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Corte di Appello di Roma 3.2.2020 n. 313

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di Silvia Caporossi

Corte di Appello di Roma 3.2.2020 n. 313, Pres. Garzia, Est. Poscia, Marchi (Avv. Corsetti) c. Agenzia delle Entrate-Riscossione (Avv. Crescimbeni), Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense (Avv. Rita Telli).

Avvocato – Previdenza – Contributi – Prescrizione decennale – Disciplina dell’art. 66 l.n. 247/2012 – Applicazione retroattiva – Esclusione.

Avvocato – Previdenza – Contributi – Prescrizione – Art. 6 l.n. 247/2012 – Disciplina diversa dalle altre Casse previdenziali categoriali –Legittimità.

Avvocato – Previdenza – Contributi – Prescrizione contributi imputabile al Concessionario – Responsabilità – Sussistenza.

 Il termine di prescrizione quinquennale della contribuzione dovuta alla Cassa Forense è divenuto decennale in forza dell’art. 66 della l.n. 247/2012, e si applica soltanto a partire dal 2 febbraio 2013, data di entrata in vigore della norma, mentre per i periodi anteriori vale il termine più breve di cinque anni disposto per tutte le Casse privatizzate dalla l.n. 335/1995. L’art. 66 della l.n. 247 del 2012, che detta una nuova disciplina della prescrizione dei contributi previdenziali per la sola Cassa Forense, non è incostituzionale, rientrando nei poteri del legislatore disciplinare diversamente la prescrizione per determinate Casse previdenziali, tenuto conto delle particolarità delle medesime purchè non vengano previste discipline differenti per gli iscritti alla medesima Cassa. Sussiste la responsabilità dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, con conseguente diritto al risarcimento, nel caso in cui la mancata riscossione delle somme iscritte a ruolo per intervenuta prescrizione del credito sia imputabile al concessionario.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va evidenziato che il capo della gravata sentenza che aveva dichiarato prescritti i crediti di competenza della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense di cui alle cartelle di pagamento: I) n. 097 2000 04702136 17 000; 2) n. 097 2001 07483221 13 000; 3) n, 097 2002 00709093 81 000; 4) n. 097 2003 03090788 29 000 con il conseguente annullamento della intimazione di pagamento opposta limitatamente alle somme che si riferivano alle cartelle di cui al punto 2) e che aveva dichiarato cessata la materia del contendere, per intervenuto sgravio, relativamente alle cartelle n. 097 2009 02205965 92 000 e n. 097 2011 02433443 58 000 è ormai passato in giudicato non essendo stato oggetto di impugnazione in via principale od incidentale. Ciò posto la Corte osserva che gli appelli della Marchi e della Agenzia delle Entrate-Riscossione sono infondati e che, pertanto, vanno respinti con il conseguente assorbimento di quello incidentale condizionato proposto dalla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense.

Anzitutto con riferimento all’impugnazione della Marchi. da intendersi come principale in quanto proposta per prima (cfr., in senso conforme, Cass. Sez. L., Sentenza n. 13870 del 181612014), va evidenziato che tutte le censure sollevate dalla Marchi relative ai vizi propri delle cartelle di pagamento sono inammissibili a causa del mancato rispetto del termine perentorio di venti giorni per l’impugnazione stabilito dall’art. 617 del codice di rito; invero, tutte le eventuali contestazioni riguardanti la notificazione delle cartelle poste a fondamento dell’intimazione di pagamento per cui è causa avrebbero dovuto essere proposte nel termine perentorio di venti giorni dalla data di notificazione dell’intimazione (vale a dire il giorno 16.11.2016), mentre il presente giudizio è stato instaurato in data 14/1/2017 e quindi ben oltre il predetto termine di venti giorni (vedi, al riguardo, Cass. n. 17308/2015, Cass. n. 21533/2017, Cass. n. 10854/2018).

