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Nel nostro precedente articolo pubblicato su questa rivista (n. 1/2016, pag. 19 e segg.), dopo aver indicato una serie di precedenti della giurisprudenza di merito, in gran parte orientati a ritenere che i professionisti non obbligati a iscriversi alle casse di previdenza private – e fra questi gli avvocati per il periodo antecedente all’emanazione del regolamento ex art. 21 L. 247/2012 – non fossero tenuti all’iscrizione nella Gestione Separata INPS ed al pagamento della relativa contribuzione, perché comunque tenuti al pagamento del contributo integrativo, segnalavamo che la questione era anche approdata alla S.C. e che si sarebbe dovuto attendere una decisione degli Ermellini per avere un chiaro più quadro della situazione. La sentenza, in realtà due nella stessa giornata, è arrivata ed è stata infausta per i professionisti (nella specie architetti), anche se per qualcuno la parola fine non è stata ancora scritta.
Parliamo delle sentenze nn. 30344 e 30345 del 18/12/2017, con le quali la S.C. ha affermato il principio secondo cui “gli ingegneri e gli architetti iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie, che non possono iscriversi all'INARCASSA, alla quale versano esclusivamente un contributo integrativo di carattere solidaristico in quanto iscritti agli albi, cui non segue la costituzione di alcuna posizione previdenziale a loro beneficio, sono tenuti comunque ad iscriversi alla gestione separata presso l'INPS, in quanto secondo la "ratio" dell'art. 2, comma 26, della l. n. 335 del 1995, l'unico versamento contributivo rilevante ai fini dell'esclusione di detto obbligo di iscrizione è quello suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo una correlata prestazione previdenziale”. Ma prima di addentrarci nella disamina della decisione della Cassazione, appare opportuno fare un passo indietro e ricordare i prodromi di questa pronuncia. Tutto nasce dalla c.d. operazione Poseidone, avviata nel 2011 dall’INPS, all’epoca presieduta dal famigerato Mastropasqua, che, in concerto con l’Agenzia delle Entrate, mirava al recupero di circa sei milioni di euro di contributi “sommersi”, attraverso l’iscrizione di ufficio, alla propria gestione separata, anche dei professionisti iscritti ad un albo dotato di propria Cassa previdenziale, ma che a quella Cassa per ragioni di reddito o diverse, non fossero effettivamente iscritti. L’iniziativa coinvolge, oltre agli avvocati, anche ingegneri, architetti, dottori commercialisti, ragionieri, geometri, medici, soci amministratori di società semplici. Vengono inoltrate dapprima migliaia di raccomandate con richieste di pagamento per somme non versate cinque anni prima, con il solo limite, quindi, della prescrizione.
Di lì a poco le raccomandate si trasformano in avvisi di addebito (aventi, quindi, lo stesso valore di cartelle esattoriali), a cui fanno seguito inevitabilmente azioni giudiziali in tutta Italia. L’Inps, come ricordato nel nostro precedente articolo risulta soccombente nella maggior parte dei casi, anche se non mancano sentenze di segno opposto. Sul piano normativo, deve evidenziarsi che già con il d.l. 22 maggio 1993, n. 155, che, all’art. 2, co. 1, veniva previsto "i soggetti che svolgono attività lavorativa di cui all’art. 409, n. 3, del codice di procedura civile, non iscritti obbligatoriamente in relazione a dette attività a casse o fondi pensionistici, sono tenuti a versare, a decorrere dal 1º giugno 1993, al Fondo pensioni lavoratori dipendenti, gestito dall’INPS, un contributo determinato applicando l’aliquota complessivamente dovuta a tale Fondo per la generalità dei lavoratori dipendenti sui compensi lordi percepiti come corrispettivo dell’attività prestata”. Tuttavia, in sede di conversione, la norma venne integralmente soppressa. Un nuovo tentativo di introduzione dell'obbligo previdenziale in questione si deve all'art. 11, co. 11, l. 24 dicembre 1993, n. 537, che, tuttavia, in sostanza non venne mai applicato, anche perchè di lì a poco sostituito dalla L. n. 335 del 1995 (c.d. legge Dini) , che, all’art. 2, comma 26, ha previsto che "sono tenuti all'iscrizione presso una apposita Gestione separata, presso l'INPS, e finalizzata all'estensione dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorchè non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1, e successive modificazioni ed integrazioni".
