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1. - La giurisprudenza.
Non occorre certamente enfatizzare l’importanza della giurisprudenza. I paesi di common law insegnano che essa costituisce il tessuto normativo dell’ordinamento e lo stare decisis rappresenta il mezzo consolidato per risolvere i contrasti tra le parti. Anche nei paesi di civil law, e particolarmente nel nostro, si sta verificando una costante progressiva accelerazione verso lo stesso fenomeno. Si parla infatti di funzione creatrice della giurisprudenza, di nomofilachia, per indicare la sempre maggiore prevalenza dei principi di diritto enunciati rispetto alla legge. Anche il codice di procedura civile registra periodicamente (o ratifica, per meglio dire) le prospettive emergenti. Nasce in tal modo, ad esempio, l’art. 360-bis c.p.c. che dichiara inammissibile il ricorso in Cassazione quando il provvedimento impugnato abbia deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte (e l’esame dei motivi non offra elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa).
Il precedente, dunque, è il nuovo canone interpretativo e normativo da rispettare, e ciò ha determinato la modifica anche dell’art. 118 disp. att. c.p.c. che ammette ora la motivazione per relatiomen con riferimento al precedente, non solo di legittimità ma anche di merito, come attesta la stessa Cassazione in una decisione (n. 17640/2016), che si pone essa pure come precedente! Sul piano pratico, nel presente e nell’immediato futuro, è prevedibile che la valorizzazione della giurisprudenza venga ad avere una ancora maggiore diffusione attraverso gli strumenti informatici. Ciò non solo per consentirne la conoscenza ma anche per darvi attuazione. I computer, ad esempio, hanno già sottoposto a controllo le decisioni delle Corti europee e un giudice virtuale dell’University College di Londra ha riconosciuto nell’80% dei casi l’esattezza delle pronunce dei giudici di Strasburgo. In altro continente sono state istituite Corti telematiche per risolvere le controversie civili sottoposte dalle parti: la Corte si pronuncia all’istante, al termine di una breve udienza, con il supporto di strumenti informatici evoluti. Insomma, il futuro è alle porte e la giurisprudenza appare essere il fattore più importante per la formazione e la creazione del diritto.
2. - La giurisprudenza disciplinare.
Nell’ambito professionale l’ordinamento degli avvocati è stato regolato per molti decenni dalla legge del 1933, che ha incrollabilmente operato anche nell’ambito disciplinare pur essendo oltremodo lacunosa, inadeguata e inappropriata. Come è noto, infatti, la legge professionale del 1933 si limitava a stabilire che “gli avvocati devono adempiere al loro ministero con dignità e con decoro” (art. 12) e che “gli avvocati che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell’esercizio della loro professione o comunque di fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale sono sottoposti a procedimento disciplinare” (art. 38).
Lo stesso articolo attribuiva la competenza a procedere in prima istanza al Consiglio dell’ordine e, in sede di impugnativa, al Consiglio nazionale forense, con il controllo finale della Cassazione a sezioni unite. In tal modo era affermata la potestà sanzionatoria ma (apparentemente) non la potestà regolamentare, onde era difficile riconoscere la legittimazione degli organi istituzionali a dare contenuti concreti alla dignità e al decoro indicati. Date le vistose lacune della legge, è comprensibile che le decisioni disciplinari siano state emesse inizialmente dagli organi competenti con il riferimento per lo più meta-giuridico alla tradizione e alla nobiltà della professione forense, all’altezza della funzione esercitata, alla gloriosa milizia dell’avvocatura; ed è certo ugualmente che è sempre stata palese la difficoltà di disporre delle decisioni dei tanti Consigli dell’ordine esistenti, sparpagliate in archivi e pubblicazioni difficilmente reperibili, quasi a riconoscere l’esattezza del giudizio dato da Francesco Carrara a proposito dell’osteggiata legge del 1874 (Il passato, il presente e l’avvenire degli avvocati in Italia), quando le “Camere degli avvocati” furono convertite in “camerini”, piccoli consigli microscopici presso ogni tribunale. di Remo Danovi. In breve tempo, comunque, la libertà e l’autonomia 39 della professione si sono manifestate sempre più nelle funzioni degli organi istituzionali forensi, e le relative pronunce hanno esercitato un importante ruolo suppletivo, divenendo nell’ambito disciplinare l’esclusivo punto di riferimento per valutare la condotta professionale degli iscritti.
