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Inadempienza contributiva nelle previdenze categoriali e riflessi pensionistici

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di Daniela Carbone

Come più volte statuito dalla Suprema Corte di Cassazione, il principio generale dell’automatismo delle prestazioni previdenziali vigente, ai sensi dell'art. 2116 c.c. nel rapporto fra lavoratore subordinato e datore di lavoro, da un lato, ed ente previdenziale, dall'altro, non trova applicazione nel rapporto fra lavoratore autonomo (e, segnatamente, libero professionista) ed ente previdenziale - nel difetto di esplicite norme di legge (o di legittima fonte secondaria) che eccezionalmente dispongano in senso contrario - con la conseguenza che il mancato versamento dei contributi obbligatori impedisce, di regola, la stessa costituzione del rapporto previdenziale e, comunque, la maturazione del diritto alle prestazioni (cfr. Cass. n. 7602 del 2003; Cass. n. 11895 del 1995; Cass. n. 4149 del 1988; con specifico riferimento a libero professionista, Corte cost. 1° luglio 1986, n. 204; Cass. 21 novembre 2014 n. 24882;   Cass. n. 23164 del 2007; Cass. n. 6340 del 2005; Cass. n. 18720 del 2004; Cass. n. 9525 del 2002; Cass. n. 4153 del 1980).

  Nelle previdenze categoriali dei liberi professionisti, l’omesso versamento dei contributi, non consente il riconoscimento della pensione non risultando versata la contribuzione con i relativi accessori e non trovando applicazione al rapporto di lavoro autonomo, qual è il libero professionista, e l’ente previdenziale, il principio dell’automatismo della prestazione previdenziale, poiché nel caso di specie il soggetto beneficiario della prestazione coincide con quello tenuto al versamento della contribuzione.

Con riferimento alla inadempienza contributiva del professionista nei confronti della propria cassa di previdenza, occorre distinguere la fattispecie di omesso totale versamento dei contributi, da quella di parziale adempimento dell’obbligo contributivo da parte del professionista medesimo.

  E ciò perché, in caso di omissione contributiva totale, non operando, come già detto, nella previdenza forense il menzionato principio di automaticità delle prestazioni, gli anni per i quali i contributi risultano dovuti ma non versati alla cassa categoriale, non possono essere computati né ai fini del diritto né ai fini del quantum della pensione (v., M.Bella, Necessaria la regolarità contributiva per l’accesso alla pensione: l’iscritto non può scegliere il tipo di pensione in base ai contributi versati, in CF News; L. Carbone, Inadempienze contributive e riflessi pensionistici, in Prev. Forense, 2017, 125; Id., Previdenza forense: parziale omissione contributiva e costituzione di rendita vitalizia, in Foro it., 2007, I,837).

   In caso di parziale omissione contributiva, il versamento di una contribuzione inferiore al dovuto “influisce” sulla misura della pensione, in quanto l’inadempienza “abbassa” la media del reddito professionale sul quale si calcola la pensione.

   Infatti, come ribadito a più riprese dalla Suprema Corte (da ultimo con sentenza n.15643 del 14.6.2018, in questo fascicolo), nel sistema che regola la cassa di previdenza dei liberi professionisti, ove i versamenti contributivi siano stati non integrali, seppure in piccola parte, e i relativi crediti siano prescritti, salvo diversa espressa disciplina, gli anni concorrono a formare l’anzianità contributiva e vanno inseriti nel calcolo della pensione, prendendo come base il reddito sul quale è stato effettivamente versato il contributo: la pensione, infatti, va calcolata solo sulla base del reddito sul quale è stato effettivamente pagato il contributo.

La parziale omissione contributiva di norma non influisce, quindi, sulla “anzianità” di iscrizione alla cassa per il diritto alla prestazione (e cioè sulla validità degli anni ai fini pensionistici).

Infatti, di norma le discipline delle previdenze categoriali prevedono che la parziale omissione del contributo non determina la perdita (o la riduzione) dell’anzianità e dell’effettività di iscrizione alla Cassa; le normative prevedono solo il pagamento di somme aggiuntive e la possibilità di irrogazione di sanzioni disciplinari da parte del competente Ordine professionale.

    La parziale omissione contributiva determina, invece, la inefficacia degli anni non coperti da integrale contribuzione nel caso in cui ciò è previsto dalla disciplina previdenziale e/ ordinamentale della categoria.

   E’ il caso della previdenza forense: l’art.1 del regolamento (della Cassa forense)  del 16.12.2005, approvato con ministeriale 24.7.2006 (in Gazzetta ufficiale n.189 del 16 agosto 2006), statuisce espressamente che “Sono considerati inefficaci ai fini del riconoscimento del diritto a pensione, nonché per il calcolo della stessa, gli anni di iscrizione alla cassa per i quali risulti  accertata una omissione, anche parziale, nel pagamento di contributi che non possono più essere richiesti e versati per intervenuta prescrizione”.

  La legittimità del menzionato regolamento è stata, peraltro, ribadita sia da Cass. n.7621/2015, che dalla Corte di appello di Roma con sentenza n.10109 del 2014, ritenendosi e precisandosi che l’anno per il quale sia stato rilevato un debito contributivo prescritto possa essere dichiarato invalido soltanto qualora il termine di prescrizione dei relativi contributi risulti decorso dopo l’entrata in vigore del Regolamento per la rendita vitalizia del 2006.

E per quanto concerne la legittimità dei Regolamenti emanati dalla Cassa (nel caso che ci occupa il Regolamento sulla Rendita Vitalizia che ha esplicitato il principio – già presente indirettamente nell’art. 2 della legge 576/80 nella parte in cui condiziona l’ammissione a pensione alla “effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa” -  dell’invalidità dell’anno ai fini pensionistici in presenza di un debito contributivo prescritto, anche in deroga a quanto disciplinato da una norma di legge), la Corte Costituzionale, con ordinanza  25.11.2016, n.254 ha, tra l’altro, ha affermato che i Regolamenti adottati dalla Cassa “sono riconducibili ad un processo di privatizzazione degli enti pubblici di previdenza e assistenza che si inserisce nel contesto del complessivo riordinamento o della soppressione di enti previdenziali” e che “questo assetto è stato realizzato attraverso una sostanziale delegificazione della materia, come osservato anche dalla Corte di Cassazione, con la sentenza 16 novembre 2009, n. 24202”.

Principi ribaditi da Corte cost. n.7/2017, che al di là del tema specifico affrontato, evidenza che l’ingerenza del prelievo statale rischia di minare gli equilibri che costituiscono elemento indefettibile dell’esperienza previdenziale autonoma…..cosicchè ogni spesa eccedente il necessario finisce per incidere negativamente sul sinallagma macroeconomico tra contributi e prestazioni” in quanto la configurazione della norma aggredisce sotto l’aspetto strutturale “la correlazione contributi-prestazioni, nell’ambito della  quale si articola la naturale missione delle Casse di previdenza di preservare l’autosufficienza del proprio sistema previdenziale”. Invero, per la Corte, “il relativo assetto organizzativo e finanziario, basato sul principio mutualistico, deve essere preservato in modo coeerente con l’assunto dell’autosufficienza economica, dell’equilibrio della gestione e del vincolo di destinazione tra contributi e prestazioni”.

     


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