La norma pose da subito problemi interpretativi, in quanto non appariva chiaro se tra i lavoratori autonomi assoggettabili all’obbligo di iscrizione (e conseguente contribuzione) nella Gestione Separata dovessero rientrare anche i professionisti iscritti ad Albi dotati di cassa previdenziale autonoma. Furono tali incertezze a indurre il Legislatore ad emanare una norma di interpretazione autentica. Ci riferiamo alla disposizione di cui al D.L. n. 98 del 2011, art. 18, comma 12, (conv. con L. n. 111 del 2011), il quale, nell'interpretare la L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26 cit., ha previsto che "i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorchè non esclusiva, attività di lavoro autonomo tenuti all'iscrizione presso l'apposita gestione separata INPS sono esclusivamente i soggetti che svolgono attività il cui esercizio non sia subordinato all'iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero attività non soggette al versamento contributivo agli enti di cui al comma 11, in base ai rispettivi statuti e ordinamenti". La norma, lungi dal diradare i dubbi interpretativi, li ha addirittura acuiti, venendo del tutto meno alla finalità “interpretativa” che l’aveva ispirata. Il primo quesito che gli interpreti si sono posti riguarda l’uso della congiunzione avversativa “ovvero”. Ci si è chiesto se la stessa fosse da leggere in collegamento o in contrapposizione con l’avverbio “esclusivamente”? Qualora si accedesse alla prima soluzione – che sembra quella preferibile perché la più conforme al dato letterale, ma anche alla ratio della disposizione – ad essere soggetti sarebbero non solo i professionisti che svolgono attività per le quali non è previsto l’obbligo di iscrizione all’albo, ma anche quei professionisti che pur svolgendo un tipo di attività per il cui esercizio sia obbligatoria l’iscrizione all’albo (fra queste l’attività forense), non avrebbero l’obbligo di versamenti contributivi alle casse previdenziali private (“enti di cui al comma 11") in base ai rispettivi statuti e ordinamenti. Se invece si ritenesse che la congiunzione "ovvero" vada letta in contrapposizione con l'avverbio "esclusivamente", a dover essere soggetti all'iscrizione alla Gestione Separata sarebbero soltanto gli autonomi la cui attività non presupponga necessariamente l'iscrizione ad albi professionali. Questa lettura appare, come detto, incompatibile con il dato normativo.
Ma il vero problema che suscita la norma di interpretazione autentica, sta nell'uso della locuzione "attività non soggette al versamento contributivo...". in particolare, ci si è chiesto cosa intendesse il Legislatore per obbligo contributivo.- Orbene, è noto che il versamento contributivo dovuto dai professionisti alle casse di previdenza private si divide in due tipologie: a) il contributo soggettivo che viene corrisposto in base alle aliquote previste dalle singole casse private in misura proporzionale al reddito professionale netto prodotto nell’anno; b) il contributo integrativo, che viene anticipato dal cliente al professionista previa esposizione in fattura, e che è pari al 4% del compenso corrisposto al professionista al netto dell’IVA. Mentre il contributo soggettivo confluisce nel montante contributivo (il capitale che il professionista accumula nel corso degli anni lavorativi), che rappresenta la base di calcolo delle prestazioni pensionistiche erogate dall’Ente previdenziale, il contributo integrativo è destinato in massima parte alle spese di gestione della Cassa di riferimento ed alla solidarietà, anche se non mancano casi – i contributi integrativi dovuti alla Cassa Forense ed alla stessa Inarcassa ne sono un esempio - in cui anche i contributi integrativi contribuiscono all’incremento del montante contributivo individuale. La mancata distinzione fra contributi soggettivi e integrativi da parte del Legislatore nella scrittura di una norma avente, peraltro, finalità esplicite di interpretazione autentica ( art. 18, comma 12 del D.L. n. 98 del 2011), ha indotto la gran parte dei giudici di merito – come si è già detto- a ritenere che fosse sufficiente il pagamento anche del solo contributo soggettivo alla cassa di riferimento per escludere l’obbligo di iscrizione del professionista alla Gestione Separata. E arriviamo alle sentenze del dicembre 2017. La Corte di Cassazione parte da una premessa: “con la creazione di tale nuova gestione, istituita a far data dal 1.1.1996, si è inteso non solo estendere la copertura assicurativa a coloro che ne erano completamente privi, ma anche a coloro che ne fruivano solo in parte, vale a dire a coloro che, pur svolgendo due diversi tipi di attività, erano assicurati, dal punto di vista previdenziale, solo per una delle due, facendo quindi in modo che a ciascuna attività corrispondesse una forma di assicurazione (Cass. S.U. n. 3240 del 2010)”. Prosegue la S.C.: “la L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, opera un riferimento eteronomo e supportato esclusivamente dalle disposizioni di carattere fiscale ivi richiamate, di talchè l'obbligazione contributiva dell'iscritto è basata sostanzialmente sulla mera percezione di un reddito e può essere o unica, in quanto corrispondente all'unica attività svolta, oppure complementare a quella apprestata dall'altra gestione a cui l'iscritto è assicurato in relazione all'ulteriore attività lavorativa espletata (così ancora Cass. S.U. n. 3240 del 2010, cit.). Ne è conferma il D.M. n. 281 del 1996, art. 6 che, nel recare la prima disciplina delle modalità e dei termini per il versamento dei contributi dovuti ai sensi della L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, ha espressamente chiarito che "non sono soggetti alla contribuzione di cui al presente decreto i redditi già assoggettati ad altro titolo a contribuzione previdenziale obbligatoria".