La stessa Cassazione, in una fondamentale decisione del 1974 ha riconosciuto la potestà disciplinare degli Ordini, cioè il potere di procedere alla individuazione dei precetti deontologici (“anche se inespressi o espressi in forma generale”) e alla loro concreta applicazione nel caso sottoposto all’esame. Di qui l’ulteriore passo da compiere per trasformare l’insieme delle pronunce emesse in precetti formalmente precisi e conoscibili: è quanto ho fatto nel 1984 raccogliendo tutte le decisioni disciplinari intervenute e ricavando dalle stesse, per induzione, le regole di condotta più appropriate. Regole non cristallizzate in astratto nella loro enunciazione formale ma selezionate e aggiornate secondo le pronunce emanate e la loro evoluzione in ogni momento storico. Sono state anche in questo caso le fonti giurisprudenziali ad assicurare la stabilità, uniformità e autonomia del sistema che ha preso il nome di Codice deontologico.
3. - Le riviste forensi.
La consapevolezza dell’importanza delle decisioni disciplinari è attestata negli stessi anni ’30 dalla raccolta che veniva realizzandosi sotto il nome di Giurisprudenza professionale forense, una pubblicazione in cinque volumi che raccoglie tutte le decisioni della Corte di Cassazione in materia professionale e del Consiglio superiore forense (come allora si chiamava). Il primo volume esce nel 1930 sotto la direzione tra gli altri di Vittorio Scialoja (allora presidente del Consiglio superiore forense), ed è significativo che nella presentazione si evidenzi la necessità che la giurisprudenza regolatrice del Consiglio “sia portata a conoscenza degli organi professionali in modo completo e sintetico… per ottenere in tutto il territorio dello Stato uniformità di criteri nell’applicazione del diritto forense”, con la certezza che “la raccolta delle decisioni disciplinari fornirà preziosi materiali alla elaborazione dottrinale della deontologia forense”. Anche le pubblicazioni successive confermano l’interesse per la giurisprudenza. Nel 1959 viene pubblicato un volume che riprende lo stesso titolo utilizzato in precedenza (Giurisprudenza professionale forense) e riporta le decisioni del Consiglio nazionale dal 1946 al 1956, mentre proprio nel 1956 inizia le pubblicazioni la rivista bimestrale Rassegna del Consiglio nazionale forense (presidente del Consiglio è Piero Calamandrei).
Questa rivista viene pubblicata per alcuni anni, ha inizialmente cadenza bimestrale ed è inviata gratuitamente a tutti gli iscritti all’albo speciale e alla Cassa di previdenza. La prima delle sue parti è dedicata alla giurisprudenza del Consiglio e riporta le decisioni disciplinari con le motivazioni, dapprima solo in diritto e successivamente sempre più spesso anche in fatto. Nel 1968, infine, inizia le pubblicazioni la Rassegna forense, la rivista trimestrale del Consiglio nazionale forense. Nello stesso contesto nascono e si moltiplicano le iniziative tese a dare agli iscritti le informazioni più opportune, tra attualità e cronaca, per accelerare il cambiamento della professione, dare forza al diritto ed efficacia al processo, richiamando alla coscienza etica e al senso della legalità.
