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1. Tra efficientismo e giusto processo
L’attualità del dibattito di politica legislativa, nel tentativo di dare risposta al problema dei “tempi lunghi” del rito penale, pone spesso come assioma la dicotomia tra efficienza e garanzie di matrice accusatoria 1 .
L’utilizzo congruo di tali concetti – di matrice economica il primo, giuridica il secondo 2 -, pone problemi specifici nel sistema processuale penale. Infatti, il processo penale non può non permanere un settore del diritto dalle «inefficienze necessarie» se, come tali, s’intendano la rigorosa ricerca cognitiva del giudice, anche probatoria, alla quale non può esser vincolante, come valore a sé, il tempo della medesima 3 .
L’efficienza è strutturalmente un concetto di relazione che si specifica rispetto al fine che si vuol raggiungere 4 ed alla garanzia dell’esercizio del diritto di difesa. Ne consegue che efficienza giurisdizionale non è necessariamente minor tempo di accertamento.
La riflessione sulle soluzioni alle patologie, presunte o sussistenti, dell’attuale processo criminale italiano, quindi, non può prescindere da un esame dei beni giuridici coinvolti da ogni opzione risolutiva.
Un tale approccio di ingegneria normativa è vieppiù difficile, sia perchè implica dibattito sui problemi e sulle soluzioni – in tempi nei quali la decretazione d’urgenza spesso supera la procedimentalizzazione parlamentare dell’opportunità normativa –, sia perché non consente di sottacere le alternative che le sbrigative soluzioni efficientistiche avrebbero, od avrebbero avuto, sul piano e del diritto sostanziale e del diritto processuale.
Ciò che è tacciato come efficientismo, quindi, pone al legislatore l’obiettivo della responsabilizzazione degli attori processuali 5, in un’ottica di riduzione dei tempi del processo penale con l’obiettivo di restituire fisiologia agli stessi 6, con alleggerimenti del versante processuale che, con frequenza, finiscono per ridurre la difesa ed i suoi poteri 7 .
Viceversa, la visione opposta valorizza il principio costituzionale del giusto processo nel quale tali restrizioni nasconderebbero, in realtà, l’assimilazione della difesa e del difensore a nemici dell’efficienza, per cui i nuovi formalismi, introdotti da ultimo nel 2022, costituirebbero un argine alla durata irragionevole del processo penale 8 .
Tuttavia, il tempo del processo, in democrazia, deve essere pari per l’accusa e per la difesa9, laddove, peraltro, il cronometro delle indagini, per la prima, è ben maggiore di quello successivo alla desecretazione degli atti per la difesa. Un dato è indubbio: le riforme degli ultimi anni hanno sensibilmente ridotto i poteri del difensore ma i tempi del rito non paiono migliorati. Infatti, il legislatore italiano degli ultimi anni ha agito su un duplice assetto, in parte riducendo i poteri della difesa, anche con l’introduzione di oneri e formalismi, in parte escludendo la presenza del difensore nei riti. Tanto che è noto l’impegno del Consiglio Nazionale Forense per una riformulazione costituzionale degli artt. 24 e 111 della Carta fondamentale per un riconoscimento garantito, e non eliminabile dal legislatore ordinario, della necessarietà dell’Avvocatura nel pro- cesso 10 .
Il tema è amplissimo e, nel presente lavoro, costringe ad esemplificazioni.
Innanzi tutto, la Legge 23 giugno 2017 n°103, rubricata Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario. Comprimono i poteri di difesa, per esigenze acceleratorie, le norme di cui all’art. 1, commi 43, 45, 46 e 48 – che hanno novellato rispettivamente gli artt. 438, 452, 458, 464 cod. proc. pen. -, di tale Legge per cui l’introduzione del rito abbreviato, in nuce improntato alla celerità, comporti la sanatoria delle nullità non assolute ma, soprattutto, la non rilevabilità dell’inutilizzabilità, sanzione processuale questa afferente la prova e, quindi, l’irregolare raccolta di informazioni probatorie nella fase delle indagini preliminari.
Parimenti, limita la difesa la restrizione dei motivi di ricorso per cassazione che, per effetto dell’art. 1 co. 50 della medesima Legge Orlando, è ora prevista nel nuovo art. 448 co. 2 bis del codice di rito. In abstracto, non è neppure accettabile la soppressione del potere personale, ossia dell’imputato non assistito, di interporre ricorso per cassazione, come nel nuovo art. 613 co. 1 cod. proc. pen. novellato dall’art. 1 co. 63 della medesima Legge, soppressione che ci sembra sconfessare la storia dell’istituto del ricorso in Corte Suprema come sistema per cittadini 11 .