Arrivando al punto centrale della questione e cioè all’esame della norma di interpretazione letterale di cui si è detto, la Corte di Cassazione afferma: “trattandosi di una disposizione recante interpretazione di un'altra disposizione vigente, essa è infatti sprovvista di una propria autonomia precettiva ed è volta piuttosto a costruire un rapporto tra le proprie previsioni e quelle proprie della disposizione interpretata, tale che - come accade in genere per le disposizioni aventi carattere interpretativo - le une e le altre si saldino, dando luogo ad un precetto normativo unitario (così Corte cost. n. 397 del 1994). Orbene, tenuto conto del rinvio operato dal D.L. n. 98 del 2011, cit., art. 18, comma 12, agli enti previdenziali di cui al precedente comma 11, vale a dire agli enti previdenziali gestori delle forme di previdenza dei lavoratori autonomi e professionisti di cui ai D.Lgs. n. 509 del 1994 e D.Lgs. n. 103 del 1996, tale precetto unitario, per quanto qui rileva, può essere agevolmente ricostruito nel senso che l'iscrizione alla gestione separata è obbligatoria per i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorchè non esclusiva, attività di lavoro autonomo di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 49 (ora 53), comma 1, l'esercizio della quale non sia subordinato all'iscrizione ad appositi albi professionali ovvero, se subordinato all'iscrizione ad un albo, non sia soggetto ad un versamento contributivo agli enti previdenziali di riferimento che sia suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo una correlata posizione previdenziale. Una diversa interpretazione, infatti, finirebbe per tradire la finalità universalistica dell'istituzione della gestione separata e si porrebbe in contrasto con la sua tipica modalità di funzionamento, che come si è detto - collega l'obbligazione contributiva alla mera percezione di un reddito e mette capo ad una posizione previdenziale che può essere unica oppure complementare a seconda l'iscritto svolga o meno un'ulteriore attività lavorativa (cfr. Cass. S.U. n. 3240 del 2010, già cit.)”.
Così ricostruito il combinato disposto della L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, e del D.L. n. 98 del 2011, art. 18, comma 12, i giudici di Piazza Cavour affrontano la questione del versamento del contributo integrativo: “non è revocabile in dubbio che il versamento di tale contributo, in difetto di iscrizione all'INARCASSA, non possa mettere capo alla costituzione di alcuna posizione previdenziale a beneficio del professionista che è tenuto a corrisponderlo: la cassa di previdenza eroga le prestazioni previdenziali esclusivamente agli iscritti (art. 3, Statuto INARCASSA) e chi è iscritto ad altra forma di previdenza obbligatoria non può esserlo (cfr. da ult. Cass. n. 23687 del 2015). Ma se così è, è inevitabile concludere che il suo versamento non può esonerare il professionista dall'iscrizione alla gestione separata INPS: la regola generale conseguente all'istituzione di quest'ultima è che all'espletamento di una duplice attività lavorativa, quando per entrambe è prevista una tutela assicurativa, deve corrispondere una duplicità di iscrizione alle diverse gestioni (così ancora Cass. S.U. n. 3240 del 2010, cit.).
