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Il concetto della responsabilità sociale dell’avvocato si basa sostanzialmente sulla constatazione che quella dell’avvocato non è una libera professione in cui il soggetto professionista offre le proprie attività di rappresentanza e difensiva al servizio del proprio cliente, ma implica anche il dato essenziale della funzione di rilievo pubblicistico che l’avvocato riveste. E tale funzione implica ed esalta il saldo collegamento tra lo svolgimento dell’attività professionale alla attuazione del diritto costituzionale di difesa, a sua volta funzionale alla salvaguardia ed alla realizzazione dei diritti fondamentali della persona.
Gli avvocati, nell’esercizio della professione, sono tenuti, infatti, al rispetto di un’etica professionale ben de-lineata dai canoni deontologici e dai doveri ed alle responsabilità verso gli altri per la tutela dei diritti umani e fondamentali. Non si deve ritenere, tuttavia, che una siffatta responsabilità sociale faccia parte del corredo dei doveri del solo avvocato. Il preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nell’affermare l’esigenza del rispetto dei diritti derivanti dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dal trattato sull’Unione europea e da quelli comunitari, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate dalla comunità e dal Consiglio d’Europa, nonché dai diritti riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle comunità europee e da quella della Corte europea dei diritti dell’uomo, avvisa come il godimento di questi diritti faccia sorgere responsabilità e doveri nei confronti degli altri come pure della comunità umana e delle generazioni future.
Ne discende che l’ordinamento internazionale pone una forma di responsabilità generalizzata, in quanto gravante su tutti i cittadini dell’Unione, a prescindere da qualsiasi qualificazione di tipo professionale. Il tratto discretivo tra la responsabilità sociale dell’avvocato e quella degli altri soggetti della comunità va individuato nella sua ineguagliabile prossimità ai meccanismi garanti della realizzazione dei diritti fondamentali. La caratteristica tipica della sua funzione è esattamente quella di realizzare il diritto, dal momento che, se si esclude il ministero del giudice, solo quello dell’avvocato offre l’occasione più prossima per la tutela del diritto.
Ciò significa che la sua responsabilità costituisce la conseguenza di questa idea di prossimità. In quest’ottica poi il contributo professionale dell’avvocato in termini di elaborazione del diritto vivente riveste un ruolo fondamentale laddove si sia in presenza di c.d. “diritti deboli” o di vuoti normativi o disciplinari. Dei diritti deboli si parla in presenza di condizioni di minorità, che non è possibile ascrivere a categorie circoscritte e definite, come nel caso del “disagio sociale”, o, ancora, nei casi in cui non è venuta ancora a completa maturazione una coscienza protettiva: si pensi ad esempio al caso del malato, soprattutto se terminale ed incosciente, o dei conviventi “more uxorio”, o ancora al contraente che trovandosi in condizione di asimmetria di potere contrattuale che non sia riconducibile ai casi in cui l’ordinamento giuridico ritiene meritevole un intervento protettivo nei suoi confronti, finisce per stipulare un contratto iniquo.
Si tratta di “vecchie e nuove debolezze” la cui tutela è incerta, rispetto alle quali non si dovrebbe parlare in termini di diritti deboli, dal momento che nella maggior parte dei casi non si è in presenza di un diritto vero e proprio, bensì di una aspettativa, di un interesse di fatto, per i quali si pone il problema del se e come tutelare. Un riferimento alla responsabilità sociale dell’avvocato si può poi rinvenire all’articolo 1 del codice di deontologia degli avvocati europei; tale articolo afferma che: "L’avvocato ha il dovere non solo di difendere la causa del proprio cliente ma anche di essere il suo consigliere. Il rispetto della funzione professionale dell’avvocato è una condizione essenziale dello Stato di diritto e di una società democratica”.
Ancor più pregnante è il disposto dell’art. 1 del Codice Deontologico italiano, che recita:
1. L’avvocato tutela, in ogni sede, il diritto alla libertà, l’inviolabilità e l’effettività della difesa, assicurando, nel processo, la regolarità del giudizio e del contraddittorio.
2. L’avvocato, nell’esercizio del suo ministero, vigila sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione e dell’Ordinamento dell’Unione Europea e sul rispetto dei medesimi principi, nonché di quelli della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e del-le libertà fondamentali, a tutela e nell’interesse della parte assistita.
