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L’Adunanza Plenaria e l’accesso agli atti nell’esecuzione dei contratti pubblici

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di Silvia Caporossi

Con la sentenza n. 10/2020, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha composto un annoso e controverso dibattito giurisprudenziale, affermando l’applicabilità della disciplina dell’accesso civico generalizzato, di cui all’art. 5, comma 2, D.lgs. 33/2013, anche alla fase di esecuzione del contratto pubblico. L’intero percorso argomentativo seguito dal Supremo Consesso nella pronuncia in commento rinviene la sua origine e il suo punto di arrivo nel principio di trasparenza, intesa come «accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche».

Il percorso per il raggiungimento del suindicato principio ha avuto inizio con l’entrata in vigore della L. 241/1990, la quale ha riconosciuto il diritto di prendere visione degli atti della Pubblica Amministrazione a chi sia titolare di un interesse differenziato e meritevole di tutela. Successivamente, il D.lgs. 33/2013 ha introdotto obblighi di pubblicazione sui siti web istituzionali delle Amministrazioni di informazioni rilevanti, le quali sono state precisamente individuate con il D.lgs. 97/2016. La medesima fonte normativa ha, infine, introdotto l’accesso civico generalizzato, il quale ha consentito a “chiunque” l’accesso ai documenti inerenti l’attività amministrativa non soggetti agli obblighi di pubblicazione, con il solo limite del rispetto di taluni interessi pubblici e privati specificatamente individuati dai primi tre commi dell’art. 5-bis D.lgs. 33/2013. Detta forma di accesso è ispirata al modello del Freedom of Information Act (FOIA) statunitense, in cui «il “right to know”, diritto di essere informati, persegue tre diversi obiettivi, il primo, “accountabilty”, vuole consentire un controllo diffuso sull’operato degli enti pubblici allo scopo di evitare fenomeni di corruzione. La seconda finalità, “partecipation”, vuole garantire ai cittadini una partecipazione consapevole alle decisioni pubbliche. Infine, con la “legitimacy” si vogliono rafforzare le stesse pubbliche amministrazioni, che devono agire in completa trasparenza nei confronti dei cittadini». 

Il passaggio dal “need to know” al “right to know”, segnato dall’introduzione dell’istituto dell’accesso civico generalizzato di cui all’art. 5, comma 2, D.lgs. 33/2013, ha codificato un’esigenza, divenuta sempre più insistente, di rendere visibile il modo di individuazione dell’interesse pubblico e conoscibili gli strumenti e i piani per il suo perseguimento, contestualmente all’evoluzione del concetto di trasparenza che viene allora «a configurarsi, ad un tempo, come un mezzo per porre in essere una azione amministrativa più efficace e conforme ai canoni costituzionali e come un obiettivo a cui tendere, direttamente legato al valore democratico della funzione amministrativa».

Ciò premesso, venendo all’esame della sentenza in commento, si rappresenta che l’ammissione dell’accesso documentale di cui agli artt. 22 e ss. L. 241/1990 nella fase esecutiva della gara – in merito alla quale la giurisprudenza del Consiglio di Stato si era già espressa in senso favorevole – trova conforto, oltre che a livello normativo, nella natura pubblicistica della fase di svolgimento del contratto la quale, seppur prevalentemente regolata da disposizioni di carattere privatistico, è evidentemente tesa alla tutela di un pubblico interesse, il medesimo posto all’origine dell’indizione della gara e della procedura di affidamento, cui, anzi, attribuisce una rilevanza ancora maggiore, dovendone curare la realizzazione. Muovendo dal presupposto che la fase di esecuzione configura la sede di attuazione dell’offerta risultata vincitrice e, conseguentemente, dell’interesse pubblico perseguito dalla stazione appaltante con l’indizione della selezione, non possono certo tollerarsi inadempimenti ovvero illegittimità e vizi, preesistenti e non rilevati ovvero sopravvenuti, che si traducano in una lesione dei principi presieduti in sede di affidamento, dovendo l’esecuzione del contratto «rispecchiare e rispettare l’esito della gara condotto secondo le regole della trasparenza, della non discriminazione e della concorrenza ».