Il vulnus alla difesa è infine ancora più evidente nella nuova norma dell’art. 146 bis disp. att. cod. proc. pen., che impone la partecipazione a distanza alle persone ristrette in carcere per i delitti di cui agli artt. 51 co. 3 bis e 407 co. 2, lett. a) n°4, del codice di rito.
Si presta a riflessioni molto più dettagliate, poi, la Legge 09 gennaio 2019 n°3, rubricata Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici, giornalisticamente denominata Legge Spazzacorrotti, oggi riqualificata di natura processuale securitaria 12 .
Estremamente incisiva, sotto il profilo dell’effettività del diritto di difesa, ed inaccettabile, per le inesistenti premesse dogmatiche, è la sospensione della prescrizione dopo la sentenza di condanna di primo grado, come nell’art. 159 cod. pen. novellato dall’art. 1 co. 1 lett. e) della medesima Legge. Di giustizia vendicativa altri ha preferito parlare, privile- giando, rispetto al crimine, risposte punitive fulminee e di pronta attuazione, restringendo l’ambito della difesa, per l’inquadramento in luce prevalentemente negativa delle garanzie, con preferenza per modelli processuali sommari 13 .
Anche il d.lgs. 10 ottobre 2022 n°150, in attuazione della Legge 27 settembre 2021 n°134 e recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari, mostra profili di criticità sul tema in parola. Così, il nuovo comma 1 bis, in particolare l’ultimo periodo, dell’art. 445 cod. proc. pen. che dispone l’equiparazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta di parte a una pronuncia di condanna.
Parimenti, e recependo un notissimo abbrivio giurisprudenziale, la regola di cartolarità del processo penale per mutamento della persona fisica del giudice nel corso del dibattimento, come oggi nell’art. 495 co. 4 ter del codice di rito, come introdotto dall’art. 30 co. 1 lett. f) del medesimo decreto. Incidono anche nel rapporto tra difensore ed assistito, la norma del nuovo art. 581 co. 1 ter cod. proc. pen., che impone, a pena d’inammissibilità, l’alligazione all’impugnazione della dichiarazione o dell’elezione di domicilio dell’imputato, nonché del nuovo art. 581 co. 1 quater cod. proc. pen., che introduce, nel caso dell’imputato nei cui confronti si sia proceduto in primo grado in assenza, la necessità di specifico mandato (scritto) ad impugnare per il difensore, sanzionando anche in quest’ultimo caso l’omissione addirittura con l’inammissibilità dell’impugnazione.
In giurisprudenza, le risposte alle censure non si sono fatte attendere, con l’affermazione della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale delle norme di cui ai commi 1 ter e 1 quater dell’art. 581 cennato14, con l’esclusione dell’onere di cui al richiamato comma 1 ter nel caso dell’imputato detenuto 15 e con la reiezione della censura del comma 1 quater in parola anche nel rito di cassazione 16 Acceleratoria vuol essere la nuova norma di cui all’art. 593 co. 3 cod. proc. pen., ove, tra l’altro, è esclusa l’appellabilità delle sentenze di condanna nelle quali sia stata applicata soltanto la pena dell’ammenda ovvero la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità: è vero che de minimis non curat praetor ma una tale restrizione del diritto di difesa non considera la diffusione della prassi di contestazioni frammentate in distinti processi di differenti ipotesi d’accusa, rispetto a un unico fatto materiale, e l’opinione corrente che esclude, in tali casi, il ne bis in idem; in tal caso con problematiche di giudicato ed effetti del giudicato (inappellabile) sul nuovo giudizio in corso per lo stesso fatto ma per (ulteriore) reato contestato 17 .
Lo sguardo d’insieme della cennata produzione normativa lascia dunque trapelare una difesa da ostacolare per ridurre i tempi del processo, comprimendo il potere di interporre le impugnazioni, da formalizzare tra l’altro per ottenere risultati statistico-quantitativi, in un’ottica di prevenzione dell’abuso, che però vieta anche l’uso 18 .
2. Difesa e Difensore
La difesa nel processo è, innanzi tutto, un diritto della persona, consustanziale, in democrazia, alla sua natura di cittadino. In democrazia, il difensore è un organo cooperante con la giustizia ma, soprattutto, libero nei limiti consentitigli dalla legge 19 .
E’ premessa da rammentare, dunque, che i regimi totalitari od autoritari disconoscano o limitino, nella forma o nella sostanza, il diritto di difesa della persona. In diritto romano, la difesa consisteva nel «… facere quod dominus in litem faceret et cavere idonee» 20, ove all’immedesimazione dei poteri aggiungevasi appunto una stipulazione di garanzia 21 : sotto il primo profilo, l’avvocatura era dunque protagonista del processo laddove, quanto al secondo, la disputatio fori presupponeva un sapere complesso 22 .
