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Rapporto Cassa Forense - Censis 2024. Spiragli di ottimismo?

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Domenico Monterisi

Come ormai avviene da qualche anno, il Direttore della Rivista mi ha chiesto di commentare il Rapporto Cassa Forense-Censis 2024 sull’Avvocatura.

Si tratta ormai dell’ottavo rapporto realizzato da Cassa Forense in collaborazione con il Censis.

Un utilissimo strumento di studio per tentare, anche con comparazioni con il passato, di testare il polso allo stato di una professione, che, almeno secondo la vulgata, sarebbe in crisi.

Come ogni anno, tuttavia, non si possono estremizzare in positivo o in negativo le differenze rispetto al precedente rapporto. Alcuni dati fanno, infatti, sperare in un generale miglioramento delle condizioni reddituali/operative dei professionisti avvocati, altri dati, invece, sono meno positivi e inducono a valutazioni sull’esistenza o meno delle condizioni per invertire definitivamente la rotta.

1. Metodologia di lavoro

Dal punto di vista tecnico, il Rapporto mantiene la consueta impostazione del passato, utilizzando i dati e le informazioni che provengono da “I numeri dell’Avvocatura”, realizzato dall’Ufficio attuariale di Cassa Forense, e i risultati dell’indagine demoscopica presso gli iscritti alla Cassa, che quest’anno ha visto la partecipazione al sondaggio di circa 26.000 avvocati.

Oltre a questa parte generale di analisi di tipo quantitativo, si aggiunge uno studio specifico di approfondimento che ha per oggetto la condizione degli studi strutturati, ovvero quelle realtà che hanno acquisito una configurazione più o meno complessa in funzione di una attività professionale in grado di coprire diversi ambiti dei servizi legali, di adottare una logica di rete con altri professionisti e di sfruttare i vantaggi di soluzioni organizzative e innovative sul piano tecnologico.

Come in passato, si è proceduto all’analisi dei dati aggiornati sugli iscritti, sui redditi, sulle pensioni, messa a confronto con le opinioni degli avvocati sulla propria situazione professionale, sulle prospettive della professione e sui rapporti con gli assistiti.

Particolare attenzione si è prestata poi ad alcune tematiche che da qualche anno sono al centro del dibattito politico-forense e della riforma della professione su cui è al lavoro il tavolo di studio voluto dal Congresso Nazionale Forense, quali il regime delle incompatibilità, l’esclusività dell’attività di avvocato, la monocommittenza, la relazione con altri professionisti, il ricorso agli ADR.

Un focus speciale è stato, poi, dedicato ad un’altra tematica ormai ricorrente in ogni ambito di riflessione, quale l’intelligenza artificiale e il suo impatto sulla professione.

Uno spazio specifico è stato riservato alle prestazioni che Cassa Forense eroga ai professionisti (sostegni alla professione, alla salute, alla famiglia) e all’attività di comunicazione e interlocuzione fra la Cassa e gli iscritti, mentre un’altra sezione del Rapporto raccoglie le risultanze di un’elaborazione dei dati principali a livello territoriale e regionale.

2. I numeri

Il primo dato in evidenza è quello del consolidarsi del calo degli avvocati. Il numero di avvocati iscritti alla data di redazione del rapporto è di poco inferiore a 237.000 unità con un ulteriore calo dell’1,3% rispetto all’anno precedente.

Si tratta di una riduzione abbastanza limitata e, aggiungerei, fisiologica se si tiene conto del numero di professionisti che sono stati attratti dai numerosi concorsi pubblici che, complice l’attuazione del PNRR, si stanno svolgendo in moltissime amministrazioni.

È tuttavia indice di un trend che va evidentemente monitorato, tenuto conto dell’impatto sui conti di Cassa Forense e sulla sostenibilità futura del sistema che potrebbe derivare dalla mancata iscrizione all’Albo di nuove leve, ovvero dalla cancellazione di altri Colleghi.

La ripartizione fra uomini e donne registra il dato che gli uomini superano leggermente le donne nel totale degli iscritti, con poco più di 125.000 unità (52,9%), a fronte di circa 111.500 donne (47,1%).

Se, tuttavia, prendiamo in considerazione soltanto gli avvocati in attività, escludendo cioè quelli in pensione, riscontriamo una sostanziale parità numerica fra uomini e donne.

Deve, tuttavia, osservarsi che precedenti dati davano più vicino il raggiungimento della parità numerica (considerando anche gli avvocati in pensione) fra uomini e donne: nel 2019 le donne raggiungevano il 48% del totale degli iscritti, dato sceso quest’anno al 47,1%.

Il che evidenzia che le cancellazioni (e anche le mancate nuove iscrizioni) riguardano in maniera più rilevante le professioniste donne Resta tuttavia confermato il dato della significativa presenza di donne avvocate tra i professionisti più giovani.

Per quanto attiene alla distribuzione degli iscritti in base all’età, in conseguenza del calo degli iscritti e soprattutto delle nuove iscrizioni), nel periodo tra il 2022 e il 2023, si è assistito a significativi cambiamenti: nel 2022, gli iscritti attivi con meno di 9 anni di esperienza rappresentavano oltre un terzo del totale degli iscritti, costituendo la fetta più ampia del totale con il 34,7%.