Posto che eventuali inadempienze o irregolarità potrebbero condurre all’interpello e al successivo scorrimento della graduatoria ovvero alla riedizione della gara, per conseguire l’aggiudicazione della stessa, è di tutta evidenza che, anche nella predetta fase di esecuzione del contratto, i concorrenti che abbiano partecipato alla gara o, in determinate circostanze, coloro che non vi abbiano preso parte, sono titolari di situazioni giuridiche soggettive la cui tutela è subordinata alla verifica del corretto svolgimento del rapporto contrattuale, conoscibile in primo luogo mediante l’accesso alla relativa documentazione. Fermo restando quanto sopra, occorre rilevare che, nonostante possa ravvisarsi nella fase esecutiva del rapporto contrattuale un interesse pubblico che legittimi l’accesso ai relativi atti, l’interesse dell’istante deve essere concreto, attuale e diretto, in quanto l’art. 22 L. 241/1990 non ha inteso introdurre «alcun tipo di azione popolare diretta a consentire una sorta di controllo generalizzato sulla Amministrazione, tant’è che ha contestualmente definito siffatto interesse come finalizzato alla “tutela” di “situazioni giuridicamente rilevanti”», con la conseguenza che «essere titolare di una situazione giuridicamente tutelata non è condizione sufficiente perché l’interesse rivendicato possa considerarsi “diretto, concreto e attuale”, essendo anche necessario che la documentazione cui si chiede di accedere sia collegata a quella posizione sostanziale, impedendone o ostacolandone il soddisfacimento».

Stante quanto sopra, risulta palese che – secondo quello che è un orientamento già in precedenza espresso dalla giurisprudenza amministrativa – riconoscere nella fase esecutiva l’esistenza di interessi pubblici meritevoli di tutela, i quali presuppongono la conoscibilità degli atti, non implica di per sé il riconoscimento di una sorta di “superlegittimazione” in capo agli operatori economici che abbiano partecipato alla gara, dovendo costoro essere titolari di una situazione giuridica soggettiva che sia preesistente all’accesso documentale e non certo conseguente ad esso. In caso contrario, l’accesso agli atti non configurerebbe uno strumento di tutela di situazioni giuridiche soggettive che possano essere state pregiudicate in sede di esecuzione, bensì in un mezzo di indagine esplorativa finalizzato alla ricerca di eventuali inadempimenti o irregolarità della cui esistenza non sia altrimenti ravvisabile alcun indizio.

Facendo seguito a quanto precisato in apertura, il passaggio dal “need to know”, finalizzato alla tutela di situazioni giuridiche soggettive riconosciute dall’ordinamento, al “right to know”, inteso come «diritto fondamentale in sé, che è premessa autonoma e fondamentale per l’esercizio di qualsivoglia altro diritto», è ciò che caratterizza il rapporto tra accesso documentale e accesso civico generalizzato di cui all’art. 5, commi 2 e 3, D.lgs.33/2013. Detto istituto mira a realizzare un ordinamento amministrativo fondato su di un controllo diffuso e capillare circa il perseguimento delle funzioni istituzionali e l’utilizzo delle risorse pubbliche e sulla partecipazione dei cittadini alla gestione della “Cosa pubblica”, tramite l’ammissione dell’accesso ad atti e documenti amministrativi ulteriori rispetto a quelli oggetto degli obblighi di pubblicazione, indipendentemente dalla titolarità di una situazione giuridica legittimante, nel solo rispetto dei limiti previsti dall’art. 5-bis.