Il rito attuale pone su tale scia la regola della rappresentanza tecnica del difensore ove, dal disposto dell’art. 99 cod. proc. pen. (per l’imputato) e da quello del comma 4 del successivo art. 100 (per le altre parti private) e con l’eccezione dei c.d. diritti personalissimi, estende al difensore i diritti della persona assistita. E, d’altronde, cosa è l’obbligo del difensore di particolare competenza tecnico – giuridica 23 se non la sua “garanzia”, nel senso romanistico, per l’assistito?
Questi ultimi anni stanno evidenziando un’attenzione al difensore, ai suoi (veri o presunti) deficit formali oltre che sostanziali nonché agli abusi nel processo, finendo per incrinare il rapporto immedesimatorio cennato come di mera assimilazione e di assimilazione a modelli deteriori contra jus.
Finendo per incolpare il difensore e le sue strategie, assiomaticamente dilatorie, per le inefficienze del processo sotto un mero profilo della sua irragionevole durata. Oggetto di aspre critiche dell’Avvocatura penalistica, anche per asserita violazione dell’inviolabilità del diritto di difesa, è l’imponente applicazione giurisprudenziale di legittimità della sanzione d’inammissibilità dei ricorsi per cassazione, muovendo dalla percentuale statistica dei dati che supera ormai il 70% dei ricorsi depositati 24 - nonostante il Protocollo sottoscritto il 17 dicembre 2015 tra il Primo Presidente della Corte Suprema ed il Presidente del Consiglio Nazionale Forense ed il modello formale concordato -, dalla concreta deflattività dell’applicazione in concreto, in contrasto con l’invocata natura sanzionatoria25, e dall’imprevedibilità dell’inammissibilità nei casi concreti 26 .
Poco importerebbe che il ricorso per cassazione risultasse l’atto più difficile del difensore se i suoi formalismi fossero giustificati da esigenze ed interessi condivisi ma, soprattutto, tipizzati. Viceversa, la diffusione dell’applicazione della sanzione dell’inammissibilità dei ricorsi del difensore senza tale tipizzazione si presta, tra l’altro, a censure di non prevedibilità oltre che di disparità di trattamento tra i differenti casi.
L’inammissibilità, così, deflaziona e riduce i tempi del processo ma, sotto il profilo dei fini di giustizia, rende poco accettabile il suo senso decisorio. L’estensione delle cause d’inammissibilità all’impugnazione ordinaria d’appello, voluta dalla Riforma Cartabia, è quindi un rischio accettabile della difesa? A ciò si aggiungano i dibattiti in corso sul cosiddetto abuso del diritto di difesa, inteso come «uso di scaltri artifici giuridici a scopo dilatorio» e fondato proprio sull’applicazione del principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. 27 , e sulla prova informatica e le stringenti necessità garantistiche al momento della prima apprensione da parte dell’indagatore pubblico 28 .
Non vi è dubbio che nessuno in buona fede desideri il cosiddetto game in play ma la garanzia dell’inviolabilità del diritto di difesa è ben altro, così come le risposte ordinamentali al giuoco (processuale) infinito tendente (solo) a vincere siano molteplici e, spesso, trascurate 29 .
3. Il diritto di difesa ed il principio costituzionale della sua inviolabilità come postulato
Nell’attualità, il tema del diritto di difesa e la sua modulazione legislativa sono da rapportare al principio di inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento come riconosciuto e garantito dall’art. 24 della Costituzione.
Non è casuale che, all’indomani del Referendum istituzionale del 1946 e nella vigenza del codice di procedura penale Rocco, la dottrina abbia subito sollecitato l’adeguamento democratico del medesimo codice proprio al richiamato principio costituzionale 30 .
E la norma costituzionale la si volle strutturare in modo elastico perché potesse adeguarsi ai tempi 31 .
In altri termini, il principio in parola costituisce un postulato noto ed indefettibile per il suo contenuto esplicitante una vera e propria garanzia dalla notevole forza espansiva32. Proprio in forza del secondo comma dell’art. 24 Cost., il codice di procedura previgente fu adeguato alla Carta fondamentale repubblicana, specie nell’ottica, sostenuta dalla dottrina, del rafforzamento dell’intervento della difesa nell’istruzione sommaria33, anche per effetto degli interventi della giurisprudenza costituzionale 34.