Nel corso del 2023, questa categoria ha subito una contrazione significativa, scendendo al 22,6%. Da ciò deriva una tendenza all’invecchiamento degli iscritti attivi, che si rispecchia anche nella crescita dell’età media, che dal 2002 al 2023 è passata da 42,3 anni a 48,3 anni.

Tra il 2019 al 2023 si è registrato, poi, un aumento del numero di iscritti pensionati superiore ai tremila avvocati, mentre il numero di iscritti non pensionati è diminuito di quasi diecimila avvocati.

Di conseguenza, dal 2019 al 2023, il numero di iscritti attivi per ogni pensionato si è contratto di 1 punto percentuale, passando da 7,7 nel 2019 a 6,7 nel 2023.

Si tratta di dati che evidentemente possono destare allarme (anche per le potenziali conseguenze sul sistema previdenziale) e che rendono manifesta la perdita di appeal della professione forense nei confronti delle ultime generazioni.

Altro dato da considerare è quello delle cancellazioni. Nel 2023, il saldo tra iscrizioni e cancellazioni degli iscritti alla Cassa Forense mostra una diminuzione del totale di 1.650 avvocati.

Nello specifico, i dati registrano soprattutto un decremento del totale delle donne (-1.775). Si riscontra, poi, una maggiore incidenza fra chi ha un’anzianità professionale fino a 14 anni e fra le donne.

Su un totale di 8.043 cancellazioni, ben 6.413 riguardavano iscritti con un’esperienza fino a 14 anni, pari al 79,7% del dato complessivo.

Anche questo, tuttavia, appare un dato fortemente condizionato dagli ingressi di molte/i professioniste/i avvocate/i nella pubblica amministrazione a seguito dell’indizione di una serie di concorsi con cui si sta realizzando l’atteso turn over (non ancora completato) nelle file del pubblico impiego.

3. La struttura degli studi legali in Italia

Dalla rilevazione del Censis, emerge che il 63,8% degli avvocati opera come titolare di uno studio monopersonale.

Ciò avviene soprattutto al Sud e nelle Isole (73,1%), con diminuzione via via sempre maggiore al Centro (62%), al Nord-Est (55,5%) e, infine, al Nord-Ovest (52,4%).

Aumenta il dato degli avvocati svolge principalmente un ruolo di collaboratore all’interno di studi legali. Il dato sfiora l’11% degli iscritti, i quali dedicano almeno l’80% del proprio tempo a questa attività.

Il 9,3% degli avvocati intervistati si dichiara membro di uno studio associato, Sta o Stp; anche in questo caso con notevoli differenze geografiche: il fenomeno è più evidente nelle regioni del Nord-Ovest (14,5%) rispetto al Sud e alle Isole, dove si attesta al 5,3%. Significativa è, poi, la percentuale, pari al 5,7%, degli avvocati che operano in regime di collaborazione esclusiva, ovvero in “monocommittenza”.

Questo modello è più diffuso nel Nord-Ovest (10,8%), seguito dal Nord-Est e dal Centro (6,8% e 6,0%), mentre nel Sud e Isole è meno comune, con solo il 2,7%.

4. Le prospettive della professione

Il pessimismo che continua a caratterizzare le risposte degli avvocati intervistati dal Censis rispetto alle prospettive future della professione, mostra un modesto, per quanto interessante, arretramento.

Se nel 2022 il 28,4% degli avvocati riferiva di una situazione molto critica, con scarsa attività lavorativa e incertezza professionale, tale percentuale è scesa al 24,6% nel 2024.

Dall’ultimo rapporto emerge che il 29,6% degli intervistati ha dichiarato di percepire una situazione abbastanza critica, con un calo di 3,3 punti percentuali rispetto al 2022 (32.9%).

Piccole luci certamente, che, tuttavia, lasciano ben sperare. Dati leggermente migliori che si riscontrano anche nell’aumento degli avvocati che hanno riferito di una situazione professionale stabile o migliorata rispetto all’anno precedente: il 28,5% ha segnalato una situazione invariata, il 15,4% ha dichiarato di trovarsi in una situazione positiva, evidenziando un miglioramento nonostante il contesto di crisi, mentre soltanto l’1,9% degli intervistati ha riferito di percepire uno stato professionale molto positivo.

Disaggregando per genere questi dati, tuttavia, non può non segnalarsi una differenza importante tra gli uomini e le donne. Nel 2024, il 29,5% delle donne afferma di essere in una situazione molto critica, quasi 10 punti percentuali in più rispetto ai colleghi maschi.

Il 30,8% delle avvocate dichiara una condizione abbastanza critica, dato che scende al 28,6% per gli uomini. Simmetricamente, gli uomini affermano maggiormente di essere in situazioni stabili, positive o molto positive rispetto alle donne: il 31,6% degli uomini nel 2024 afferma di essere in una situazione professionale stabile, contro il 25% delle donne; il 17,2% degli uomini ha visto un miglioramento nella sua professione malgrado la crisi, contro il 13,5% delle donne; per il 2,4% degli avvocati la situazione è molto migliorata, contro l’1,3% delle colleghe.

