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Nella Gazzetta Ufficiale del 17.10.2022 è stato pubblicato il decreto legislativo numero 149 del 13 ottobre 2022, a seguito dell’approvazione del testo in Consiglio dei Ministri, avvenuta il 28 settembre, nel corso di una delle ultime sedute del Governo “Draghi”.
L’avvio dell’iter legislativo, che ha preceduto l’intervento del legislatore delegato, è da farsi risalire al 9 gennaio 2020 quando il Governo “Conte II” aveva presentato in Senato il d.d.l. numero 1662, mentre i passaggi essenziali sono da ricondursi, dapprima all’istituzione di apposita commissione ministeriale ad opera della Ministra della Giustizia Marta Cartabia (la Commissione Luiso dal nome dell’autorevole presidente) con lo scopo di elaborare un embrione di riforma, e quindi ai vari passaggi tra Commissioni Giustizia e rami del Parlamento che si sono conclusi con l’approvazione definitiva in aula in data 25 novembre 2021 di un maxiemendamento sul quale il Governo aveva posto questione di fiducia, con raccomandazione a quest’ultimo di esercitare la delega entro il 24 dicembre 2022.
Il poderoso coacervo di norme, sebbene concentrato in soli 44 commi di un unico articolo, approvato alla fine del settembre scorso entro il termine assegnato dal legislatore delegante, costituisce quindi l’attuazione della legge delega 26.11.2021, n. 206, finalizzata ad una migliore efficienza del processo civile ed alla revisione degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, nonché all’adozione di misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie ed infine in materia di esecuzione forzata.
In sostanza si tratta dell’approvazione di norme di natura sostanziale e di natura processuale, essenzialmente tutte preordinate – nelle intenzioni del legislatore delegante – ad una maggiore speditezza delle prassi di Giustizia, sia che esse si dirigano verso il canale della definizione giudiziale, sia che esse trovino la soluzione nell’ambito dei numerosi strumenti che il legislatore ha messo a disposizione in questi ultimi anni per la risoluzione pregiudiziale ed alternativa delle controversie.
Quanto alla prima delle due alternative, l’intervento di restyling, oltre che incidere pesantemente sul giudizio di primo grado attraverso la creazione di un rito semplificato la cui trattazione è assimilabile al processo societario che ben poca fortuna aveva avuto nell’applicazione pratica, si concentra anche sulle norme di rito che riguardano le impugnazioni, con particolare rilevanza per il giudizio di legittimità.
Quanto al processo innanzi alla Suprema Corte l’intervento appare effettivamente di notevole importanza sotto il profilo della (auspicata) semplificazione, da un lato con norme (alcune delle quali in vigore dal 01.01.2023) che intervengono sul processo vero e proprio e sulla tecnica di redazione degli atti, la cui assimilazione dovrà essere presto nella padronanza della classe forense ai fini dell’ammissibilità delle censure, dall’altro con norme che invece intervengono “dietro le quinte” del processo (almeno secondo la prospettiva che ne ha l’avvocato), in quanto dirette ad affinare e semplificare i meccanismi interni alle singole sezioni assegnatarie delle controversie allo scopo di una più rapida definizione.
Quanto alle scansioni temporali concernenti l’entrata in vigore delle disposizioni riformate (articolo 35 del decreto legislativo), è importantissimo segnalare la vigenza dal 01.01.2023 delle seguenti novità: al fine di dare continuità alla normativa in materia di Covid-19, in scadenza il 31.12.2022, l’obbligo di deposito telematico degli atti (con la sola eccezione per i dipendenti che stanno in giudizio in rappresentanza delle loro amministrazioni per i quali l’entrata in vigore è differita al 30 giugno prossimo), nonché le norme sulle modalità di produzione dei documenti (articolo 372 del codice di rito) e quelle sull’unificazione dei riti camerali e sulle modalità di definizione delle cause di legittimità nei giudizi in cui il ricorso sia stato già notificato alla data del 01.01.2023 e per i quali alla stessa data non era ancora stata fissata udienza o adunanza in camera di consiglio.