L’impugnazione della Marchi va respinta anche con riferimento alle censure riguardanti la dedotta prescrizione; invero, per le cartelle non dichiarate prescritte dal Tribunale, il termine di prescrizione quinquennale è divenuto decennale in forza dell’art. 66 della L. 247/2012 a seguito della entrata in vigore di tale normativa (2/2/2013). In particolare, come già osservato dal primo giudice, per la cartella n. 097 2008 01542717 44 000 (notificata il giorno 31/7/2008) il termine quinquennale, che sarebbe scaduto il 3117/2013, è divenuto decennale dal giorno 2 febbraio 2013; con riferimento alla cartella n. 097 2010 03704665 80 000 (notificala il giorno 29/1/2011) il termine quinquennale, che sarebbe scaduto il 29/1/2016, è divenuto decennale dal 2 febbraio 2013; infine per la cartella n. 097 2014 02955308 49 000 (notificala il giorno 30/6/2015) il termine di prescrizione è quello decennale di cui al sopra richiamato art. 66. Al riguardo va osservato che deve pure escludersi la dedotta illegittimità costituzionale dcl sopra richiamato art. 66 considerato che come ribadito anche dalla Corte di Cassazione (cfr. sentenza Sez. L, n. 18953/2014) in tema di prescrizione per i crediti previdenziali della Cassa forense; il nuovo termine decennale previsto dalla legge 247/2012, si applica soltanto a partire dal 2 febbraio 2013, data di entrata in vigore della norma, mentre per i periodi anteriori vale il termine più breve di cinque anni disposto per tutte le Casse privatizzate dalla legge 335/1995.

Inoltre, rientra nella potestà del legislatore disciplinare differentemente a prescrizione per determinate Casse previdenziali, tenuto conto delle particolarità delle medesime purché non vengano previste discipline differenti per gli iscritti alla medesima cassa. Infine, l’appello della Marchi va respinto anche con riferimento alla regolamentazione delle spese considerato che stante il solo parziale accoglimento della sua opposizione, la predetta è risultata parzialmente soccombente, di talchè correttamente il Tribunale l’ha condannata al pagamento di una parte delle spese processuali secondo la regola della soccombenza. Passando all’esame dell’impugnazione della Agenzia delle Entrate-Riscossione la Corte osserva che anche essa è infondata; invero, essendo ormai passato in giudicato il capo della sentenza di primo grado che ha accertato la insussistenza del credito per intervenuta prescrizione in relazione alle quattro cartelle sopra indicate, sussiste la responsabilità dell’Agenzia appellante con riferimento alla domanda di risarcimento dei danni avanzata dalla Cassa Forense nei riguardi della Equitalia Servizi di Riscossione S.p.A. alla quale è subentrata la suddetta Agenzia. Anzitutto risulta infondata la censura relativa alla sussistenza del c.d. discarico invocato dall’appellante considerato che ai sensi dell’art. 19, comma 2, lettera e) del d.lgs 112/99 costituisce causa di perdita del diritto al discarico la mancata riscossione delle somme iscritte a ruolo, se imputabile al concessionario; sono imputabili al concessionario e costituiscono causa di perdita del diritto al discarico i vizi e le irregolarità compiute nell’ambito della procedura esecutiva, salvo che gli stessi concessionari non dimostrino che tali vizi ed irregolarità non hanno influito sull’esito della procedura.

Orbene, nel caso di specie, i vizi di notifica hanno determinato la prescrizione delle quattro cartelle esattoriali sopra indicate e 1’Agenzia delle Entrate-Riscossione non ha dimostrato la irrilevanza di tali vizi nella procedura esecutiva. Parimenti infondato risulta anche la censura relativa all’ammontare delle somme liquidate in favore della Cassa Nazionale, considerato che essa ha diritto ad ottenere il rimborso dell’intero ammontare indicato nelle cartelle prescritte a causa delle omissioni del concessionario, ad eccezione delle sole spese di notifica e dei compensi di riscossione.

<h3">NOTA

Con la presente sentenza, la Corte d’Appello di Roma è tornata a pronunciarsi sulla questione relativa alla natura decennale o quinquennale del termine di prescrizione dei contributi dovuti alla Cassa, nonché sulla responsabilità del Concessionario in caso di prescrizione dei crediti iscritti a ruolo ed affidati in riscossione per causa allo stesso imputabile. Con riferimento al primo profilo, il Collegio – dichiarata l’inammissibilità delle censure mosse dalla appellante a causa del mancato rispetto del termine perentorio di venti giorni per l’impugnazione stabilito dall’art. 617 c.p.c. (vedi, al riguardo, Cass. n. 17308/2015, Cass. n. 21533/2017, Cass. n. 10854/2018) – ha ribadito la natura decennale del termine di prescrizione dei contributi previdenziali di cui la Cassa è creditrice, in forza del disposto dell’art. 66 L. 247/2012, che ha sancito l’inapplicabilità dell’art. 3 L. 335/1995 alle contribuzioni dovute alla Cassa Forense. In proposito, giova rammentare che il predetto art. 3 L. 335/1995 – la cui efficacia è stata estesa dalla giurisprudenza di legittimità anche alla Cassa Forense – aveva ridotto il termine di prescrizione delle contribuzioni di previdenza a cinque anni, abrogando implicitamente l’art. 19, comma 1, L. 576/1980, il quale testualmente statuiva che “La prescrizione dei contributi dovuti alla Cassa e di ogni relativo accessorio si compie con il decorso di dieci anni. Per i contributi, le sanzioni e gli accessori dovuti o da pagare ai sensi della presente legge, la prescrizione decorre dalla data di trasmissione alla Cassa, da parte dell’obbligato, della dichiarazione di cui agli articoli 17 e 23”. Dunque, è di tutta evidenza che l’art. 66 L. 247/2012, avendo disposto l’inapplicabilità dell’art. 3 L. 335/1995 – e, quindi, del termine di prescrizione quinquennale – alla Cassa Forense, ha implicitamente fatto rivivere il primo comma dell’art. 19 L. 576/1980, il quale, come già sopra chiarito, fissava il suddetto termine in dieci anni.