E il gap, non soltanto reddituale, ma anche di prospettiva futura fra uomini e donne, è uno dei dati emergenti dal Rapporto che deve maggiormente far riflettere.

Resta sostanzialmente stabile, ma in leggero aumento, il numero di avvocati che ha considerato la possibilità di abbandonare la professione (34,6%, dato simile a quello dell’anno passato, 34%). La motivazione di una simile scelta viene indicata soprattutto nella consapevolezza di un’attività che comporta costi eccessivi e alla quale non corrisponde il giusto ritorno economico.

5. I redditi dell’avvocatura

Il considerevole aumento del fatturato complessivo dell’avvocatura italiana (+5,1% del reddito IRPEF complessivo) deve fare, tuttavia i conti con un periodo in cui si è registrato un aumento superiore al 10% dell’inflazione.

Il che, in soldoni, significa una riduzione media del 5% del potere di acquisto. Il risultato dell’intera avvocatura sfiora i 10 miliardi di euro, mentre il volume d’affari si è attestato sui 14,8 miliardi di euro (+5,6% sull’anno precedente).

Il reddito medio annuo per avvocato è risultato pari a 44.654 euro. Andando a scandagliare i dati e a suddividerli per categorie, emerge che sono più di 30 mila gli euro di differenza fra uomini e donne a scapito di queste ultime, anche se risulta maggiore la crescita del reddito delle avvocate (7,1%) rispetto ai colleghi (4,2%).

Trattasi di un dato in continuità con quelli degli anni precedenti. Se è vero, dunque, che il gap reddituale resta enorme, è anche vero che le avvocate crescono di anno in anno più dei colleghi.

Gli incrementi più significativi per le avvocate si rintracciano fra la classe d’età compresa fra i 35 e i 39 anni (11,6%) e nella classe successiva, 40-44 anni (9,1%).

Restano sotto la media i redditi delle classi più avanti nell’età, a partire dalle professioniste con un’età fra i 45 e i 49 anni (6,2%). In maniera analoga, gli incrementi di reddito più rilevanti sono riconducibili agli avvocati uomini nella classe 30-34 anni (8,5%) e in quella 40-44 anni (7,6%).

Sempre preoccupante è, poi, il dato dei quasi 50 mila avvocati che dichiarano un reddito fino a 10.300 euro. Si tratta del 22,2% del totale degli iscritti che rasenta la soglia di povertà.

Non molto migliore è la condizione di ulteriori 42 mila iscritti che presentano un reddito compreso fra 10.300 euro e 19.633 euro (18,9% del totale), mentre se si sale fino a 35 mila euro si aggiungono altri 45mila avvocati. Il che equivale a dire che circa il 70% dei professionisti non raggiunge i 35 mila euro di reddito annuo.

Solo 71mila avvocati hanno percepito, nel 2022, un reddito superiore. Le differenze reddituali risultano più evidenti se si confrontano i dati fra chi esercita la professione nel Nord Italia e chi risiede nell’area meridionale: fatto 100 il reddito medio nazionale, al Nord il valore risulta del 39,7% superiore, al Centro si riscontra una percentuale superiore dell’11%, al Sud del 39,2% inferiore.

L’incremento di reddito fra il 2021 e il 2022 appare più sostenuto nelle aree meridionali rispetto al resto del Paese: +7,5% nel Sud e Isole, rispetto al +5,1% nazionale.

Le risposte degli intervistati confermano i dati ricavabili dalle loro dichiarazioni dei redditi, il 34,1% ha dichiarato di aver visto crescere il proprio fatturato, per il 34,8% il fatturato è rimasto invariato, mentre il 31% ha osservato una diminuzione nel 2023 rispetto al passato.

Disaggregando il dato per le classi d’età, la quota di chi ha visto crescere il fatturato si riferisca a chi ha meno di 40 anni (53,6%), mentre l’incidenza di chi ha visto ridurre il proprio risultato economico è più alta fra le classi più avanti nell’età (48,1% per chi ha più di 64 anni, 35,4% per chi ha un’età uguale a 50 anni e inferiore a 64 anni).

6. Il perimetro delle attività dell’avvocato e la tipologia di clientela

Si tratta di un altro elemento di valutazione che caratterizza da sempre i rapporti annuali e che non contiene grandi novità rispetto al passato. Si continua a registrare una maggiore percentuale di fatturato prodotta dall’attività giudiziale (59,3%) piuttosto che da quella stragiudiziale (il restante 40,7%).

Va, tuttavia, registrato che gli avvocati più giovani dichiarano, invece, un fatturato proveniente da attività extra giudiziali superiore al dato medio, rispettivamente il 47,8% fra chi ha meno di 40 anni e il 42,4% fra chi ha un’età compresa nel segmento 40-49 anni. Prevale nella distribuzione del fatturato la parte che deriva dall’attività in ambito civile (62,6%), a fronte del 14,2% in ambito del diritto penale, mentre il 5,5% risulterebbe collegato a collaborazioni stabili con studi legali di terzi (i c.d. monocommittenti).