Avranno invece efficacia dal 30 giugno prossimo tutte le altre norme riguardanti il processo di legittimità. Da una prima lettura della riforma, e ferma restando l’inevitabile necessità di verificare quale sarà la ricaduta pratica dell’intervento, indispensabile per la formulazione di un giudizio definitivo, si possono certamente guardare con favore ed apprezzamento le norme che nell’intervenire nell’auspicio di accelerazione del processo di legittimità, espungono dal rito inutili e sovrab-bondanti retaggi di un processo che era nato analogico e che ora si sta avviando verso una completa digitaliz- zazione.
Ad esempio la soppressione dell’onere per l’avvocato di depositare, al momento dell’iscrizione a ruolo del ricorso, il visto rilasciato dalla cancelleria del giudice a quo di avvenuto deposito dell’istanza di trasmissione del fascicolo alla cancelleria centrale della Suprema Corte (ultimo comma dell’articolo 369 del codice) costituisce davvero la rimozione del retaggio di un antico processo analogico, specialmente in ragione della totale inattuazione di tale disposizione normativa allorché, anche per ragioni di spazio, erano decenni che a tale impulso non si dava seguito, ancor più per effetto della sempre più stringente necessità (formalizzata nei protocolli sottoscritti tra Corte, Procura Generale e Classe Forense) di fondare le censure di legittimità unicamente su specifici atti e documenti da inserire in un sub-fascicolo dedicato alla trattazione delle questioni di legittimità (il famoso fascicoletto).
Il pieno avvio della totale prossima digitalizzazione del processo di legittimità ha consentito altresì al legislatore delegato di determinarsi nel sopprimere l’ormai inutile onere a carico del controricorrente di notificare previamente il controricorso prima di depositarlo in cancelleria, sia che esso contenga un ricorso incidentale, sia che non lo contenga. L’atto difensivo della parte intimata avverrà pertanto con modalità esclusivamente telematiche, semplicemente come avviene per il deposito di una comparsa di costituzione in primo grado o in grado di appello.
È evidente infatti come nel tradizionale processo analogico la previa notificazione dell’atto difensivo della parte intimata fosse diretta ad evitare al ricorrente di doversi recare in cancelleria al fine di verificare l’eventuale deposito di tale atto, mentre adesso la perdurante visibilità telematica del fascicolo elettronico di legittimità consente alle parti di avere costantemente sotto controllo la situazione in tempo reale.
Anche il deposito degli unici documenti depositabili nel processo di legittimità (articolo 372), ossia quelli che riguardano la nullità della sentenza o l’ammissibili- tà del ricorso o del controricorso, non dovrà più essere preceduto dalla notifica alla controparte dei documenti muniti di elenco. Apprezzabile intervento, sia sotto il profilo formale, sia sotto il profilo sostanziale è quello che il legislatore ha adottato in materia di cosiddetta “doppia conforme”.
Infatti, pur permanendo il divieto di proposizione di ricorso per cassazione per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che abbia formato oggetto di discussione tra le parti per le cause che siano state decise in modo conforme in primo e secondo grado, ne è mutata innanzitutto sotto il profilo formale la collocazione sistematica. Era infatti piuttosto insensato che prima ne fosse prevista la trattazione in seno ai commi quarto e quinto dell’articolo 348-ter, dedicato essenzialmente alla pronuncia sull’inammissibilità dell’appello di cui all’articolo 348-bis, così come introdotto dal D.L. 83 del 22 giugno 2012.
Non è mistero che tale illogica collocazione abbia cagionato diverse vittime tra i colleghi sotto la mannaia dell’inammissibilità della censura. Ora tale divieto è stato logicamente inserito nel corpo dell’articolo 360 del codice e collocato tra i preesistenti penultimo ed ultimo comma.
