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La giustizia riparativa quale nuovo orizzonte della rieducazione penale

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Emanuele Nagni

Di recente, il D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, emesso in attuazione della L. 27 settembre 2021, n. 134, recante la delega al Governo «per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari», ha introdotto la nuova disciplina in materia di giustizia ripartiva, sulla scorta delle istanze di respiro sovranazionale.

Data la sospensione di due mesi dell’entrata in vigore del nuovo corpus di disposizioni (D.L. 31 ottobre 2022, n. 162) e il rinvio di ulteriori sei mesi per l’applicazione delle previsioni operative (L. 30 dicembre 2022, n. 199), la Gazzetta Ufficiale del 5 luglio 2023, n. 155 ha pubblicato i decreti ministeriali in materia di predisposizione dell’elenco dei mediatori esperti in giustizia riparativa e di attuazione della relativa formazione professionale.

Sempre nel mese di luglio 2023, il Ministero della Giustizia è intervenuto nella disciplina del trattamento dei dati personali da parte dei cc.dd. ‘Centri di Giustizia Riparativa’, per poi istituire, di concerto con il Ministero dell’Università e della Ricerca, un’apposita conferenza nazionale dotata di funzioni di consulenza tecnico-scientifica.

Questo nuovo modello di giustizia, in buona sostanza, mira alla realizzazione dell’incontro fra la vittima e l’autore del reato, promuovendo il dialogo quale alternativa ai canonici schemi della giustizia punitiva.

Il consenso si sostituisce all’imposizione, nella ricerca di una visione comune che possa oltrepassare il male inflitto all’offeso e alla generalità dei consociati attraverso un modello dinamico e antitetico alla matrice retributiva della sanzione penale, che punisce il colpevole per il danno cagionato dal suo comportamento criminoso.

Secondo il nuovo modello, il trauma arrecato dalla fattispecie di reato non viene più ‘vendicato’ dall’azione penale, ma sanato attraverso una complessa opera di riavvicinamento alla persona offesa e alla collettività, che si traduce in una vera e propria riparazione del conflitto.

Nella giustizia riparativa, insomma, l’esercizio del potere punitivo da parte dello Stato lascia spazio al coinvolgimento diretto dell’autore del reato (e del suo difensore) con la vittima e l’intera comunità.

Il potere dello Stato, al di fuori della propria vis sanzionatoria, si esplica qui nella capacità di mediare il contrasto in modo propositivo, senza un’effettiva capacità di giudizio sulla vicenda, ma ponendosi in posizione di equiprossimità rispetto alle parti, uniche figure protagoniste della soluzione del conflitto.

Tuttavia, non v’è chi non ha ravvisato un comun denominatore fra la giustizia riparativa e la giustizia punitiva: la funzione rieducativa cui deve necessariamente tendere la sanzione penale.

Infatti, anche il modello riparativo si inserisce in una complessa opera di perso- nalizzazione della risposta al reato, poiché la riparazione dell’illecito penale deve necessariamente partire dal singolo soggetto, in un’ottica di risanamento del male arrecato attraverso la resipiscenza individuale, risultato di un progressivo processo di responsabilizzazione dell’autore.

Vi è dunque una profonda differenza fra la giustizia riparativa e gli strumenti riparativi già esistenti nella cornice ordinamentale.

Infatti, le condotte riparatorie si traducono nel risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, oltreché nella rimozione o riduzione degli effetti lesivi della condotta criminosa e, a differenza della disciplina di recente introduzione, non determinano un vero e proprio riavvicinamento fra la vittima, l’autore del reato e la comunità nell’ottica della risoluzione dell’intero conflitto relazionale.

Ebbene, la giustizia riparativa presuppone sempre l’e- secuzione di un vero e proprio programma di riparazione che, solo eventualmente, può comprendere anche prestazioni materiali di ordine risarcitorio, restitutorio ovvero che eliminano o attenuano le conseguenze del danno di reato.

In altri termini, l’opera del legislatore della riforma ha voluto ricomprendere solo alcuni dei profili di riparazione già esistenti nelle prassi diffuse con il previgente quadro giuridico, trasponendoli in una disciplina organica e tendenzialmente completa che si ponga in ottica di complementarietà al modello di giustizia punitiva.

La giustizia riparativa percorre un iter che non può ritenersi ‘alternativo’ al processo penale, poiché l’accesso al programma riparativo può avvenire non solo prima della presentazione della denuncia-querela da parte della persona offesa (in ottica ex ante allo svolgimento del procedimento penale), ma anche nel corso dell’esecuzione della pena (in via chiaramente ex post).

La c.d. ‘integrazione’ riparativa inaugurata dal D. Lgs. n. 150/2022 può quindi inserirsi nel rito penale in ogni stato e grado e non vi sono fattispecie di reato che po trebbero precludere l’accesso al nuovo modello di riparazione.

In altre parole, la vittima di qualunque reato può avere la possibilità di intraprendere il percorso riparativo con l’autore della condotta lesiva perpetrata nei propri confronti, per avere l’opportunità di raccontare il male ingiustamente patito e imporre l’ascolto della propria persona.