In realtà, oggi, l’ottica efficientistica non valorizza che il difensore sia necessario in quanto servente al processo, e non tanto al giudizio 35 , e che, pertanto, garantire la difesa senza il difensore sia un vulnus. Ne consegue che la garanzia costituzionale lega indissolubilmente la difesa al difensore. D’altronde, il tecnicismo di quest’ultimo comporta anche un dovere di autonomia che non lo fa essere mai un mero esecutore dell’assistito né un semplice incaricato di quest’ultimo 36 .
Sempre sussistente il codice di procedura previgente, il dibattito si estese al tema del dibattimento senza imputato ed alla necessarietà, in tal caso, del rafforzamento della tutela del diritto di difesa 37 . E, nonostante l’approvazione del nuovo codice di procedura, vi era chi denunciava l’emersione di vere e proprie reviviscenze inquisitorie, in spregio delle conquiste garantistiche in nome del principio d’inviolabilità del diritto di difesa, negli ambiti della legislazione dell’emergenza, nei c.d. maxiprocessi, nell’applicazione della custodia cautelare e nel regime delle letture dibatti- mentali 38 .
La riforma costituzionale e l’introduzione, nel novellato art. 111 della Carta fondamentale, dei principii del giusto processo non sembra aver ridotto l’aggressione di parte dell’opinione pubblica e, talvolta, del legislatore ordinario, al principio d’inviolabilità in parola. Tanto da indurre alcuni ad invocare la maggiore precisione delle corrispondenti regole delle carte internazionali 39 .
L’utilizzo del postulato dell’art. 24 della Carta fondamentale, pertanto, ha avuto effetti estremamente positivi sul codice fascista del 1930. Non riteniamo, invece, che il legislatore degli anni 2017, 2019 e 2022 ne stia facendo buon uso, avendone anzi invertito l’uso in senso restrittivo rispetto all’esercizio del diritto di difesa.
4. I poteri del difensore, le garanzie di difesa e le loro riduzioni
Sotto un profilo squisitamente processuale, sul difensore è una situazione giuridica soggettiva attiva di potere. Il recupero di questa visione mi sembra fondamentale per la ristrutturazione di una dialettica processuale leale e senza sospetti di strategie irrituali o, peggio, illegali. Il potere, infatti, è tipico della posizione del difensore, è espressione di «… norme strumentali dinamiche» 40 , «… si esaurisce nell’imputazione ipotetica della fattispecie normativa di una condotta ad un soggetto …» 41 ma, soprattutto, si risolve in un comportamento processuale correlato al «dovere del giudice di pronunciare su un certo oggetto …» 42 con riferimento alle «… modalità relative al quomodo, all’ubi, al quando …» 43 .
Incidere legislativamente menomando il potere del difensore comporta quindi la riduzione del dovere decisorio del giudice44. Che sul difensore gravi un siffatto potere non ci risulta che sia posto in dubbio da alcuno, con l’evidenza di profili pubblicistici 45 . Proprio per questi ultimi, alla difesa sono attribuite le garanzie, nella dimensione costituzionale su richiamata ed in quella codicistica dell’art. 103, che, per l’appunto, richiama il concetto di libertà per rafforzare il presidio. Non per attribuire un privilegio ingiusto.
Eppure. Si è intesa legittima la captazione delle conversazioni del difensore, indagandone la natura e ritenendo estra-nee al mandato quelle dalla «mera natura consolatoria ed amicale a fronte di confidenze ricevute» 46 .
All’opposto, invece, l’orientamento per cui la conoscenza dei fatti in ragione della professione «ancorchè non formalizzata in mandato» ovvero la conoscenza dei medesimi «come amico ma, pur sempre, nella qualità di avvocato che, in quanto tale, forniva consigli» impedisce l’utilizzabilità dell’intercettazione 47 .
La tematica è amplissima – basti pensare ai temi dell’acquisizione processuale della messaggistica istantanea e del captatore informatico 48 – ma, per quel che concerne il presente studio rivela la necessità dell’attenzione del legislatore agli interessi ed ai beni da contrapporre nel rispetto delle libertà e delle garanzie costituzionali o convenzionali 49 .
Al problema delle captazioni, prima che a quello dell’utilizzazione o meno delle intercettazioni, è legato il tema del segreto professionale, tutelato anche per il difensore dall’art. 200 del codice di rito50. Rientra, poi, nella riduzione dei poteri della difesa la tematica dell’abuso del processo, di cui cennavasi al paragrafo 2 che precede.
Il tema delle riduzioni dei poteri, quindi, deriva dalla natura di postulato del diritto di difesa ed è al centro delle novelle dei legislatori del 2017, del 2019 e del 2022, nel bilanciamento tra efficienza come (pseudo) valore processuale e giusto processo (come effettivo bene giuridico da tutelare). Tale natura è stata la leva per le riduzioni dei legislatori.