Nè ciò comporta alcuna duplicazione di contribuzione a carico del professionista, giacchè il contributo integrativo, la cui istituzione si giustifica esclusivamente in relazione alla necessità dell'INARCASSA di disporre di un'ulteriore fonte di entrate con cui sopperire alle prestazioni cui è tenuta, è ripetibile nei confronti del beneficiario della prestazione professionale e dunque è in realtà posto a carico di terzi estranei alla categoria professionale cui appartiene il professionista e di cui l'INARCASSA è ente esponenziale (v. in tal senso Corte cost. n. 132 del 1984). Contrari argomenti non possono desumersi dalla circostanza che il Regolamento di previdenza dell'INARCASSA abbia recentemente previsto che la "quota della contribuzione integrativa versata, secondo le modalità di computo previste nel comma 5 del presente articolo", venga computata nell'ambito del "montante contributivo individuale": fermo restando che tale disposizione opera a decorrere dal 1.1.2013 (art. 26.5, Regolamento cit.), è decisivo rilevare, ancora una volta, che codesta retrocessione del contributo integrativo presuppone che il professionista sia iscritto all'INARCASSA e abbia dunque titolo per beneficiare delle sue prestazioni, ciò che gli ingegneri e gli architetti che sono iscritti ad altra gestione previdenziale non possono fare. Nè potrebbe sostenersi che, avendo la disposizione interpretativa del D.L. n. 98 del 2011, art. 18, comma 12, fatto genericamente riferimento ad un "versamento contributivo", non sarebbe consentito all'interprete distinguere tra contributo soggettivo e contributo integrativo: come anzidetto, il significato della disposizione interpretativa va ricavato per il tramite della sua congiunzione con la disposizione interpretata, ossia la L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, ed è la ratio di quest'ultima ad imporre che l'unico versamento contributivo rilevante ai fini dell'esclusione dell'obbligo di iscrizione alla gestione separata sia quello suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo una correlata posizione previdenziale. Per tacere del fatto che il canone ermeneutico secondo cui l'interprete dovrebbe astenersi dall'introdurre differenziazioni tra situazioni omologhe lì dove il legislatore non ne ha previste, traendo in specie la sua capacità di persuasione retorica dalla somiglianza o analogia che presuppone tra contributo soggettivo e contributo integrativo, al fine di disciplinarli egualmente, è frutto di un'interpretazione tutt'altro che "letterale" del dato normativo, non essendo certamente rinvenibili nel D.L. n. 98 del 2011, art. 18, comma 12, cit., le ragioni della somiglianza o analogia che si vorrebbe presupporre”.
All’indomani del pronunciamento della Corte, non sono mancate le polemiche e le prese di posizione da parte dei numerosi gruppi di professionisti – molto attivi sul web – interessati alla questione. Se da parte di alcuni di questi gruppi si è ritenuto necessario operare sul piano politico per un nuovo inter-vento del Legislatore che mitigasse gli effetti della decisione della S.C., non sono mancate voci che, affrontando la questione sul piano prettamente giuridico, per un verso hanno contestato le valutazioni della Corte di Cassazione, ritenendo preferibile le soluzioni adottate dalla prevalente giurisprudenza di merito, per altro verso hanno ritenuto di attendere il consolidamento del-l’orientamento e la decisione di altri giudizi pendenti innanzi alla Corte, riguardanti altre categorie di professionisti, in primis gli avvocati.
Non sono mancati autori (cfr.: M. GIORDANO, Cassazione e obbligo iscrizione gestione separata Inps: quali conseguenze per gli avvocati?, in www.studiocataldi.it) i quali hanno sostenuto che le decisioni adottate dalla S.C., riguardando gli iscritti a Inarcassa, non fossero sic et simplicter estensibili alle altre categorie professionali e fra queste agli avvocati.
Prima di andare in stampa, abbiamo appreso che c’è stata una recentissima decisione di merito che ha ritenuto che i principi affermati dalle citate sentenze del dicembre 2017 della S.C. non potessero applicarsi anche ai professionisti avvocati.
Si tratta della sentenza n. 522/18, emessa il 24.4.2018, dal Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Brindisi, est. Coppola.
In motivazione, viene innanzitutto chiarito che la situazione degli architetti interessati ai casi decisi dalla Cassazione è differente da quella esaminata, perchè i due architetti non erano iscritti alla Inarcassa, non per ragione del mancato raggiungimento dei limiti di reddito, ma perchè, essendo dipendenti pubblici (insegnanti), la loro iscrizione alla cassa di previdenza privata era espressamente vietata.
Inoltre, la sentenza del Giudice di Brindisi ha affermato, quanto al caso concreto preso in esame, che mancasse il requisito della continuità e dell’abitualità dell’esercizio dell’attività professionale. La prudenza, che in particolare in una materia così complessa come questa deve sempre accompagnare l’interprete, suggerisce di attendere che la S.C. si pronunci nuovamente ed affronti nello specifico l’ipotesi di iscrizione di ufficio alla Gestione Separata di un professionista avvocato.
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