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Alla scoperta di un uomo straordinario
Allorquando si approfondisce lo studio della figura di sant’ Alfonso Maria de’ Liguori (Marianella 27 settembre 1696 – Pagani 1 agosto 1787) si comprende che egli è stato un uomo straordinario, fregiato non soltanto del titolo di Dottore della Chiesa ma anche di quello di Patrono degli avvocati. Di nobile famiglia napoletana, difese dapprima gli uomini nelle aule dei tribunali per poi divenire, con l’abito sacerdotale (anche di vescovo), appassionato difensore della Chiesa e del suo magistero. Tutto ciò fece in virtù di uno smisurato talento e della sua capacità di “catturare”, tramite un linguaggio coinvolgente, l’ attenzione dell’ uditore o del lettore. Egli, quale avvocato, decise di difendere soltanto cause “giuste” e ciò fece con quello stesso ardore con il quale, successivamente, patrocinò la causa della Chiesa con incondizionata fedeltà al Papato. In lui l’arte oratoria di avvocato (che ammaliava i giudici ed ammutoliva gli avversari) si tramutò, abbandonata la professione forense ed indossato l’ abito sacerdotale, in mirabile predicazione del Vangelo, a tal punto coinvolgente da commuovere gli uditori e convertire gli increduli. La meticolosità delle sue argomentazioni giuridiche si trasfuse nella meticolosità delle sue riflessioni teologiche e pastorali .contenute in oltre cento pubblicazioni attualmente conosciute in ogni parte del mondo.
Nell’ambito di molti suoi scritti religiosi emerge invero una impostazione (sovrapponibile rispetto a quella da lui manifestata nelle aule giudiziarie) volta a confutare, con dovizia di argomentazioni, le tesi avversarie. Si pensi, ad esempio, ai libri “Storia delle eresie” e “Breve dissertazione contro gli errori dei moderni increduli”. Le sue dodici regole morali per lo svolgimento della professione di avvocato (sulle quali ci si soffermerà successivamente) costituiscono una pietra miliare ai fini della identificazione dei principi generali di deontologia forense. Divenuto sacerdote fu dotato di doni mistici (quali estasi e bilocazioni) ma non si estraniò dal mondo. Operò sempre attivamente ed a diretto contatto con gli uomini di qualsiasi categoria sociale. Ciò lo indusse a “calibrare” il proprio linguaggio a seconda dello status del proprio interlocutore non disdegnando di parlare in dialetto ove ciò si rendesse necessario. Non a caso scrisse un catechismo per fanciulli in dialetto napoletano. La sua personalità fu poliedrica essendo stato anche musicista e pittore. La sua fama è stata, peraltro, ulteriormente accresciuta dalla composizione della canzone Tu scendi dalle stelle. Egli nacque, come detto, a Marianella (quartiere di Napoli), il 27 settembre 1696, nella villa di campagna della famiglia de’ Liguori la quale venne poi acquistata nel 1880 dai Redentoristi, congregazione fondata dal santo, affinchè divenisse luogo di culto e memoria di quest’ ultimo.
Nel libro del redentorista P. Salvatore Schiavone “Cronache di Marianella” del 1932 si formula riferimento alla seguente iscrizione posta sulla porta: “Questa casa è monumento di gloria all’ Italia perché il 27 settembre 1696 qui nacque l’ istitutore dei Redentoristi, lo specchio dei Vescovi, il Dottore della Chiesa Alfonso Maria Dei Liguori, Maestro sommo nelle regole della Morale da lui splendidamente autenticata colle virtù di Santo e i miracoli.” Deve aggiungersi che sant’ Alfonso, quale vescovo di Sant’ Agata dei Goti, compartecipò fattivamente alle vicende della propria terra così come testimoniato, ad esempio, dalla sua collaborazione (al fine di rilanciare l’ economia) con i governatori locali del Regno di Napoli, a seguito della carestia del 1764. “Arringando, ammaliava i giudici e mutoli rendevansi i suoi contraddittori…….” Sant’ Alfonso, vero “principe del foro”, ha nobilitato la professione di avvocato e, come detto, è considerato il patrono degli appartenenti a tale categoria. Descrivendo l’ Alfonso avvocato, afferma il Tannoia: “Tutto rendevalo singolare: vastità di talento, chiarezza di mente e precisione nel dire; somma onestà e sommo orrore a cavilli; non intraprendeva causa se non giusta e fuori di eccezione; umanità per i clienti e disinteresse e, quello che è più, tale dominio aveva nei cuori che, arringando, ammaliava i giudici e mutoli rendevansi i suoi contraddittori. Tutte queste ed altre doti che possedeva animavano ognuno a volergli mettere nelle mani i propri interessi e a cercare il suo patrocinio.”
