito il dibattito dottrinale sorto sulla tematica della responsabilità contrattuale da contatto qualificato.

Si leggano sul punto le articolate osservazioni di Vincenzo Carbone3 a commento anche della citata Cassazione n. 21454 del 2013. È palese la collocazione di tale orientamento all’interno della categoria, posta in seno allo stretto diritto civile, delle fattispecie risarcitorie del tutto peculiari, quali sono quella della responsabilità da falsa informazione e da contatto sociale. Si afferma appunto che, posta la pacifica applicabilità ai pubblici poteri delle norme sulla responsabilità civile contrattuale ed aquiliana (ad esempio, artt. 1218 ss., 2043 ss., 2229 ss. c.c.), il contatto tra la p.a. erogatrice d’informazioni e l’utente si colloca sempre nel quadro di un procedimento amministrativo strumentale ad altro principale.

Anzi, la relazione tra soggetto pubblico e privato nasce a seguito dell’esercizio da parte di quest’ultimo del legittimo potere d’iniziativa e d’impulso alla sequenza procedimentale. La esemplificazione della messa in relazione tra cittadini e amministrazione include la fattispecie della richiesta da parte dei primi d’informazioni orali o scritte agli uffici di quest’ultima, che, se trasfuse in veri e propri atti amministrativi, assumono la consistenza dei c.d. atti di conoscenza, secondo la locuzione di cui la dottrina si avvale.

La responsabilità da inadempimento di tale obbligazione ha come fonte la legge, tale è quella di comportarsi secondo correttezza e buona fede, prevista dall’art. 1175 c.c. e l’applicazione al tema che si tratta realizza l’evoluzione della responsabilità da inadempimento applicabile anche alle obbligazioni ex lege e non più strutturato sulle sole obbligazioni ex contractu. Così si registra il tramonto della “responsabilità contrattuale”, spesso utilizzata come sinonimo della “responsabilità da inadempimento” o come comune denominatore di qualsiasi precedente obbligazione avente come fonte o il contratto o la legge e l’errata equiparazione tra “responsabilità extracontrattuale” e “responsabilità aquiliana o da fatto illecito”.

Si supera, per tale via, la necessità di attribuire, come avviene nella ipotesi di responsabilità da fatto dannoso ex art. 2043, l’onere della prova al danneggiato creditore e non al debitore inadempiente. Inoltre, la prescrizione, che è quinquennale per l’illecito aquiliano, è decennale per la responsabilità da inadempimento di un’obbligazione che nasce dalla legge, e quindi non da contratto, ed è sempre il debitore – sia pure ex lege – a dover provare, a norma dell’art. 1218 c.c. che “l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.

Come è noto, la categoria della responsabilità da contatto sociale non è accettata in modo unanime in dottrina 4 ma ha trovato terreno favorevole nella giurisprudenza l'orientamento, denza di legittimità 5 e va guardato con favore l’indirizzo più recente che, proprio per mitigare le rischiose nebulosità strutturali, ne ancora l’operatività alla previa individuazione di «posizioni di garanzia», similmente a quanto avviene nel sistema penale in relazione al tema della causalità omissiva impropria, ed alla tutela di di-ritti fondamentali con solido riconoscimento di diritto positivo, come accade per il diritto alla salute e, nel nostro caso, per le tutele previdenziali di cui all’art. 38 Cost.

La posizione di garanzia va, peraltro, vista in correlazione agli obblighi preesistenti alla lesione, ancorché non si tratti di obblighi di prestazione, bensì di obblighi di protezione correlati all’obbligo di buona fede.

Dunque, sarà sempre indispensabile quell’opera di mediazione interpretativa che realizza l’attività della giurisprudenza alla quale è rimesso, all’interno della matrice così identificata, di vagliare il binomio tra l’attività gestionale del soggetto in posizione di garanzia e la situazione di legittimo affidamento in cui il cittadino-assicurato in concreto versi.

Quanto sin qui detto, posto che si è sul campo della concreta individuazione della posizione di garanzia che ordinamento assegna attraverso specifici indici di diritto positivo, non può non valere per tutti i soggetti che gestiscono attività nell’ambito delle tutele previdenziali, specie se obbligatorie, e dunque anche nei confronti delle Casse professionali e degli Enti assimilabili.

Il processo che ha condotto alla trasformazione di taluni enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza in persone giuridiche private (nella forma giuridica delle associazioni o delle fondazioni, in base all’art. 12 c.c.) disposto con il D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, non elimina gli elementi idonei a distinguere tali soggetti, da un punto di vista sostanziale, dagli  altri soggetti privati per le caratteristiche pubblicisti-che dell’attività che sono istituzionalmente chiamati a svolgere, senza scopo di lucro, attività previdenziali e assistenziali in favore di professionisti obbligati, in base alla legge, all’iscrizione e alla contribuzione e conseguentemente volto a perseguire il soddisfacimento di bisogni di interesse generale di carattere non industriale o commerciale ai sensi dell’art. 38 della Costituzione, non ha compromesso il sistema della contribuzione obbligatoria, che connota il principio «solidaristico che informa il sistema di previdenza vigente nell’ordinamento» (vd. ad es. Corte Cost. n. 404 del 2000, n. 254 del 2016 e, tra le tante, Cass. 10216 del 2020).

 


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