Nella distribuzione del fatturato per area di provenienza della clientela, prevale anche quest’anno la dimensione locale (71,9%), mentre solo 12,3% ha origine in un raggio d’azione che contempla l’intero Paese e appena il 2,1% del risultato economico può essere ricondotto a una clientela internazionale.

La quota dei più giovani dichiara un fatturato tendenzialmente più aperto rispetto alla dimensione puramente locale. È sempre la clientela privata (poco più del 50%) a garantire le entrate degli avvocati, mentre il 17,5% riguarda invece servizi legali rivolti a piccole e medie imprese; infine, il 9,0% proviene da collaborazioni con altri avvocati

7. I numeri delle pensioni nell’avvocatura

Il numero complessivo di pensioni distribuite da Cassa Forense alla fine del 2023 è stato di 33.170.

Di queste, il 47,1% sono pensioni di vecchiaia, il 24,4% pensioni di reversibilità, mentre il 6,2% pensioni contributive. Il restante 22,1% è distribuito in pensioni indirette (8,5%), di invalidità e inabilità (6,4%), di anzianità (4,5%), e totalizzazioni e cumuli (2,8%).

Sotto il profilo economico, l’importo medio delle pensioni erogate risulta essere di 30.502 euro, tuttavia, si osservano alcune difformità tra i diversi fruitori.

In particolare, per le pensioni di vecchiaia, si registra un importo medio di 42.574 euro, superiore di circa 12.000 euro rispetto alla media complessiva. Le pensioni di anzianità presentano un valore medio di 40.337 euro, anch’esso significativamente superiore alla media.

Per le circa 8.000 pensioni di reversibilità, il loro importo medio si attesta intorno ai 22.000 euro. Le differenze di genere si riscontano anche in relazione all’entità delle pensioni erogate: con particolare riguardo alle pensioni di vecchiaia e di anzianità, si evidenzia un divario economico a sfavore delle donne avvocato rispettivamente di 9.280 e 7.293 euro.

Il quadro di riferimento al 2023 sulle pensioni di vecchiaia, la tipologia che incide maggiormente sulla totalità delle pensioni erogate, sottolinea che per il 54,4% dei beneficiari, la somma complessiva di erogazione si colloca nella classe di importo uguale o superiore ai 40 mila euro, a differenza della restante parte che si distribuisce nelle classi d’importo 20-40 mila euro (27%), e quella fino ai 20 mila euro.

Le differenze reddituali fra Nord, Centro e Sud sono ovviamente riscontrabili anche in relazione all’entità delle pensioni erogate.

Il 38,6% del totale delle pensioni viene erogate nel Mezzogiorno, con un importo medio del 78% rispetto alla media € 33.170), pari a 23.798 euro in confronto ai 30.502 euro complessivi.

Al Nord invece l’importo medio si aggira intorno ai 37.000 euro, di gran lunga superiore alla media, e infine al Centro, attestandosi sui 31.020 euro, si riscontra una cifra solamente di poco superiore alla media nazionale.

8. Cassa Forense e le prestazioni rivolte agli avvocati

Un altro argomento trattato dal Rapporto, anche questo in continuità con le passate edizioni, è quello delle prestazioni di ordine assistenziale che la Cassa fornisce agli iscritti. In particolare agli intervistati è stato chiesto quale delle varie forme di assistenza erogate dalla Cassa incontri il maggior favore.

Lo “stato di bisogno individuale” emerge come la preferenza dominante, rappresentando circa il 47% delle risposte totali. Gli iscritti con più di 40 anni di età confermano questa tendenza, mentre gli infra-quarantenni prediligono le “convenzioni per ridurre i costi e agevolare l’esercizio della professione”.

Tra gli avvocati più giovani, di età inferiore ai 40 anni, i “contributi o convenzioni per la fruizione di asili nido e 27 scuole materne ed iniziative per la conciliazione fra lavoro e famiglia” emergono come priorità, rappresentando il 37,7% delle preferenze.

L’inclusione di queste prestazioni, al secondo posto nella classifica complessiva per la fascia d’età under 40, indica un crescente interesse e una consapevolezza tra i giovani professionisti riguardo alle politiche di supporto alla conciliazione della vita professionale e familiare. È invece evidente, del tutto comprensibilmente, un interesse decisamente inferiore nelle fasce d’età più avanzate per questa tipologia di strumento.

Con riferimento alle prestazioni erogate a sostegno della salute, il Rapporto 2024 conferma che la maggior parte degli avvocati (56,9%) individua nella copertura dei grandi interventi chirurgici, il migliore dei servizi che può essere offerto.

A seguire troviamo con il 51,3% di preferenze la copertura dei grandi eventi morbosi e con il 36,8% la copertura per interventi di medicina preventiva.

La maggioranza degli avvocati considera, dunque, prioritario tutelare gli imprevisti che presentano incognite sia dal punto di vista della salute personale che da quello economico, oltre che una piena consapevolezza dell’importanza di garantire una copertura completa per affrontare eventuali imprevisti sanitari, limitandone gli effetti negativi pendenti e mitigandone le conseguenze derivanti da tali situazioni inattese.

Non meno rilevante, nel gradimento degli iscritti, è la corresponsione dell’indennità di maternità: si tratta del tipo di prestazione che risulta essere al secondo posto di preferenza (33,5%) tra tutte e nove le opzioni.