Non a caso, nell’ambito delle sue dodici regole morali sulla professione di avvocato si legge anche quanto segue: “Le cause dei clienti si devono trattare con quell’ impegno con cui si trattano le cause proprie”. Sembra che, sulla base del catalogo delle sentenze del Tribunale di Napoli andanti dal 1715 al 1723, risultino vinte da Sant’ Alfonso tutte le cause da lui patrocinate. Contestualmente all’esercizio della professione forense egli, facendo parte della Confraternita dei dottori della visitazione, si recava presso l’ ospedale Incurabili di Napoli per assistere gli ammalati. Frequentava, altresì, i circoli culturali napoletani essendo stato, ad esempio, a diretto contatto con Giambattista Vico. La priorità della giustizia e dell’ equità sulla lettera della legge Si era iscritto all’Università all’ età di appena dodici anni. Si pensi che, allorquando all’ età di sedici anni si laureò in Diritto canonico e Diritto civile, tenne, tra l’ altro, una lezione, con esposizione in latino, sul tema “Priorità della giustizia e dell’ equità sulla lettera della legge”. Ebbene, trattasi dell’ argomento che, più di ogni altro, avrebbe poi contraddistinto il pensiero giuridico e l’ intera attività forense di sant’ Alfonso il quale ha sempre propugnato la prevalenza della giustizia e dell’ equità sull’ arido formalismo giuridico ( egli affermò tra l’ altro: “L’ ignoranza scusa e la legge dubbia non obbliga”). Ebbene, proprio l’ indicato suo ideale venne disilluso in un’ aula giudiziaria nell’ agosto del 1723. Ciò indusse il santo, all’ eta’ di ventisette anni, ad abbandonare la professione forense ed a scegliere la via del sacerdozio. Si narra che proprio in quel periodo, per ben due volte, all’ interno dell’ ospedale Incurabili, egli venne avvolto da una grande luce per poi udire queste parole: “Lascia il mondo e datti tutto a me”. Abbandonò ogni mondanità e depose il suo spadino ai piedi della Vergine Maria nella chiesa della Madonna della Mercede.
Cosa era in realtà accaduto in tribunale al punto da indurlo ad esprimersi con la famosa frase: “Mondo ti ho conosciuto. Addio Tribunali” ? Si era trattato di una causa, rilevante sinanche nel contesto internazionale, tra i Granduchi di Toscana (imparentati con l’ Imperatore d’ Austria e il Re di Napoli) ed il Duca napoletano Orsini di Gravina, nipote di Papa Clemente XIII ed all’ epoca dimorante nell’edificio che attualmente, a Napoli, ospita la Facoltà di Architettura all’ interno del quale egli ricevette sant’ Alfonso per conferirgli l’ incarico professionale. La proprietà contesa era il feudo di Amatrice, attualmente in provincia di Rieti, allora in Abruzzo. Il Duca Orsini di Gravina aveva perso in primo grado e, per il giudizio di appello, si era pertanto affidato ad Alfonso Maria de’ Liguori. Quest’ ultimo, dopo aver studiato approfonditamente la causa, si convinse delle buone ragioni del Duca. Egli ritenne che il documento giustificativo della pretesa da parte dei Granduchi di Toscana, benché risultasse formalmente ed apparentemente corretto, fosse in realtà sostanzialmente disonesto così violando i principi di giustizia ed equità. L’ aver perso quella controversia lo indusse, come detto, ad abbandonare la professione. Le successive vicende processuali gli diedero di fatto ragione in quanto la sentenza venne riformata nel successivo grado di giudizio.