Al riguardo, è stato osservato che, a differenza dell’accesso documentale, «dal punto di vista soggettivo, la richiesta di accesso [civico generalizzato] non richiede alcuna qualificazione e motivazione, per cui il richiedente non deve dimostrare di essere titolare di un “interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”, così come stabilito, invece, per l’accesso ai sensi della legge sul procedimento amministrativo. Dal punto di vista oggettivo, al contrario, i limiti applicabili alla nuova forma di accesso civico (di cui al nuovo articolo 5-bis del decreto legislativo n. 33 del 2013) risultano più ampi e incisivi rispetto a quelli indicati dall’articolo 24 della legge n. 241 del 1990, consentendo alle amministrazioni di impedire l’accesso nei casi in cui questo possa compromettere alcuni rilevanti interessi pubblici generali». A ben vedere, «nel caso dell’accesso ex L. 241/1990 dove la tutela può consentire un accesso più in profondità a dati pertinenti e nel caso dell’accesso generalizzato, dove le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità (se del caso, in relazione all’operatività dei limiti), ma più esteso, avendo presente che l’accesso in questo caso comporta, di fatto, una larga conoscibilità (e diffusione) dei dati, documenti e informazioni», il bilanciamento degli interessi in gioco assume natura e portata differente.

Dalle predette considerazioni ha preso le mosse quell’orientamento giurisprudenziale – di cui la sentenza del Consiglio di Stato, III Sez., n. 3780/2019 è massima esponente – volto ad estendere l’applicazione dell’accesso civico generalizzato anche al settore dei contratti pubblici. Detto indirizzo, facendo leva su di un’interpretazione dinamica dell’art. 5-bis, comma 3, D.lgs. 33/2013, letto in combinato disposto con l’art. 53, comma 1, D.lgs. 50/2016, ha affermato che dalla subordinazione dell’applicazione della disciplina dell’accesso civico generalizzato “al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della L. 241/1990” non deve desumersi un divieto assoluto per tutte quelle materie che, come quella dei contratti pubblici, facciano riferimento alla normativa dell’accesso documentale, dovendosi limitare tale preclusione ai soli limiti espressamente previsti da disposizioni speciali all’interno di materie altrimenti ricomprese nell’ambito di applicazione dell’accesso civico generalizzato. D’altronde, una simile conclusione discenderebbe dall’esistenza di vincoli esclusivamente oggettivi – come sopra precisato – nella disciplina dell’accesso civico generalizzato, i quali, individuando specificatamente le materie colpite da preclusione assoluta e limitandosi nelle altre ipotesi a parlare di “casi”, non sono suscettibili di interpretazione estensiva o analogica.

Né a soluzioni diverse potrebbe condurre il richiamo alla L. 241/1990 contenuto nel primo comma dell’art. 53 D.lgs. 50/2016, il quale semplicemente manca – come non è raro che accada nel nostro ordinamento – di coordinamento con l’art. 5-bis D.lgs. 33/2013, così come modificato dal D.lgs. 97/2016, entrato in vigore successivamente al Codice appalti. Ciononostante, nel ribadire che l’accesso civico generalizzato assurge a diritto fondamentale, non potrebbe e non dovrebbe adottarsi un’interpretazione statica e non costituzionalmente orientata, quale sarebbe quella che facesse discendere dal solo dato testuale l’esclusione di un’intera materia dall’ambito applicativo dell’accesso civico generalizzato. «Invero, per quanto d’interesse, tali “condizioni, modalità o limiti”, devono in generale essere correlati sia al principio generale di trasparenza, quale affermato all’art. 1 dello stesso D.Lgs. n. 50 del 2016, sia 151 al fatto che essi sono coordinati, nell’ambito della stessa previsione a “divieti d’accesso”, e non a restrizioni di minor rilievo: la disciplina di cui al citato D.Lgs. n. 33 del 2013 costituisce insomma la regola generale e le eccezioni alla medesima devono essere interpretate restrittivamente, per evitare la sostanziale vanificazione dell’intendimento del legislatore di garantire l’accesso civico».