Meno essenziali, secondo gli intervistati, le prestazioni a sostegno delle famiglie numerose (11,1%), dato che appare in linea con il contesto nazionale contraddistinto da nuclei familiari sempre meno numerosi e da una natalità declinante.

9. I servizi del portale di Cassa Forense

Non tutte le sezioni del portale internet di Cassa Forense catturano l’attenzione degli avvocati intervistati.

L’Osservatorio sulle opportunità europee a sostegno delle professioni risulta essere il servizio online meno utilizzato (70,9%); seguono il Portale welfare (54,8%) e la Banca dati Giuridica (51,8%).

La sezione “Documentazioni”, tra cui modulistica, guida previdenziale e normativa, è, invece, il servizio offerto da Cassaforense.it più utilizzato.

Aumenta di oltre il 10% l’utilizzo del simulatore del calcolo pensionistico, il che evidenzia per un verso l’utilità dello strumento, per altro verso l’interesse degli utenti a rendersi conto della propria situazione previdenziale e del futuro che li attende nel momento in cui decidessero di accedere alla pensione.

10. La monocommittenza e il regime delle incompatibilità

Si è già accennato in apertura che quest’anno Cassa Forense e Censis hanno dedicato un focus del rapporto al tema della monocommittenza, rispondendo ad un’esigenza di studio del fenomeno che da anni si registra da parte di molti avvocati.

Come si legge nel rapporto, per affrontare il tema della monocommittenza, “recenti proposte di legge, ancora in Parlamento, prevedono di far decadere l’incompatibilità fra la professione forense e il lavoro dipendente o parasubordinato svolto in via esclusiva presso lo studio di un altro avvocato o associazione professionale o ancora presso una società tra avvocati o multidisciplinare”.

Interrogati ad esprimersi sull’argomento, gli avvocati in genere (73,6%), e in maggior numero gli under 40 (89,5%), sostengono questa proposta, anche se con opinioni più articolate: il 48,7% degli avvocati è dell’idea che è opportuno regolamentare la figura dei collaboratori di studio, ma senza far perdere la natura di libero professionista, autonomo e indipendente ed evitando di trasformare il professionista in lavoratore subordinato, opinione condivisa trasversalmente da tutte le fasce di età; il 24,9% afferma invece che la condizione precaria di molti collaboratori deve essere regolamentata anche prefigurando la possibilità di stipulare contratti di lavoro subordinato agganciati a contratti collettivi nazionali.

Questa soluzione è auspicata soprattutto dagli under 40 (45,3%), dato comprensibile, in considerazione del fatto che si tratta della fascia di età maggiormente esposta alla questione. Non sostiene questa proposta il 24,3% degli intervistati.

Di essi, il 12,3% pensa che non sia necessario alcun intervento normativo, ritenendo che l’incompatibilità, così come prevista dall’art. 18 della L. 247/2012, non è in discussione; il 12,0% è invece dell’idea che la condizione precaria dei collaboratori di studio non si risolve con interventi normativi, poiché solo le competenze e la qualità professionale possono garantire dal rischio di precarietà.

Anche sul tema delle altre incompatibilità si registra una notevole apertura a renderlo meno rigido. Un terzo abbondante degli avvocati (34,9%) pensa che potrebbe essere rivista qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato; ancora una volta sono i più giovani a mostrare apertura verso una riduzione delle incompatibilità.

Si registra, infatti, un picco tra gli under 40 (43,8%) e un minore interesse nella materia dei più anziani (27,9%). Il 24,9% considera che per raggiungere maggiori opportunità, si potrebbe rivedere l’incompatibilità con l’attività di lavoro autonomo svolta continuativamente o professionalmente, escluse quelle di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale, e con l’esercizio dell’attività di notaio.

Questa opinione è condivisa maggiormente dagli avvocati con più di 64 anni (40,8%), dato che cala con l’età arrivando al 15,2% tra chi ha meno di 40 anni.

Il 22,2% degli iscritti intervistati ritiene che si potrebbe rivedere l’esercizio di qualsiasi attività di impresa commerciale svolta in nome proprio o per conto altrui. Infine, per il 18,0% andrebbe rivista l’incompatibilità con il ruolo di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di società di persone, aventi quale finalità l’esercizio di attività di impresa commerciale, in qualunque forma costituite, nonché con la qualità di amministratore unico o consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa, e inoltre con la qualità di presidente di Consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione.

L’iniziativa di Cassa Forense e Censis di sottoporre alla valutazione degli intervistati le questioni della monocommittenza e del regime delle incompatibilità appare particolarmente opportuna e rilevante in un momento in cui è in discussione la riforma della professione e del suo ordinamento: le risposte ottenute potranno/dovranno essere esaminate con attenzione dalle rappresentanze istituzionali e politiche nel momento in cui si andrà a proporre al Congresso Nazionale Forense un articolato di riforma, oggi in elaborazione.

11. Esclusività dell’attività di avvocato e ADR

Altro tema affrontato dal rapporto è quella dell’esclusività dell’attività, che, come noto, compete all’avvocato fornire nelle controversie giudiziarie dinanzi a qualsiasi organo giurisdizionale, oltre che nelle procedure arbitrali convenzionali, ad eccezione dei casi espressamente previsti dalla legge.