3. Le norme deontologiche sono essenziali per la realizzazione e la tutela dell’affidamento della collettività e della clientela, della correttezza dei comportamenti, della qualità ed efficacia della prestazione professionale. Appare, così, evidente che la funzione dell’avvocato impone vari doveri e obblighi (a volte, apparentemente, tra loro contraddittori), verso:
– il cliente;
– i giudici e le altre autorità innanzi alle quali l’avvocato assiste o rappresenta il cliente; – l’avvocatura in generale e ogni collega in particolare;
– il pubblico, per il quale una professione liberale e indipendente, legata al rispetto delle regole che essa stessa si è data, rappresenta uno strumento fonda-mentale per la salvaguardia dei diritti dell’uomo nei con-fronti dello Stato e degli altri poteri nella società.
Altro specifico riferimento alla “responsabilità sociale” si trova poi – e con chiarezza – all’interno del codi-ce deontologico forense all’art. 23, rispettivamente ai commi 4, 5 e 6: questa norma sottintende che il comportamento dell’avvocato deve sempre essere corretto e leale e non può consentire che la propria professionali-tà sia al servizio di attività illecite.
In tema di responsabilità sociale infine non si può non menzionare la normativa europea antiriciclaggio: il d.lgs. novembre 2007, n. 231, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 14 dicembre 2007 e in vigore dal 29 dicembre 2007, è la legge di recepimento interna della Direttiva 2005/60/CEE del 26 ottobre 2005 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei pro-venti di attività illecite, la quale ha imposto (e ampliato, con i vari adeguamenti che si sono nel tempo via via susseguiti) obblighi importanti in capo agli avvocati.
Si concretizza in tal modo la filosofia ispiratrice delle disposizioni comunitarie: a tutti i soggetti che a vario titolo intervengono nel movimento del denaro viene chiesto di essere agenti al servizio della legalità, e ad essi è imposta una vera e propria “collaborazione attiva”, con il fine di smantellare le organizzazioni criminose. Tra i destinatari della normativa compaiono quindi avvocati e notai, con importanti criticità circa la difficile gestione del segreto professionale per quanto riguarda a professione forense, chiamata in alcune specifiche ipotesi a segnalare all’autorità le operazioni cd. sospette di riciclaggio.
Il segreto è sicuramente un limite ideale non valicabile: è un diritto e una difesa per la parte assistita; è un dovere di prestazione per l’avvocato che fonda su di esso la ragione stessa del proprio ministero.
A dire il vero, non potrebbe esistere un’attività professionale libera ed indipendente se non vi fosse questo rapporto, tacito ma cosciente, tra avvocato ed assistito, che si realizza nella tutela del segreto.
Qual è, allora, il confine della responsabilità sociale dell’avvocato? È consentito prevedere ipotesi che obbligano gli avvocati alla delazione, e a comportamenti chiaramente contrari al rapporto fiduciario che li lega al cliente stesso?
Il professionista, a prescindere da formule e giuramenti, è, invero, anche sotto tale profilo, portatore di una responsabilità sociale rivolta non solo al cliente, ma all’armonia tra l’interesse dello stesso e la volontà dell’ordinamento: è anche – in certa misura – responsabile “del” cliente.
Un bilanciamento difficile, che esprime la complessità del ministero dell’avvocato, stretto nella sua doppia fedeltà: al cliente ed al diritto.
In riferimento alle implicazioni alle quali si è fatto cenno sul ruolo dell’avvocato, il Consiglio Nazionale Forense si è interrogato da tempo sull’opportunità che la Costituzione contenga un riferimento esplicito all’Avvocatura. Rispetto alle precedenti proposte di modifica dell’articolo 111 Cost., quella di iniziativa del CNF limita la revisione alle sole previsioni concernenti l’avvocatura, tralasciando i profili relativi al funzionamento della giustizia, con l’obiettivo di conferire rilievo ed importanza al ruolo pubblicisticamente rilevante dell’avvocatura, sempre nel rispetto della sua natura di professione libera.
È stato, al riguardo proposto di inserire dopo i primi due commi dell’art. 111 Cost. i seguenti:
«Nel processo le parti sono assistite da uno o più avvocati. In casi straordinari, tassativamente previsti dalla legge, è possibile prescindere dal patrocinio dell’avvocato, a condizione che non sia pregiudicata l’effettività della tutela giurisdizionale. L’avvocato esercita la pro-pria attività professionale in posizione di libertà e di indipendenza, nel rispetto delle norme di deontologia forense. La funzione giurisdizionale sugli illeciti disciplinari dell’avvocato è esercitata da un organo esponenziale della categoria forense, eletto nelle forme e nei modi previsti dalla legge, che determina anche le sue altre attribuzioni. Contro le sue decisioni è ammesso il ricorso per cassazione».