Sotto il profilo sostanziale invece, per quanto un limite siffatto sia ancora non completamente comprensibile (ma come scarsamente comprensibile è anche la totale soppressione del vizio motivazionale per insufficiente o contraddittoria motivazione del pregresso numero 5 dell’articolo 360 del codice di rito) è invece da apprezzare il tentativo di circoscrivere al massimo le ipotesi di inammissibilità per “doppia conforme”, giacché, se prima era improponibile la censura di omesso esame allorché l’inammissibilità fosse fondata «sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata», nel nuovo comma dell’articolo 360 del codice è stato riproposto il divieto di doppia conforme «quando la pronuncia di appello conferma la decisione impugnata per le stesse ragioni, inerenti i medesimi fatti, poste a base della decisione impugnata», con la precisazione che, sia prima che ora, tale divieto non opera per le cause in cui è obbligatorio l’intervento del pubblico ministero.
Sotto il profilo sostanziale si tratta di un ritocco non di poco conto in quanto lega a doppio filo le ipotesi in cui tale divieto è operante, poiché, non solo è necessario che a sostegno delle pronunce conformi di primo e secondo grado i due giudici di merito abbiano adottato le stesse ragioni, ma anche che esse siano riferite ai medesimi fatti.
Con la conseguenza che, oltre ad essere ovviamente esclusa la preclusione nel caso in cui le ragioni utilizzate dai giudici dei due gradi di merito siano diverse ed abbiano riguardato fatti diversi, tale limite è altresì escluso quando ragioni diverse abbiano riguardato gli stessi fatti ed anche infine allorché ragioni analoghe siano state adottate dai giudici di merito a regolazione di fatti diversi.
Se da un lato tale precisazione dovrebbe contribuire in parte a riallargare le maglie di questa tipologia di censura, il rovescio della medaglia consiste paradossalmente nel rischio concreto che allorché il giudice dell’appello si sia pigramente appiattito su una mera condivisione delle ragioni enunciate dal primo giudice, senza un proprio motivato approccio critico, sia preclusa alla parte la censura per omesso esame di un fatto decisivo per la controversia che abbia formato oggetto di discussione tra le parti.
Al di là poi delle norme – meritevoli solo di un rapidissimo cenno – introdotte al fine di garantire una tecnica redazionale finalizzata alla semplificazione, alla speditezza ed alla sinteticità degli atti (anticipate negli ultimi anni dai richiamati protocolli istituzionali di intesa sulle modalità di stesura dei ricorsi) e delle modifiche dei termini processuali conseguenti alla necessità di notifica alla controparte del controricorso (quaranta giorni dalla notifica del ricorso e non più venti giorni dalla notifica del controricorso), meritano considerazione due rilevantissime novità.
La prima novità è data dalla modifica del “filtro”, che non sarà più affidato alla sezione-filtro destinata al pensionamento, ma che sarà invece rimesso al consigliere relatore, al quale la legge trasferisce il compito di verificare le condizioni per la celere definizione dei ricorsi al di fuori del caso in cui la causa, per effetto della questione di diritto di particolare rilevanza che la caratterizza, sia meritevole di trattazione in pubblica udienza (tratta- zione che diviene ancora più del tutto residuale anche se con tali modalità la Corte deciderà anche la nuova ipotesi di revocazione introdotta dall’articolo 391-quatered il rinvio pregiudiziale di cui si dirà a breve).
Ipotesi curiosa, ma non di poca importanza, della modifica del filtro è costituita innanzitutto, a fronte dell’introduzione della questione di improcedibilità come espresso caso di trattazione, dalla eliminazione della manifesta fondatezza tra i casi di decisione immediata del ricorso. Il ricorso che appaia manifestamente fondato non godrà più quindi della corsia preferenziale che aveva comportato una notevole accelerazione dello smaltimento delle censure manifestamente fondate, che quantomeno dovranno attendere la conclusione del procedimento in camera di consiglio presso la se- zione assegnataria.
Assume invece particolare rilievo nell’opera di unificazione dei riti camerali la modalità di svolgimento della funzione filtro, attraverso la formulazione della proposta, del tutto analoga a quella già contemplata nell’ambito della sezione filtro, ma ora affidata al consigliere relatore della singola sezione. Proposta che ora viene formulata per i casi di ravvisata inammissibilità, improcedibilità e manifesta infondatezza. La proposta verrà comunicata alle parti e qualora la parte ricorrente non svolgerà alcuna attività di impulso nel termine di quaranta giorni dalla comunicazione, “beneficerà” dell’estinzione del processo per rinuncia, con il vantaggio di sottrarsi al rischio di condanna al pagamento del raddoppio del contributo unificato.