Si è dunque chiesto agli avvocati se l’esclusività debba restare circoscritta alla rappresentanza in giudizio, oppure se può (deve) essere estesa ad altre attività che rientrano nell’area degli ADR.

Il 46,4% degli avvocati ha risposto che l’esclusività per gli avvocati dovrebbe essere estesa a tutte quelle attività in cui può sorgere un contenzioso. Il 17,2% degli intervistati, pur concordando con l’estensione dell’esclusività, ritiene che l’obiettivo andrebbe perseguito concordando con altre professioni ordinistiche e non ordinistiche gli ambiti specifici di competenze. Il 29,2% partendo dalla considerazione che l’area dei servizi legali è in continua evoluzione, ritiene che non si possano definire confini precisi e ambiti specifici di competenze. Una minoranza di avvocati (7,1%) teme che qualsiasi regolamentazione delle attività fra professioni potrebbe violare i principi di libera concorrenza.

Per quanto attiene all’uso degli ADR, nel periodo compreso tra il 2022 e il 2023, si è registrato un notevole decremento, scendendo dal 60,8% al 56,2%. Come nel 2022, anche nel 2023 la mediazione è stata la modalità più utilizzata dagli iscritti (91,6%), seguita dalla negoziazione assistita in contesti non familiari (54,8%) e in ambito familiare (31,3%). Percentuali minori per l’arbitrato (8,9%).

La maggior parte degli intervistati continua a ritenere che gli strumenti di ADR siano uno strumento utile per gli avvocati: tuttavia si registra una notevole flessione (7,3%) degli avvocati che lo affermano, il che deve essere considerato nell’ottica di una revisione nella normazione di questi strumenti soprattutto per quanto attiene all’obbligatorietà che un numero sempre crescente di avvocati ritiene che allunghi i tempi ed aumenti i costi della giustizia (dal 55,2% nel 2022 al 63,3% nel 2023).

12. Le opportunità e i limiti dell’intelligenza artificiale per la professione di avvocato

Si è già accennato in apertura che molto opportunamente anche l’intelligenza artificiale, per la prima volta da quando viene pubblicato il rapporto Cassa Forense – Censis, è stata un argomento su cui sono stati intervistati gli avvocati italiani. Ovviamente oggetto delle domande sono state da un lato le opportunità che l’intelligenza artificiale può offrire allo svolgimento della professione forense e dall’altro se e quali timori questa incipiente “invasione possa determinare.

Il 58,7% degli avvocati è dell’idea che l’intelligenza artificiale rappresenti un’opportunità nella professione forense, soprattutto (47,4%) nell’ambito della ricerca legale senza sostituire la funzione dell’avvocato.

Per l’11,3% si tratta di un’opportunità, che consente di gestire un grande volume di informazioni in tempi ridotti, di orientare la soluzione dei casi trattati, di produrre atti corretti, aggiornati e documentati.

Il 32,1% degli intervistati, invece, percepisce l’intelligenza artificiale come una minaccia: il 23,7% lo pensa perché è dell’idea che spinga le persone a sostituire la prestazione di un avvocato affidandosi ai risultati di una chatbot; l’8,4% perché i relativi dati potrebbero essere soggetti a cyber attacchi, le decisioni automatizzate verrebbero assunte in maniera aspecifica; inoltre, tutto ciò potrebbe comportare la perdita di innumerevoli posti di lavoro.

13. Una prima indagine sugli studi strutturati

Un’intera sezione del Rapporto 2024 è dedicata agli studi strutturati. Si è infatti realizzata una fase di ascolto di soggetti rappresentativi degli studi strutturati per affrontare i temi della “disomogeneità” delle diverse componenti dell’Avvocatura in relazione al risultato economico conseguito e alla dimensione organizzativa; i percorsi di sviluppo e di rinnovamento dell’attività professionale negli ambiti dei servizi legali; il contributo che le forme di associazione tra avvocati può apportare per far fronte alla distanza crescente fra la base e il vertice della piramide reddituale degli avvocati e alle conseguenze in termini di coesione all’interno della professione e di sostenibilità finanziaria di lungo periodo.

Volendo riassumere i risultati dell’indagini, visto il poco spazio a disposizione, si può affermare che, se da un lato emerge una pluralità e complessità di tipologie di rapporti professionali, anche di carattere contrattuale ed economico, dall’altro risulta evidente il fattore comune rappresentato dalla consapevolezza del valore della condivisione delle competenze ed esperienze professionali che costituisce il motivo fondamentale della scelta dell’aggregazione.