Il cardine normativo è racchiuso nella nuova disposizione di cui all’art. 129-bis c.p.p., rubricato “Accesso ai programmi di giustizia riparativa”, che non solo prevede l’avvio del percorso in qualsiasi stato e grado del processo, ma consente all’Autorità Giudiziaria di disporre anche d’ufficio – sempreché sia utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti – che l’indagato/imputato e la vittima del reato possano dare corso al proprio programma presso il Centro per la giustizia riparativa.

La praticabilità del programma riparativo sarà vaglia- ta successivamente dal singolo mediatore e solo eventualmente il riconoscimento dei fatti essenziali da parte dell’autore del reato potrà essere un elemento oggetto di valutazione del percorso, poiché è necessario che il contenuto del programma e le tecniche di riparazione si traducano nella mediazione tra la persona indicata come autore dell’offesa e la vittima del reato, nel dialogo riparativo e in ogni diversa alternativa di ‘ascolto’ e ‘incontro’ favorita e guidata dal titolare della funzione di mediare.

All’esito del programma riparativo, pertanto, il media- tore deve predisporre e trasmettere all’Autorità Giudiziaria un’apposita relazione, identificabile come il mezzo tecnico tramite il quale il modello di giustizia riparativa possa rientrare nell’accertamento di rito penale, con la garanzia che siano esclusi eventuali effetti sfavorevoli per l’indagato/imputato che non abbia compiuto con successo o abbia interrotto lo svolgimento del programma e che siano inutilizzabili sotto il profilo probatorio tutte le dichiarazioni e le informazioni rese durante il percorso dialogico delle parti. Inoltre, la nuova normativa impone che i contenuti della relazione del mediatore restino circoscritti alle attività svolte e alla conclusione riparativa raggiunta, ad eccezione di ulteriori profili informativi che possono essere inseriti al suo interno solo con il consenso di chi abbia preso parte al programma.

L’accordo derivante dal percorso di giustizia riparativa (c.d. ‘esito riparativo’) sarà finalizzato alla riparazione dell’offesa arrecata, in un’ottica di reciproco riconosci- mento fra l’autore del reato e la vittima che possa dare luogo ad una ricostruzione del rapporto interrotto a causa del fatto.

Tale esito, in sintesi, potrà assumere una natura simbolica (se rappresentato da dichiarazioni o scuse formali, impegni particolari sotto il profilo del comportamento ovvero accordi in relazione alla frequentazione di persone o luoghi), oppure materia- le (ove favorisca il risarcimento del danno o le diverse condotte riparatorie).

Certo è che la partecipazione al programma di giustizia riparativa concluso con un esito riparativo produrrà effetti rilevanti ai fini della punibilità del reato, in quanto potrà effettivamente incidere ex art. 133 c.p. sulla determinazione della dosimetria sanzionatoria in concreto irrogata al condannato, o favorire l’applicazione della circostanza attenuante comune di cui all’art. 62, n. 6 c.p. ovvero altresì essere riconosciuta quale condizione per la concessione della sospensione condizionale ex art. 163, co. 4° c.p.

Inoltre, se l’accordo raggiunto con la persona offesa ha condotto ad una risoluzione ampiamente riparatoria del conflitto insorto, l’esito riparativo potrebbe altresì valutarsi come remissione tacita di querela per i reati procedibili a querela soggetta a remissione, determinando l’estinzione dell’ipotesi criminosa contestata; oppure, nel caso dei reati che consentono il riconoscimento del- la particolare tenuità del fatto, contribuire con gli altri elementi richiesti dall’art. 131-bis c.p. all’applicazione della causa di esclusione della punibilità.

I vantaggi della giustizia riparativa per l’autore del reato, infine, possono prodursi anche nella fase dell’esecuzione della pena, atteso che, come anticipato, la nuova disciplina si pone in ottica funzionale alla finalità rieducativa della sanzione penale irrogata.

Il D. Lgs. n. 150/2022, invero, non solo mira a favorire l’accesso al programma di riparazione da parte di soggetti condannati e internati, ma il corretto esito del percorso assume rilievo per la concessione di benefici penitenziari e misure alternative alla detenzione in carcere, divenendo persino una condizione di accesso a tali benefici per il detenuto o internato che sia stato condannato per reati ostativi dei benefici penitenziari. Certo è che, in conclusione, la nuova disciplina mette in campo degli strumenti chiaramente innovativi per gli addetti ai lavori che, sia dal lato della magistratura sia da quello dell’avvocatura, dovranno favorire nuove prospettive interpretative e nuovi spunti di ragionamento difensivo.

In altri termini, ancora una volta, la prima fondamentale necessità di aggiornamento dovrà investire la prospettiva formativa del giurista, nella sede universitaria e in quella professionale, per consentire che nello studio del diritto possa via via sempre più trovare spazio l’imprescindibile analisi della componente umana.


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