Complessivamente considerata, dunque, la proposta del Consiglio Nazionale Forense mira a rafforzare il ruolo dell’Avvocato in Costituzione per difendere, in primis, il principio di democrazia e secondariamente, ma non per importanza, i principi di libertà, autonomia ed indipendenza che devono sovraintendere all’esercizio della professione forense.
Nel quadro così delineato, appare di assoluta rilevanza la problematica dell’accesso alla professione e, in particolare, la individuazione del percorso formativo che con-duca il giovane laureato ad assumere e svolgere compiti così importanti e delicati, con la connessa implicazione di un importante investimento nella formazione.
La formazione del tirocinante un tempo era rimessa alla guida del dominus, cui il praticante si rapportava seguendone l’esempio; si accresce oggi di un percorso integrativo che si pone l’ambizioso obiettivo di consentirgli di padroneggiare tutti gli strumenti necessari allo svolgimento della professione in completa autonomia. Un percorso di tal genere deve essere proposto in ter-mini professionali, poiché una formazione per l’accesso obbligatoria, che sia in grado di rispondere agli obiettivi indicati dalla legge professionale e dal regolamento, non può che essere fornita con specifica competenza formativa, affidabilità, puntualità, organizzazione: in poche parole, professionalmente.
La professionalità della formazione costituisce garanzia per il praticante e deve contraddistinguere chiunque offra un percorso formativo, sia un soggetto privato, un’associazione o una società commerciale, sia, prima di tutto, l’Avvocatura istituzionale che deve investire nel futuro della professione forense.
Non a caso, è proprio all’Avvocatura istituzionale che il d.m. 16 marzo 2018 n. 17 ha affidato la determina-zione della struttura e della metodologia dei corsi di formazione, a mezzo di linee guida approvate dal Consiglio Nazionale Forense. Il Regolamento indica gli specifici obiettivi cui i corsi di formazione devono mirare: l’espletamento delle prove d’esame, lo svolgimento del-la professione forense, la consapevolezza dei princìpi deontologici cui informare l’esercizio della professione di avvocato.
Si tratta di sapere apparentemente eterogenei e le linee guida hanno l’obiettivo di delineare lo strumento per consentirne l’apprendimento, da chiunque provenga l’offerta formativa. Il percorso di redazione delle linee guida è nato ai tavoli dei “Laboratori” presso la Scuola Superiore dell’Avvocatura ove, lungo tutto il 2016, si sono succeduti incontri che hanno portato al corposo elaborato contenente riflessioni e suggerimenti pratici per i corsi di formazione per l’accesso.
È stato il lavoro corale di oltre un centinaio di Avvocati provenienti dalle Scuole forensi presso i Consigli dell’Ordine circondariali, che hanno messo a servizio di tutti le loro competenze ed esperienze.
Con lo stesso spirito di servizio, hanno dato un determinante contributo alla redazione delle linee guida, sottoposte alla consultazione di Ordini, Unioni Regionali ed Associazioni forensi, e infine portate alla definitiva disamina del Consiglio Nazionale forense, che ne ha approvato il testo nella seduta del 20 luglio 2018. L’elaborato finale, scaturito da un studio ampiamente condiviso, prefigura una formazione ad ampio raggio, che tiene conto non soltanto della preparazione tecnica del futuro difensore, ma anche l’apprendimento approfondito delle regole deontologiche analiticamente dettate dal Codice vigente, onde venga anche acquisita la piena consapevolezza di quel ruolo sociale dell’avvocato che, troppo stesso, viene ignorato o sottovalutato, nonostante il suo fondamentale rilievo.
Con la predisposizione dell’innovato assetto della formazione obbligatoria per l’accesso, l’Avvocatura ha aperto un percorso nuovo e ben delineato, frutto anche di un lavoro enorme che, nel tempo, avvocati consapevoli e laboriosi, le istituzioni e le associazioni forensi hanno affrontato per affidare il ruolo della difesa a professionisti seri, preparati e pienamente consapevoli del ruolo che il difensore riveste.
L’avvocatura del futuro è nelle nostre mani: lavoriamo per renderla sempre più consapevole e sicura del ruolo che è chiamata a svolgere!
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