Consapevolezza che deriva da motivazioni di diversa natura che sono riconducibili a:

• una natura sempre più complessa e articolata della domanda di servizi in campo legale, che richiede la collaborazione e l’intervento di competenze integrate e diversificate;

• la predisposizione, un approccio soggettivo e le preferenze personali verso modelli collettivi e condivisi dell’attività professionale;

• una maggiore sicurezza, non solo di carattere economico, ma anche operativo, nella gestione delle pratiche e dei servizi offerti;

• la possibilità di consolidamento e di gestione efficiente per far fronte alla variabilità del mercato, garantite maggiormente da una struttura organizzata rispetto a quanto si realizza in uno studio tradizionale dipendente dalla figura e dall’autorevolezza del singolo professionista;

• l’opportunità di definire un’identità più riconoscibile e riconosciuta verso l’esterno sui temi centrali attorno ai quali si sviluppa l’offerta di servizi dello studio;

• infine, e forse più importante di tutte, la convinzione di poter offrire alla committenza un servizio che garantisca un maggiore livello di qualità complessiva. Dal Rapporto emerge, poi, che l’appartenenza a uno studio strutturato consente di affrontare in maniera proattiva o, comunque, più efficace, percorsi e processi di innovazione.

L’attenzione e il grado di sviluppo e gli approcci nei confronti delle nuove tecnologie, come la predisposizione all’internazionalizzazione e alla collaborazione con altre realtà organizzate e professionisti esterni tendono a crescere e consolidarsi parallelamente al grado di strutturazione, ampiezza e posizionamento di mercato degli studi analizzati dall’indagine del Censis. Sul terreno dell’innovazione tecnologica è opinione comune e largamente condivisa la constatazione di un’accelerazione negli ultimi due, tre anni dell’utilizzo degli strumenti e delle applicazioni digitali e dei sistemi telematici che ha impattato in maniera significativa sull’operatività complessiva dell’avvocatura.

Tutto ciò è stato favorito dalla necessità di far fronte alle criticità derivanti dagli eventi causati dalla diffusione del Covid-19. L’utilizzo, la conoscenza avanzata e l’aggiornamento costante rispetto alle tecnologie digitali vengono ormai considerati fattori imprescindibili per l’attività professionale dei servizi legali. Naturalmente anche in questo caso vanno distinti gli approcci e le soluzioni adottate dagli studi più strutturati e di maggiore dimensione che operano sui mercati corporate e che sviluppano anche attività in ambito internazionale.

Queste realtà si sono tutte dotate di un sistema interno di networking e condivisione di applicazioni tecnologiche, che ha determinato anche una forte attenzione nei confronti delle soluzioni di cyber security e di tutela della riservatezza e della privacy.

Per tali motivi gli studi strutturati si avvalgono di professionisti interni, assunti a tempo indeterminato. Per quanto riguarda le realtà meno strutturate, invece, le soluzioni adottate sono ancora a diversi stadi di avanzamento e che possono essere definiti di “introduzione/ transizione”.

In sostanza, convivono situazioni che cominciano ad adottare soluzioni stabili di lavoro condiviso con altre in cui l’utilizzo delle applicazioni informatiche e digitali si realizza in maniera più sporadica.

Si può affermare che, come avviene anche negli studi legali di professionisti singoli, si possono incontrare nella stessa realtà approcci di carattere tecnologico avanzato e “industriale” ad altri ancora molto artigianali e “analogici”.

Interessanti sono le risposte date da questa categoria particolare di intervistati in relazione al tema della monocommittenza e delle incompatibilità. Non sono emerse sostanziali preclusioni aprioristiche nei confronti dei rapporti di monocommitenza.

Gli studi più strutturati, di maggiore dimensione sottolineano soprattutto gli aspetti positivi che derivano dal rapporto di monocommittenza: i limiti all’autonomia professionale del “monocommittente”, secondo gli intervistati, sono largamente compensati dalle opportunità di crescita professionale garantite.

Gli appartenenti agli studi e alle strutture maggiormente concentrate su servizi a supporto delle singole persone considerano, invece, che l’autonomia del singolo e la sua capacità di relazionarsi direttamente con gli assistiti sia un valore essenziale della professione.

In questi casi si tende a valutare maggiormente il rischio di un depauperamento della professionalità del singolo collaboratore che ne limita anche la possibilità di carriera e crescita. Per questi studi si ritiene necessario adottare misure e condizioni che possano garantire e, anzi, sostenere l’eventualità di muoversi autonomamente del collaboratore anche sul fronte dell’acquisizione di nuovi assistiti e clienti.

Altro tema affrontato nelle interviste ai componenti degli studi strutturati è stato quello presenza di fattori di disuguaglianza che possono avere un’influenza negativa sulla coesione interna della professione e il suo equilibrio finanziario di lungo periodo. Si registra un’uniformità di giudizio da parte degli intervistati, che confermano l’esistenza di tali fattori di diseguaglianza, resi manifesti dalla distribuzione dei dati, ampiamente noti, sui redditi degli avvocati.

Va sottolineata una tendenza comune che ritiene che molti elementi di sperequazione e difficoltà, soprattutto ma non solo per i giovani, siano ascrivibili al numero ancora troppo consistente di avvocati presenti nel nostro Paese rispetto a quanto avviene negli altri Paesi ad “economia avanzata.

14. Focus: l’avvocatura in una prospettiva territoriale

L’ultima parte del rapporto 2024 è dedicata a un focus su ciò che diverge o converge non solo fra le consuete ripartizioni territoriali, ma anche all’interno delle singole realtà regionali.