E’ suggestivo, per gli avvocati, poter pensare che proprio le vette giuridiche abbiano potuto costituire, per sant’ Alfonso, un trampolino di lancio verso la santità. Ciò nella misura in cui le meraviglie della sua predicazione hanno potuto trarre originario fondamento anche dal dono dell’ oratoria emersa ed apprezzata nelle aule di giustizia. C’è invero un filo rosso che lega l’oratoria dell’ avvocato alla predicazione del santo. Il comune obiettivo è quello di convincere l’ uditore sulla veridicità delle proprie affermazioni. In sant’ Alfonso l’ appassionata oratoria si trasfuse nella mirabile predicazione del Vangelo, peraltro volta per volta “modulata” a seconda dello status dell’ interlocutore. E’ risaputo come il santo utilizzasse un linguaggio volutamente semplice allorquando predicava ai poveri ed agli analfabeti.
Quel che va ulteriormente evidenziato è che, in sant’ Alfonso, sia l’ oratoria dell’ avvocato che la predicazione del Vangelo sono state improntate all’amore incondizionato per la verità. Forse è per tale motivo che egli pubblicò, nel 1765, un libro dal titolo “Dell’ uso moderato dell’ opinione probabile”. Se riflettiamo su Sant’ Alfonso avvocato, possiamo porci un interrogativo in ordine alla verifica del rapporto tra l’ esercizio della professione forense e quello delle virtù cristiane. Occorre premettere che alcuni professionisti, tra i quali in particolare i medici e, per l’ appunto, gli avvocati, possono essere considerati, nella prospettiva delle virtù evangeliche, dei “privilegiati”. Essendo tenuti, nella maggior parte dei casi, al continuo confronto con pazienti o clienti, essi hanno il “prossimo” sempre accanto (si pensi alla vita del medico San Giuseppe Moscati). Ebbene, con riferimento alla posizione dell’ avvocato, possiamo domandarci: chi è il suo “prossimo” allorquando egli esercita la professione ? Sant’ Alfonso sembra fornirci la risposta. E’ non soltanto il cliente ma anche l’ avversario, meglio noto come controparte. Ecco il motivo per il quale il santo riteneva che occorresse patrocinare soltanto cause giuste le quali, proprio in ragione della loro intrinseca fondatezza, giammai avrebbero potuto cagionare all’ avversario un danno ingiusto con ciò violandosi il precetto della carità.
Le dodici regole morali dell’ avvocato redatte da sant’ Alfonso Le dodici regole morali redatte da sant’ Alfonso ci indicano i comportamenti che egli riteneva ogni avvocato dovesse osservare nell’esercizio della professione. La configurazione di tali norme di condotta può costituire, ove condivise, un privilegio per gli avvocati, facilitati nell’identificare la moralità o meno dei propri comportamenti avendo quale riferimento i criteri redatti proprio da colui al quale, nel 1950, Pio XII conferì il titolo di “celeste Patrono di tutti i confessori e moralisti”. Conclusivamente può essere opportuno trascrivere tali regole.
1) Non bisogna accettare mai cause ingiuste perché sono perniciose per la coscienza e per il decoro.
2) Non bisogna difendere una causa con mezzi illeciti e ingiusti.
3) Non si deve aggravare il cliente di spese indoverose, altrimenti resta all’ avvocato l’ obbligo della restituzione.
4) Le cause dei clienti si devono trattare con quell’ impegno con cui si trattano le cause proprie.
5) E’ necessario lo studio dei processi per dedurre gli argomenti validi alla difesa della causa.
6) La dilazione e la trascuratezza degli avvocati spesso dannifica i clienti e si devono rifare i danni, altrimenti si pecca contro la giustizia.
7) L’ avvocato deve implorare da Dio l’ aiuto nella difesa, perché Iddio è il primo protettore della giustizia.
8) Non è lodevole un avvocato che accetta molte cause superiori ai suoi talenti, alle sue forze e al tempo che spesso gli mancherà per prepararsi alla difesa.
9) La giustizia e l’ onestà non devono mai separarsi dagli avvocati cattolici, anzi si devono sempre custodire come la pupilla degli occhi.
10) Un avvocato che perde la causa per sua negligenza si carica dell’ obbligazione di rifar tutti i danni al suo cliente.
11) Nel difendere le cause bisogna essere veridico, sincero, rispettoso e ragionato.
12) I requisiti dell’ avvocato sono la scienza, la diligenza, la verità, la fedeltà e la giustizia.
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