In questa direzione è la moltitudine delle riviste edite negli anni (e ancora oggi) dai Consigli dell’ordine, oltre che dalle Associazioni, con i nomi più vari: sono Notiziari, Bollettini, Attualità, Riviste, Rassegne e Cronache che si presentano e si rinnovano puntualmente, per dare informazioni e (talvolta) visibilità alle decisioni degli organi disciplinari locali. Una menzione speciale spetta alla Previdenza forense, la rivista ufficiale della Cassa, sempre punto di riferimento essenziale per le decisioni che riguardano la previdenza e l’assistenza e la conoscenza della normativa in materia, oltrechè per l’apporto culturale dato ai temi sulla giustizia. Nel 1992 è stata anche costituita l’A.STA.F. (Associazione Stampa Forense) che ha riunito la quasi totalità delle riviste per il loro coordinamento organizzativo e la divulgazione delle testate, con funzioni di aggiornamento, informazione e approfondimento dei vari temi.
4. - La Rassegna forense.
Un più diffuso ricordo merita la rivista del Consiglio nazionale forense, istituita come detto nel 1968. Lo scopo dichiarato della Rassegna “è quello di consentire la diffusione della giurisprudenza del Consiglio nazionale forense, facilitandone la conoscenza e agevolandone la consultazione” (così è detto nella presentazione del primo numero della rivista). A tal fine, sempre nell’editoriale si precisa che la giurisprudenza sarà riportata nella sequenza cronologica: “tutte le decisioni a partire dal 1966 saranno massimate; quelle che appariranno di maggiore rilievo per l’interesse delle questioni di diritto trattate ovvero per la peculiarietà del caso di specie verranno pubblicate integralmente”.
Di fatto, in termini strutturali operativi la Rassegna forense ha vissuto momenti di difficoltà poiché molto spesso la rivista è uscita in ritardo; la cadenza trimestrale (quattro numeri all’anno) è diventata quadrimestrale (tre numeri all’anno) a partire dal 1993; in alcuni anni è stato pubblicato un numero unico di poche pagine (nel 1988 e nel 1993); le massime disciplinari sono comparse a distanza di tempo dalle decisioni (mediamente il ritardo è stato di uno o due anni); le varie rubriche non sono state armonizzate e raccordate nella successione delle annate, e altro è accaduto come abbiamo segnalato in occasione della celebrazione dei trent’anni (in Rassegna forense, 1997, 1). Eppure, a parte gli aspetti formali, certamente giustificati dalla inesistenza di una struttura redazionale organizzata e costante nel tempo, nulla può far venir meno il fatto fondamentale che la Rassegna forense non è mai mancata per dare continuità e rinnovare il prestigio delle istituzioni forensi.
La Rassegna forense ha infatti dato puntuale espressione della potestà disciplinare esercitata dal Consiglio nazionale nel modo più attento possibile, contribuendo attraverso la pubblicazione delle massime alla valorizzazione della giurisprudenza disciplinare, pur in mancanza della tipicizzazione delle norme deontologiche. Si è così formata e si è arricchita quotidianamente la giurisprudenza disciplinare, e la giurisprudenza è diventata ancor più fonte di diritto, per dare base e conforto alle successive decisioni e fondare indirizzi consolidati nel campo processuale e nel campo sostanziale. Nel periodo in cui ho avuto occasione di occuparmi della Rassegna forense, particolarmente negli anni dal 1994 al 2003, ho cercato di valorizzare in ogni modo l’attività svolta dal Consiglio, con il controllo e la redazione di tutte le massime disciplinari (e l’aiuto tra gli altri della dott. Anna Giacoma Pizzicaroli). Sono state sempre pubblicate per esteso le decisioni più importanti e, per ogni anno, a partire dal 1995, si è avuto cura di redigere un repertorio analitico annuale, in modo da poter dare conoscenza, con estrema facilità, di tutti gli aspetti più significativi dei fatti deontologici e disciplinari nella loro connessione (in concreto, “per consentire il reperimento più agevole delle varie massime”).
