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Anche nelle controversie in materia di previdenza forense, la domanda amministrativa costituisce presupposto necessario affinché l’avvocato possa proporre azione in giudizio contro Cassa Forense.
Ad affermarlo è stata la Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione che, con sentenza del 25 novembre 2019, n. 30670, ha statuito che la mancanza della domanda amministrativa di restituzione dei contributi versati alla Cassa Forense a seguito di cancellazione dall’albo professionale per incompatibilità, determina la improponibilità della domanda giudiziale, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Il caso è singolare.
Un avvocato cancellato dall’albo con effetto retroattivo, ritenendo che non sussistesse la situazione di incompatibilità in base a cui si era dato luogo alla cancellazione, aveva diffidato la Cassa a non restituirgli i contributi versati avendo intenzione di avviare una controversia per contestare il provvedimento di cancellazione.
Nell'agire in giudizio aveva formulato due domande: in via principale, di ripristino dell’iscrizione e, in via subordinata, di restituzione dei contributi versati nel periodo oggetto di contestazione. In primo grado veniva accolta la domanda subordinata, confermata poi in appello nonostante la Cassa avesse eccepito l’assenza di previa domanda di restituzione in via amministrativa, sul presupposto che l’eccezione fosse tardiva in quanto avanzata solo in sede di impugnazione.
La Cassazione, annullando la sentenza d’appello, ha esteso alla previdenza forense il principio, consolidato in giurisprudenza, secondo cui, anche dopo l’entrata in vigore del nuovo rito del lavoro di cui alla l. n. 533 del 1973, la preventiva presentazione della domanda amministrativa costituisce – nelle controversie previdenziali che (come quella proposta contro l’Inps dal datore di lavoro per il rimborso di contributi indebitamente versati) richiedano il previo esperimento del procedimento amministrativo – un presupposto dell’azione svolta in sede giudiziaria, in mancanza del quale tale azione (e la relativa domanda) è improponibile, senza che in contrario possano trarsi argomenti né dall’art. 8 della citata l. n. 533, che si limita a negare rilevanza ai vizi, alle preclusioni ed alle decadenze verificatisi nel corso del procedimento amministrativo, né dall’art. 443 c.p.c., che, con disposizione non suscettibile d’interpretazione estensiva, prevede la mera improcedibilità – anziché l’improponibilità – della domanda giudiziale solo per il caso del mancato esaurimento del procedimento amministrativo, che sia stato però iniziato.
La preventiva presentazione della domanda amministrativa, che fa sorgere l’obbligo dell’ente previdenziale di prendere in carico la verifica della sussistenza dei presupposti del diritto di cui l’assicurato richiede il riconoscimento, costituisce un presupposto dell’azione, mancando il quale la domanda giudiziaria non è improcedibile ma improponibile, poiché la domanda amministrativa non è un elemento costitutivo della domanda proposta in sede giudiziaria, ma un requisito di proponibilità (Cass. 14 aprile 2005 n. 7710, Foro it., Rep. 2005, voce Previdenza sociale, n. 678; 28 novembre 2003, n. 18265, id., Rep. 2003, voce cit., n. 764), non assimilabile ad una condizione dell’azione, rilevante anche se sopravvenuta nel corso del giudizio (Cass. 15 gennaio 2007, n. 732, id., Rep. 2007, voce cit., n. 594). Nella generalità delle controversie previdenziali, tale principio è stato affermato dalle Sezioni Unite, con sentenza 5 agosto 1994, n. 7269 (in Foro it., 1994, I, 2661), che ha composto un contrasto di giurisprudenza sulla decorrenza degli interessi nel caso di restituzione di contributi indebiti, facendo prevalere la tesi della decorrenza dalla domanda amministrativa, anziché dalla domanda giudiziale.
Nella successiva giurisprudenza il principio è andato consolidandosi (cfr. Cass. 22 dicembre 2016 n. 26818, id., Rep. 2016, voce Indebito, n. 11; 30 gennaio 2014, n. 2063, id., Rep. 2014, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 146; 28 dicembre 2011 n. 29236, id., Rep. 2011, voce Previdenza sociale, n. 449; 27 dicembre 2010 n. 26146, id., Rep. 2011, voce cit., n. 96; 5 ottobre 2007 n. 20892, id., Rep. 2008, voce Previdenza sociale, n. 522 e 539; 29 dicembre 2004 n. 24103, id., Rep. 2004, voce cit., n. 1281; 12 marzo 2004, n. 5139, id., Rep. 2005, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 153; 12 marzo 2004, n. 5149, id., Rep. 2004, voce cit., n. 153; 28 novembre 2003 n. 18265, id., Rep. 2003, voce Previdenza sociale, n. 764; 26 ottobre 2001, n. 13331, id., Rep. 2001, voce cit., n. 230; 21 dicembre 2001, n. 16153, id., Rep. 2001, voce Previdenza sociale, n. 703; 26 giugno 1999 n. 6670, id., 13 Rep. 1999, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 257; conforme anche la giurisprudenza di merito: Trib. Forli 21 aprile 2009, id., Rep.2010, voce Previdenza sociale, n. 285; Trib. Palermo 23 luglio 2004, id., Rep. 2005, voce cit., n. 710; Trib. Bolzano 13 marzo 2002, id., Rep. 2004, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 210; Pret. Verona 31 gennaio 1997, id., Rep. 1998, voce cit., n. 370; Pret. Matera 7 maggio 1994, id., Rep. 1994, voce cit., n. 258; Trib. Bergamo 29 aprile 1987, id., Rep. 1988, voce cit., n. 359). Recentemente lo stesso principio è stato riaffermato in relazione agli accessori del credito previdenziale o assistenziale (Cass. 30 gennaio 2019, n. 2760) e alla domanda di rivalutazione contributiva per esposizione all’amianto (Cass. 22 novembre 2018, n. 30283).