Ciò posto, con riferimento all'applicabilità del termine decennale di prescrizione, con riguardo alla contribuzione precedente all’entrata in vigore della L. 247/2012, si rileva che la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 6729/2013, ha sancito che “la nuova disciplina di cui all’art. 66 l. n. 247 del 2012 in materia di prescrizione dei contributi previdenziali dovuti alla cassa forense, si applica unicamente per il futuro nonché alle prescrizioni non ancora maturate secondo il regime precedente”, ribadendo, anche in subiecta materia, il principio secondo il quale la nuova normativa – in particolare il nuovo termine di prescrizione in essa previsto – deve trovare applicazione a tutte le fattispecie non esaurite al momento della sua entrata in vigore, ossia, nello specifico, a tutti i casi in cui non si sia compiuta la prescrizione dei contributi per il mancato decorso del termine prescrizionale previsto dalla precedente normativa. In senso conforme si è pronunciata, successivamente, sempre la Suprema Corte, nella sentenza n. 18953/2014, ove, analizzando la problematica della prescrizione relativamente ad una contribuzione del 1990, ha precisato che è inapplicabile quanto disposto dalla legge 247/2012 all’art. 66, in vigore dal 2/02/2013, non potendo la novella incidere su prescrizioni già perfezionatesi, confermando, pertanto, quanto già statuito dalla precedente decisione sopra citata, in ordine all’applicabilità della prescrizione decennale a tutti i contributi per i quali non sia maturato il termine quinquennale alla data di entrata in vigore della normativa de qua. La giurisprudenza di merito si è adeguata al principio espresso dalla Suprema Corte (ex multis: Corte di Appello di Roma, n. 134/2020, n. 5523/2017, Corte di Appello di Bologna, n. 447/2019, Corte di Appello di Salerno, n. 667/2019, Corte di Appello di Milano, n. 1361/2019 e n. 1132/2018, Corte di Appello di Palermo, Tribunale di Roma, n. 10674/2020, n. 2202/2020, n. 1267/2020, n. 9441/2019, n. 8808/2019).

Muovendo dalla statuita applicabilità del nuovo termine di prescrizione decennale nei termini di cui sopra, la Corte d’Appello di Roma ha rilevato, inoltre, l’infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 66 L. 247/2012, osservando che ben può il legislatore fissare un termine prescrizionale differente con riguardo alle Casse previdenziali private, in ragione delle loro peculiarità. Infatti, si rammenta che l’art. 2 del D.lgs. 30 giugno 1994, n. 509, dispone che gli Enti di previdenza privatizzati «hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile», mentre l’art. 1, comma terzo, ultimo periodo, prevede che «agli enti stessi non sono consentiti finanziamenti pubblici diretti o indiretti, con esclusione di quelli connessi con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali». È, dunque, di tutta evidenza, come il patrimonio della Cassa Forense sia finanziato del tutto autonomamente dai propri iscritti, non potendo contare su finanziamenti statali ed essendo, anzi, sottoposta a stretti vincoli di bilancio, statuendo l’art. 2, comma 1 che «la gestione economico- finanziaria deve assicurare l’equilibrio di bilancio mediante l'adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale». Nella prospettiva appena delineata, stante l’assenza di qualsiasi forma di finanziamento pubblico e l’obbligo di rispettare la stabilità di bilancio per un periodo cinquantennale (art. 24, comma 22, D.L. 201/2011), facendo appello alle sole entrate contributive, ben si comprendono le ragioni che hanno spinto il legislatore a prevedere per le Casse un termine di prescrizione più lungo.