Non solo, la carente ragionevolezza di una simile interpretazione appare tanto più evidente sol che si consideri che nel settore dei contratti pubblici l’esigenza di trasparenza viene sentita in misura ancor più intensa quale lotta alla corruzione, in considerazione della circostanza che «proprio con riferimento alle procedure di appalto, la possibilità di accesso civico, una volta che la gara sia conclusa e viene perciò meno la tutela della “par condicio” dei concorrenti, non risponde soltanto ai canoni generali di “controllo diffuso sul perseguimento dei compiti istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (art. 5 co. 2 cit. D.Lgs. n. 33 del 2013).

Vi è infatti, a rafforzare in materia l’ammissibilità dell’accesso civico, una esigenza specifica e più volte riaffermata nell’ordinamento statale ed europeo, e cioè il perseguimento di procedure di appalto trasparenti anche come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione ». Ciò posto, come sottolineato anche dall’Adunanza Plenaria, al suindicato orientamento giurisprudenziale se ne è contrapposto un altro di segno contrario, il quale non si è soffermato esclusivamente sull’interpretazione delle disposizioni testé citate, ma ne ha fornito una lettura coordinata con l’intero sistema dell’accesso agli atti delineato dal legislatore. In proposito, la V Sezione del Consiglio di Stato, nelle sentenze nn. 5502 e 5503 del 2019, correttamente ha osservato che, ponendosi le tre tipologie di accesso (documentale, semplice e generalizzato) in posizione pari ordinata, in ordine alla definizione della loro espansione applicativa occorre procedere al coordinamento di ciascuna di esse con le specifiche discipline settoriali in tema di accesso.

Trattasi, a ben vedere, «di un coordinamento da effettuare volta a volta, verificando se la disciplina settoriale, da prendere prioritariamente in considerazione in ossequio al principio di specialità, consenta la reciproca integrazione ovvero assuma portata derogatoria». Con specifico riguardo alla materia dei contratti pubblici, muovendo dall’esegesi dell’art. 5-bis, si è ritenuto che l’accesso civico de quo non debba essere “funzionalizzato” al raggiungimento esclusivo dell’obiettivo del controllo diffuso sull’azione pubblica e del coinvolgimento dei cittadini nel dibattito pubblico, dovendo essere contemperato con altri interessi, pubblici e privati, individuati dai primi due commi dell’art. 5-bis, che possono essere pregiudicati da una “disclosure” indiscriminata, conseguente alla richiesta di accesso proposta da “chiunque”. Trattasi di un bilanciamento tra interessi – quello inerente la conoscibilità della documentazione amministrativa e quello pubblico e privato che variamente ne possa venire leso – che dovrà essere effettuata volta per volta con riferimento al singolo caso concreto, in palese divergenza rispetto all’accesso documentale, dove la tutela del diritto alla conoscibilità spetta sì solo a chi sia titolare di un interesse concreto, attuale e diretto, ma a costui è riconosciuto – come sopra precisato – in forma piena e approfondita.

Differentemente, il comma 3 del medesimo articolo fissa le eccezioni assolute in presenza delle quali «l’amministrazione che detiene i documenti richiesti non conserva alcuna possibilità di comparazione discrezionale degli interessi coinvolti», non rimanendo alla trasparenza altra possibilità che recedere. La suindicata divergenza emerge anche dalla tecnica redazionale cui ha fatto ricorso il legislatore, il quale nei primi due commi dell’art. 5-bis ha specificatamente elencato gli interessi pubblici e privati in presenza dei quali possa essere giustificato il rifiuto all’accesso, mentre nel terzo comma non ha indicato in modo analitico le eccezioni assolute, operando al contrario un generico riferimento a “casi”, la cui individuazione è rimessa ad altre leggi. Ne consegue che l’ampiezza dell’eccezione dipende dalla portata della normativa di rinvio.

Al riguardo, è stato osservato che «anche in ragione della peculiare tecnica redazionale appena detta, tale ultima eccezione assoluta ben possa essere riferita a tutte le ipotesi in cui vi sia una disciplina vigente che regoli specificamente il diritto di accesso, in riferimento a determinati ambiti o materie o situazioni, subordinandolo a “condizioni, modalità o limiti” peculiari; quindi, che l’eccezione non riguardi le ipotesi in cui la disciplina vigente abbia quale suo unico contenuto un divieto assoluto (o relativo) di pubblicazione o di divulgazione: se non altro perché tale ipotesi è separatamente contemplata nella medesima disposizione».