La declaratoria di improponibilità dell’azione giudiziale non preclude la possibilità di riproporre la domanda entro i termini di prescrizione del diritto, rimanendo quest’ultima sospesa fino al passaggio in giudicato della sentenza che dichiara improponibile la domanda (Cass. 21 novembre 1981, n. 6227, id., Rep.1982, voce Prescrizione e decadenza, n. 151). Si tratta, pertanto, di un principio affermato dalla giurisprudenza nella generalità delle controversie previdenziali. È la prima volta, tuttavia, che se ne rinviene l’applicazione in tema di indebito contributivo della previdenza forense, con motivazione incentrata sull’art. 3 della I. n. 319 del 1975, come modificato dall’art. 22 della I. 20 settembre 1980, n. 576, che prevede «la facoltà della Cassa forense di provvedere periodicamente alla revisione degli iscritti con riferimento alla continuità dell’esercizio professionale nel quinquennio, rendendo inefficaci agli effetti dell’anzianità di iscrizione i periodi per i quali, entro il medesimo termine, detta continuità non risulti dimostrata» ed aggiunge all'ultimo comma che «sono rimborsabili a richiesta i contributi relativi agli anni di iscrizione dichiarati inefficaci ».
Ad avviso della Suprema Corte, «la previsione dell’ultimo comma va intesa in termini generali come riferita a tutte le domande di restituzione di contributi indebitamente versati alla Cassa, sia che si tratti di annualità che di intera posizione previdenziale che sia stata annullata, in quanto costituisce applicazione del principio generale secondo il quale la previa domanda amministrativa è richiesta ogni qual volta sia fatto valere verso l’ente previdenziale un diritto dapprima non riconosciuto o esercitato, e ciò al fine di consentire, con effetto deflattivo rispetto al contenzioso giudiziario, l’antecedente valutazione amministrativa della pretesa».
In tema di restituzione dei contributi della previdenza forense, è stato affermata (cfr. Cass. 2 marzo 2018, n. 4980, id., Rep. 2018, voce Avvocato, n. 177) la legittimità dell’art. 4 del Regolamento della Cassa che, innovando rispetto alla normativa previgente (fino al dicembre 2004, l’art. 21 l. n. 576 del 1980 prevedeva la restituzione dei contributi nel caso di mancato raggiungimento dei requisiti per il conseguimento delle prestazioni erogate dalla Cassa Forense), ha introdotto il divieto di rimborsare i contributi versati improduttivamente, allineandosi al principio generale dell’intero sistema previdenziale, in quanto l’istituto del rimborso contributivo «non implica necessariamente la corrispettività tra contributi e pensioni, ma soltanto una particolare configurazione dei doveri di solidarietà comunque posti a carico di tutti gli iscritti», per cui prevale l’esigenza di tutela dei livelli di finanziamento del sistema previdenziale della categoria professionale e la tutela degli equilibri finanziari del medesimo, restando affidato alle valutazioni discrezionali del legislatore di stabilire in quale misura l’interesse dei singoli alla restituzione dei contributi sia suscettibile di contemperamento con il principio di solidarietà.
Sulla “residuale rimborsabilità” dei contributi, in dottrina, cfr. L. CARBONE, La nuova disciplina della restituzione dei contributi (e pensione contributiva) nella previdenza forense, in Foro it., 2006, I, 319, che fornisce un panorama completo delle situazioni governate dalla disciplina sopravvenuta, annotando Corte cost. 9 dicembre 2005, n. 439 (in Previdenza forense, 2006, 75, con nota di TOGNA, in Giur. costit., 2005, 4734, con nota di PESSI, e in Prev. e assist. pubbl. e privata, 2006, 293, con nota di FOGLIA) che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 l. 45/90 nella parte in cui dispone che non si applichi la norma di cui all’art. 21 l. 576/80, che prevede il diritto alla restituzione dei contributi a favore dei professionisti che cessano dall’iscrizione alla Cassa senza aver maturato i requisiti per il diritto alla pensione, anche in ragione dell’inesistenza di un principio generale di restituzione dei contributi legittimamente versati e della conseguente eccezionalità dell’istituto della restituzione dei contributi nel nostro ordinamento.
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