Appare appena il caso di precisare che il Tribunale di Roma, in una vertenza avente come parte la Cassa, nella quale era stata sollevata analoga questione di costituzionalità dell’art. 66 della l. n. 247/2012, con riferimento all’art. 3 della Costituzione, con sentenza n. 2479/2018, in accoglimento delle difese della Cassa, ha ritenuto parimenti infondata la detta questione di legittimità costituzionale (nello stesso senso, anche Corte di Appello di Bologna, n. 447/2019, cit.). D’altronde, è opportuno rilevare che la violazione del principio di parità di trattamento si potrebbe riscontrare soltanto nell’ipotesi in cui una norma comportasse conseguenze dannose in favore dei destinatari, circostanza che non può lamentarsi nel caso di specie, in cui, al contrario, la previsione di un più ampio termine di prescrizione costituisce un beneficio per tutti gli iscritti alla Cassa. Infatti, si rammenta che, come previsto dall’art. 1 del “Regolamento per la costituzione di rendita vitalizia reversibile in caso di parziale omissione di contributi per i quali sia intervenuta prescrizione”, “sono considerati inefficaci ai fini del riconoscimento del diritto a pensione, nonché per il calcolo della stessa, gli anni di iscrizione alla Cassa per i quali risulti accertata un’omissione, anche parziale, nel pagamento di contributi che non possono più essere richiesti e versati per intervenuta prescrizione”. Pertanto, ove sia accertato l’intervenuto decorso del termine di prescrizione, le annualità per le quali non sono stati versati i contributi sono in toto escluse dal conteggio dei trattamenti pensionistici degli iscritti, circostanza che non può ritenersi un beneficio.

Da ultimo, con riferimento alla responsabilità del concessionario per la riscossione per l’intervenuta prescrizione dei crediti iscritti a ruolo dalla Cassa ed affidati in riscossione, si rappresenta che la Corte d’Appello di Roma ha ritenuto inapplicabile l’istituto del c.d. discarico al caso di specie, posto che la prescrizione di alcuni dei crediti oggetto del giudizio è intervenuta a causa di vizi relativi alla notifica delle relative cartelle esattoriali, attività di competenza della suindicata Agenzia, la quale non ha fornito alcuna prova circa l’irrilevanza di tali vizi nella procedura esecutiva. In proposito, appare opportuno precisare che l’art. 19, comma 2, lett. e), D.lgs. 112/1999 prevede testualmente che «costituiscono causa di perdita del diritto al discarico […] la mancata riscossione delle somme iscritte a ruolo, se imputabile al concessionario; sono imputabili al concessionario e costituiscono causa di perdita del diritto al discarico i vizi e le irregolarità compiute nell’attività di notifica della cartella di pagamento e nell'ambito della procedura esecutiva, salvo che gli stessi concessionari non dimostrino che tali vizi ed irregolarità non hanno influito sull'esito della procedura o che non pregiudicano, in ogni caso, l’azione di recupero». La Corte di Appello ha, inoltre, ulteriormente precisato che la Cassa ha il diritto ad ottenere il rimborso dell’intero ammontare dei crediti affidati in riscossione al Concessionario, in caso di intervenuta prescrizione degli stessi per causa alo stesso imputabile, con la sola esclusione delle spese di notifica e dei compensi di riscossione.

Al riguardo, si rammenta che già la Corte di Cassazione, con sentenza n. 27218/2018, in vertenza avente come parte sempre la Cassa, aveva espressamente affermato che “l’affidamento in riscossione, ai sensi di legge e secondo le modalità previste per le imposte dirette (L. n. 576 del 1980, articolo 18, comma 5, seconda parte in relazione al d.p.r. 602/1973) comporta, per un verso, la preposizione del concessionario quale adiectus solutionis causa (articolo 1188 c.c.) e per altro verso assume i contenuti propri del mandato, con rappresentanza ex lege, a compiere quanto necessario perché il pagamento possa avvenire, in forma spontanea, oppure anche a dare corso alle azioni esecutive secondo la disciplina propria dell'esecuzione forzata speciale.

Il diligente e tempestivo compimento degli atti esecutivi di tale complesso mandato è in se’ in grado di comportare la salvaguardia del diritto rispetto all’estinzione per prescrizione e dunque anche l’assicurazione di tale effetto rientra a pieno titolo, ai sensi dell’articolo 1710 c.c., nell’ambito della responsabilità del concessionario incaricato. Non potendosi in alcun modo dubitare che gli atti posti in essere dal mandatario, rappresentante ex lege, rispetto alla riscossione del credito, siano idonei al perseguimento degli effetti di cui agli articoli 2943 e 2945 c.c.”. Nello stesso senso anche Corte di Appello di Roma, n. 62/2020, Corte di Appello di Napoli, n. 3350/2019, Corte di Appello di Reggio Calabria, n. 550/2019; Corte di Appello di Milano, n. 2090/2019. 


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