Se invece nel medesimo termine di quaranta giorni la parte farà istanza per la trattazione del ricorso (per ciò il difensore dovrà essere munito di procura speciale ad hoc), nel caso in cui il collegio condividerà la proposta, alla soccombenza seguirà la condanna al pagamento non solo delle spese processuali in favore della parte intimata costituita (alle quali sarà obbligata anche in caso di estinzione per rinuncia), ma anche del doppio del contributo unificato e si applicheranno i commi terzo e quarto di cui all’articolo 96 (responsabilità aggravata).
In buona sostanza il filtro costituirà un vero e proprio avvertimento (minaccia?) circa la prognosi data al ricorso ed un esplicito tentativo di dissuasione alla reiterazione delle censure apparse di improbabile accoglimento, vuoi per ragioni di rito (improcedibilità o inammissibilità), vuoi per ragioni di merito (manifesta infondatezza). In un certo senso non costituisce una sorpresa in quanto è in linea con gli strumenti di dissuasione ideati dal legislatore negli ultimi anni aventi pesanti ricadute sulla domanda di Giustizia del cittadino (il raddoppio del contributo unificato ne è una manifesta espressione), sintomatici dell’incapacità del sistema di garantire strumenti di accelerazione dei pro- cessi interni all’ordinamento giudiziario.
La seconda rilevante novità è l’introduzione dello stru- mento del rinvio pregiudiziale, già conosciuto da alcuni sistemi giudiziari europei (nell’ordinamento francese vi è la saisine pour avis de la Cour de Cassation), inserito nel nostro ordinamento processuale dal nuovo articolo 363-bis del codice di rito.
Si tratta semplicemente della possibilità che il giudice di merito rimetta in via pregiudiziale una questione necessaria alla definizione anche parziale del giudizio all’esame del giudice di legittimità, purché ricorrano cinque specifiche circostanze, che dimostrano peraltro – ad avviso di chi scrive – come l’istituto potrà avere limitata applicazione: la questione deve essere esclusivamente di diritto, non deve essere stata ancora affrontata dalla Corte (e quindi nuova), deve essere di particolare importanza, deve comportare «gravi difficoltà interpretative» (su questo punto il giudice del merito ha l’onere di indicare le diverse opzioni interpretative) ed infine deve essere suscettibile, in futuro logicamente, di «porsi in numerosi giudizi».
È evidente come al di là dell’ampia discrezionalità in merito alla verifica degli ultimi tre requisiti appena citati, il cui controllo è rimesso alla valutazione di ammissibilità-inammissibilità (comma terzo), la circostanza che la questione non sia mai stata affrontata dal giudice di legittimità rende molto marginale l’applicazione dell’istituto.
Qualche perplessità sorge infine sulla funzionalità di semplificazione dello strumento: se il problema dell’intasamento della Suprema Corte è soprattutto quantitativo, non vi è così il rischio di cambiare solamente la cronologia dell’invio delle questioni al giudice di legittimità, prima che esse siano decise nel merito piuttosto che dopo?
E si sa che cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia. In conclusione, soltanto l’applicazione pratica delle nuove norme consentirà di verificare se veramente ci troveremo di fronte ad una svolta di accelerazione del processo di legittimità oppure se si tratterà ancora di un limitato passeggero palliativo in attesa della prossi- ma riforma.
Considerato peraltro che nell’ultima relazione sull’amministrazione della Giustizia (pubblicata a marzo scorso) è risultato che il 42,6% del contenzioso civile di legittimità è costituito dalla sola materia tributaria, c’è soprattutto da auspicare che la parallela riforma delle Corti di Giustizia tributaria, avviata con la legge 130/2022, che ha tra i suoi precipui scopi quello di “professionalizzazione del giudice tributario”, non costituisca un intervento solo di facciata, ma incida effettivamente sul livello qualitativo delle pronunce affinché anche la Corte di Cassazione ne riceva un beneficio indiretto.
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