Il repertorio è stato redatto e pubblicato in tempo reale, alla fine di ogni annata, nell’ultimo fascicolo (salvo che per il 1995 che contiene anche il 1994). Dal 2016 la Rassegna forense nel suo formato cartaceo ha cessato le pubblicazioni e il Consiglio nazionale cura ora che la propria attività sia conosciuta attraverso gli strumenti informatici mentre le massime delle decisioni del Consiglio e della Cassazione sono divulgate attraverso una Newsletter disponibile per tutti gli interessati. È certamente la nuova formula che i tempi suggeriscono. Rimane il problema se siano ancora attuali gli obiettivi che le storiche riviste si erano proposte di raggiungere e se i mezzi ora utilizzati siano i più idonei.
5. - La giustizia disciplinare, tempi e modi.
L’attività più mirata del Consiglio nazionale forense è certamente quella rivolta alla giustizia disciplinare, poiché con essa il Consiglio esercita in via esclusiva la funzione giurisdizionale, un potere dello Stato, con tutte le prerogative che ciò comporta. È una attività ampiamente apprezzabile e apprezzata, sempre svolta nel migliore dei modi possibili. È anche di conforto sapere che il controllo di tali decisioni è operato dalle sezioni unite della Cassazione, pur nei limiti formali imposti, con la conferma comunque che le pronunce rese, con il giudicato conseguente, sono precise, adeguate e rispettose della legge.
La giustizia disciplinare deve essere ovviamente attuata nei tempi ragionevoli e giusti, per evitare che la lentezza solitamente attribuita alle corti giudiziarie finisca per essere prerogativa anche dei giudici disciplinari forensi. Sotto questo profilo, sui tempi della giustizia ci siamo intrattenuti in altra occasione (L’autogoverno dell’avvocatura e i tempi della giustizia disciplinare, in Rassegna forense, 1989, 49), lamentando il fatto che, mentre in alcuni ordinamenti professionali i procedimenti disciplinari 41 devono concludersi in pochi mesi, nell’ambito forense nessun limite era allora posto, né per il giudizio amministrativo avanti il Consiglio dell’ordine, né per quello giurisdizionale avanti il Consiglio nazionale forense. E riferivamo allora di alcuni casi di superamento di ogni ragionevole termine e di traguardi anche ultradecennali. Soprattutto prendevamo in considerazione un fatto vistoso e criticabile, e cioè “il tempo intercorrente tra la deliberazione della decisione e la pubblicazione della stessa (poiché) talvolta occorrono anni per depositare una decisione”. La nuova legge professionale ha ora introdotto il termine di sei mesi per l’attività istruttoria, ma si tratta pur sempre di un termine non perentorio, e nessun altro limite ha imposto; d’altro lato, il tempo fissato per la prescrizione è aumentato (da 5 a 6 anni), anche se in concreto, per tutte le varie modifiche intervenute, non è facile stabilire se il nuovo regime sia più favorevole o meno per l’incolpato. Di fatto, è certo che il passaggio dalla vecchia alla nuova normativa ha importato notevoli problemi di organizzazione e gravi ritardi, che tuttora permangono, come chiunque ha modo di constatare. Gli arretrati sono elevati e i tempi indefiniti, occorrendo sempre molti anni per la conclusione dei procedimenti. Certo, non mancano le giustificazioni, considerato che il servizio dei consiglieri dei Consigli distrettuali di disciplina è volontaristico, come tale altamente apprezzabile; ma non si può dimenticare che l’accettazione della funzione pubblica impone un dovere di priorità, per rappresentare anche all’esterno che l’autogoverno dell’avvocatura è giustamente attribuito dalla legge e svolto in modo esemplare. Occorre dunque rinnovare l’impegno più ampio perché il tempo non sia una variabile indipendente, le decisioni vengano emesse celermente e, ancora una volta, l’attesa intercorrente tra la deliberazione della decisione e la pubblicazione sia ridotta in termini essenziali.