5. Rischi e professionalità
Sono stati studiati, sotto un profilo sostanziale, quali siano i rischi penali del difensore 51 .
Non è inconcepibile in abstracto un’attività di filosofia del diritto di riduzione di quest’ultima a mera filosofia dell’economia se la «riduzione» consista nella conservazione dei fini del rito accusatorio, in una condivisione normativa senza deminutiones qualitative e, soprattutto, se connotata da interessi o, meglio, da utilità sistematiche che mantengano standards democratici 52 .
Le “riduzioni”, cennate ai paragrafi che precedono, evidenziano un declinare del piano del rischio dal diritto penale a quello del diritto processuale. E’ un timore eccessivo la «connotazione ideologico-repressiva della procedura penale del nemico», insita nelle nuove norme della riforma del 2022 contra defensores e con una «spiccata adiaforia per i valori costituzionali»? 53
Eppure, «… la ben nota furia punitiva ostacola … una migliore qualità della legge» 54 .
Una risposta di professionalità del difensore può esser sufficiente a contrastare l’aggravamento degli oneri di difesa, dopo l’avvenuta restrizione dei poteri del difensore? Oltre la prospettiva del rischio professionale, da errato svolgimento del mandato, oltre la connotazione del rischio deontologico, è il rischio processuale di incisione sull’esercizio del diritto di difesa che preoccupa nell’ingegneria normativa di un legislatore sbrigativo e poco attento alle involuzioni del sistema giuridico.
6. Verso quale rito accusatorio?
Che il codice non enucleasse un rito accusatorio puro era chiaro sin dall’entrata in vigore nel 1989. Tanto da suscitare oggi definizioni di vero e proprio rito post-accusatorio per conseguenza dell’ultima riforma del 2022 55 .
L’irragionevole durata dei processi è lo sfondo delle riforme tese alla tutela dell’esigenza di celerità processuale, con il portato delle limitazioni al diritto di difesa ed alle sue garanzie, anche costituzionali.
La storia applicativa delle riforme del 2017 e del 2019 ha mostrato che la riduzione dei poteri di difesa è stata un’iperbole, il cui parossismo populistico è dimostrato a posteriori anche dal che il processo penale non ne abbia guadagnato minimamente in termini appunto di celerità.
Sarebbe stata possibile una scelta diversa, forse impopolare o scarsamente efficace in termini elettoralistici, nella specie di una seria depenalizzazione, dopo che, a quella di fine anni Novanta, è seguita un’irrazionale proliferazione di fattispecie di reato 56 .
Una scelta di diritto sostanziale, politica nella migliore accezione, che non avrebbe inciso sui diritti. Una grandissima donna scrisse che «… un giudice può detestare il crimine e tuttavia essere leale verso il criminale … l’avvocato che difende un omicida non difende l’omicidio …» 57 .
Fare strategia deve significare soltanto conoscere le regole del processo, tendere alla garanzia della loro corretta applicazione, senza assimilare il difensore leale al reato né, al di fuori delle condotte penalmente punibili – che dalla “difesa” lo espungono -, coinvolgerlo assiomaticamente nel delitto. Mi chiedo quindi: in concreto verso quale rito accusatorio il legislatore ci sta conducendo? Esso, «pur trionfante nella Costituzione, appare sempre più moribondo nel reale» 58 ?
Certo è che il formante ideologico, che sembra animare la Riforma Cartabia specie per quel che concerne le tematiche della difesa e del difensore, conferma il rischio di destrutturazione del modello accusatorio del processo penale 59 . La dialettica è strumento di conoscenza in ogni caso e per il giudice in particolare.
La verità processuale deve essere conseguenza di un processo giusto perché, come diceva un padre costituente, «… avvocati e giudici … come … l’incontro, che sta al centro di ogni coscienza, tra l’accusa implacabile e … la spasimante invocazione di una giustizia che si ostina a rimanere in eterno sigillata nel suo silenzio, e questa attesa angosciosa di un verdetto …» 60 .
Ogni restrizione della difesa limita il modello processuale verso sistemi illiberali, perché, anche se qualcuno crede che vi siano mille maniere di indossare la Toga, in realtà il modo è uno soltanto e coincide rigorosamente con il crisma, come tale inviolabile, della difesa libera ed indipendente dell’uomo 61.
Niente a che fare con l’efficientismo del legislatore più recente.
Tutto secondo coscienza.
Nel peso della responsabilità di un giudizio penale su un individuo.
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