Dall’analisi degli iscritti a Cassa Forense nel 2023, si ricava in particolare che in tre regioni – Lombardia, Lazio e Campania – si concentra quasi il 45% degli avvocati, ma se si rapporta il numero degli avvocati alla popolazione è la Calabria a presentare il livello più elevato di incidenza: 6,6 avvocati ogni mille abitanti, contro i 6 della Campania, i 5,8 del Lazio e i 3,6 della Lombardia.

Dal punto di vista economico, la graduatoria per livello di reddito medio acquisito nel 2023 pone al primo posto la Lombardia, con 77.598 euro annui, dato questo che si ottiene dalla media di 45.406 euro percepiti dalle donne avvocato lombarde a dai 112.408 euro percepiti dai colleghi uomini.

Il dato medio del reddito delle avvocate lombarde risulta comunque superiore a quello dei colleghi uomini che esercitano la professione in una qualsiasi delle regioni meridionali.

Tra il 2021 e il 2022 gli incrementi maggiori del reddito si sono verificati in diverse regioni del Sud, come la Sicilia (10,64%), la Calabria (9,51%) la Puglia (9,19%).

Al Nord solo il Trentino-Alto Adige mostra un dato di crescita superiore alla media nazionale: 7,61%.

È sempre il Trentino-Alto Adige a presentare la percentuale più bassa degli avvocati che dichiarano di versare attualmente in una condizione critica, pari al 31,7%, un dato questo piuttosto lontano dalla media nazionale (54,2%), condizionata quest’ultima dai valori che riguardano regioni come la Campania (65,5% di avvocati che sono in una condizione critica), la Calabria (64,6%), la Basilicata (61,8%).

Un dato particolarmente interessante riguarda la quota di avvocati che avrebbe preso in esame l’ipotesi di lasciare la professione. Anche in questo caso in proporzione sono di meno gli avvocati del Trentino-Alto Adige che pensano di lasciare la professione (25,2%), seguiti dal Friuli-Venezia Giulia (26,2%) e dal Piemonte (28,8%).

Sul lato opposto della graduatoria si collocano, invece, la Campania con una “percentuale di abbandono” al 44,9% contro una media nazionale del 34,6%. Nei fatti, tutte le regioni meridionali presentano quote di avvocati che pensano di lasciare la professione superiori al dato medio nazionale.

15. Considerazioni finali

I dati più significativi che si ricavano dal Rapporto 2024 possono essere così riassunti:

• si riduce, nel 2023, dell’1,3% il numero degli iscritti alla Cassa;

• la quota delle donne avvocato sul totale torna, nel 2023, al 47,1% e riporta la distribuzione fra uomini e donne avvocato a dieci anni;

• sale a 49,3 anni l’età media degli avvocati, ormai lontano dal dato dell’intera popolazione che è pari a 46,4 anni; nello stesso tempo, il tasso di dipendenza (il rapporto fra avvocati attivi e pensionati) scende al 6,7; era 7,7 nel 2019; il numero dei pensionati è cresciuto nel 2023 del 4,5%;

• l’anno passato ha registrato 8.043 cancellazioni fra gli iscritti a Cassa Forense; 6.193 le nuove iscrizioni, ma il saldo è negativo per 1.650 unità; 5.408 le cancellazioni da parte di donne avvocato, la metà circa con un’anzianità professionale inferiore ai 10 anni;

• l’area della criticità della professione interessa oggi il 54,6% degli avvocati, in leggera diminuzione rispetto al 2023; al Sud è intorno al 60%; per il 50,2% le prospettive 2024-2025 restano stabili, per il 27,9% non saranno positive;

• il 34,6% lascerebbe la professione; i costi eccessivi e il basso ritorno economico le cause della propensione all’abbandono.

A fronte di queste indicazioni, se ne colgono altre che rimandano il segnale di una situazione comunque in movimento, anche se permangono toni di carattere difensivo e conservativo:

• i redditi medi annui crescono del 5,4% fra il 2021 e il 2022 e soltanto in parte riescono a conservare il potere d’acquisto della categoria, esposto come altre agli effetti dell’inflazione;

• sempre fra il 2021 e il 2022 si è consolidato il rimbalzo della ripresa che ha avuto avvio alla fine del 2021: al Sud, fra i giovani e fra le donne avvocato si riscontra un tasso di crescita dei redditi annui superiore alla media;

• nell’ambito dell’assetto normativo della professione, gli avvocati sollecitano: una regolamentazione della figura dei collaboratori di studio senza però trasformare il professionista in un lavoratore subordinato (è d’accordo il 48,6% degli avvocati); una revisione delle incompatibilità con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato (35,2% è d’accordo); estensione dell’esclusività dell’attività dell’avvocato in tutti quegli ambiti in cui può sorgere un contenzioso (46,3%);

• l’intelligenza artificiale è percepita dagli avvocati come un’opportunità piuttosto che una minaccia: lo afferma il 58,7% dei professionisti;

• la quota dell’attività stragiudiziale sul totale del fatturato dei professionisti è in media pari al 40,8%; nello stesso tempo il 67,2% afferma che l’ADR obbligatoria allunga i tempi e i costi della giustizia, mentre il 45,9% concorda con il fatto che l’ADR riduce il ruolo degli avvocati e della giurisdizione.


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