6. - Un massimario, dubbi e proposte.
Connesso a tutto questo è il problema della divulgazione e conoscenza delle decisioni disciplinari. È l’ultimo motivo di riflessione. Una pubblicazione forense dovrebbe essere rivolta soprattutto a porre l’attenzione sui problemi della giustizia, del processo e della professione: un tema estremamente ampio, il diritto forense, con tutte le relative implicazioni giuridiche, politiche e sociali. Quanto a queste ultime, non è qui in discussione la scelta che è stata fatta di creare un giornale, con ingente impegno di spesa, per esprimere una voce e un contenuto soprattutto politico; intendiamo semplicemente formulare il dubbio che non vi siano pubblicazioni idonee a rappresentare adeguatamente e a valorizzare la funzione giurisdizionale e amministrativa delle istituzioni forensi nei procedimenti di loro competenza; una pubblicazione di sintesi, con una redazione stabile, per divulgare i principi e ampliare la dimensione giuridica ed etica dei temi di cui stiamo parlando.
In positivo, penso a una pubblicazione (una rivista, un massimario) che parta dal materiale disponibile per organizzarlo, elaborarlo e offrirlo alla conoscenza di tutti gli interessati, compresi gli organi giudiziari; una rivista che riceva e scelga di pubblicare le decisioni più importanti dei Consigli distrettuali di disciplina e gli stessi provvedimenti dei Consigli dell’ordine in tema di tenuta degli albi, quando i problemi trattati siano di carattere generale (tutte decisioni sottratte alla conoscenza quando non siano pubblicate localmente o impugnate avanti il Consiglio nazionale); una rivista che presenti le decisioni della Cassazione a sezioni unite rivolte alla soluzione dei problemi forensi, organizzandole in modo preciso e sintetico (ad evitare, ad esempio, che le decisioni 34429, 34430, 34434, 34435 e altre del 24 dicembre 2019, tutte uguali, siano presentate ciascuna con massime identiche e con la difficoltà di percepire che si tratta di cancellazione di avvocato stabilito); una rivista infine che pubblichi tutte le decisioni del Consiglio nazionale forense, integralmente per quelle di maggior rilievo o con le massime per le altre, contenute nella loro essenzialità, nel loro interesse e nel numero (ad evitare, ad esempio che le massime consolidate o quelle riproduttive degli articoli di legge siano ripetute all’infinito, oppure che per una stessa decisione siano redatte in numero molto elevato, in alcuni casi oltre 10 e fino a 18).
Non importa poi che il mezzo sia cartaceo o digitale (è ovviamente preferibile quest’ultimo); importa che esso sia strutturato con divisioni in parti, successioni numeriche e indici anche annuali, “per consentire il reperimento dei principi in modo agevole” e, con essi, la conoscenza più diffusa della nostra deontologia e il suo fondamento partendo dalla nozione stessa, il diritto degli altri, che non è ancora come tale percepito. Sono i principi, infatti, per quanto abbiamo detto, che consentono di affermare il valore delle regole e la loro rilevanza in ambito processuale e sostanziale (per dare anche contenuti alle norme che direttamente o indirettamente le richiamano).
Insomma, la diffusione delle regole passa attraverso la possibilità di avere una sintesi strutturata facilmente reperibile in modo rapido e preciso, in termini di tempi e contenuti; e così potremo intervenire, ad esempio, sui repertori di quelle riviste giuridiche che pubblicano alcune delle decisioni del Consiglio nazionale forense senza citarne il numero, rendendo difficoltoso ogni controllo; e potremo maggiormente imporre all’ordinamento giudiziario il rispetto dei principi e delle regole deontologiche forensi, superando l’insufficienza attuale della loro applicazione e del loro richiamo. Potremo in definitiva scoprire il valore del testimone nel duplice significato possibile, come memoria di ciò che è stato e come mezzo per consentire più celermente il cammino. È augurabile che questo significato sia raccolto.
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