Stante la chiarezza dell’art. 5-bis, comma 3, l’indirizzo giurisprudenziale in esame ha messo in rilievo che, non potendosi ricomprendere tra le eccezioni assolute esclusivamente le fattispecie derogatorie espressamente previste dalla disciplina del Codice appalti – in quanto, se così fosse, il suindicato articolo sarebbe privo di qualsivoglia rilievo – tra le “specifiche condizioni, modalità o limiti” deve necessariamente farsi rientrare il richiamo agli artt. 22 e ss. L. 241/1990 operato dall’art. 53, comma 1, D.lgs. 50/2016, con conseguente sottrazione dell’intera materia dei contratti pubblici dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato. D’altronde, a voler indagare la ratio sottesa a tale scelta, questa appare palese sol che si soffermi l’attenzione sulle peculiarità della materia delle gare, la quale costituisce un complesso normativo chiuso e a sé stante, in cui una richiesta di accesso generalizzato avrebbe ad oggetto «documentazione che, da un lato, subisce un forte e penetrante controllo pubblicistico da parte di soggetti istituzionalmente preposti alla specifica vigilanza di settore (ANAC), e, dall'altro, coinvolge interessi privati di natura economica e imprenditoriale di per sé sensibili (e quindi astrattamente riconducibili alla causa di esclusione di cui al comma 2, lett. c), dell’art. 5-bis del D.Lgs. n. 33 del 2013), specie quando tali interessi, dopo l’aggiudicazione, vanno a porsi su di un piano pari ordinato – assumendo la connotazione di veri e propri diritti soggettivi – rispetto a quelli della stazione committente».

Ebbene, posta dinanzi alle suindicate correnti giurisprudenziali, l’Adunanza Plenaria ha aderito al primo orientamento menzionato.

Come si è già detto in apertura, con la sentenza in commento l’Adunanza Plenaria ha preso atto delle più sentite esigenze di trasparenza e delle limitazioni connaturate all’accesso documentale, con il quale viene tutelato solo occasionalmente il c.d. “need to know”, finalizzato alla soddisfazione di specifici interessi personali. Al contrario, «nell’accesso civico generalizzatosi ha un accesso dichiaratamente finalizzato a garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa, nel quale il c.d. right to know, l’interesse individuale alla conoscenza, è protetto in sé, se e in quanto non vi siano contrarie ragioni di interesse pubblico o privato, ragioni espresse dalle cc.dd. eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 33 del 2013». D’altronde, l’istituto dell’accesso civico «risponde pienamente ai principi […] di trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa e di partecipazione diffusa dei cittadini alla gestione della “Cosa pubblica” ai sensi degli articoli 1 e 2 della Costituzione, nonché, ovviamente, dell’art. 97 Cost., secondo il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 della Costituzione».

Nell’accesso civico generalizzato, che è un diritto fondamentale e contribuisce «al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce alla persona», la trasparenza si declina come conoscibilità totale, ma non solo. Essa deve essere interpretata anche e soprattutto come intelligibilità degli atti, introducendo una chiara distinzione tra quella che è solo pubblicità dell’operare della Pubblica Amministrazione e quella che si traduce invece in vera e propria partecipazione,mediante una conoscenza che diventi comprensione effettiva, non solo della documentazione utile alla tutela di un proprio personale interesse, ma inerente tutto il funzionamento della “Cosa pubblica”.

Nel così delineato quadro di principi, ben si comprende la complessità della disciplina dell’accesso alle pubbliche informazioni, il quale, reso ancor più complicato, oltre che dall’operatività dei tre istituti, anche dalla convivenza della disciplina generale con quella settoriale,«trae alimento – sul parallelo piano assiologico – dal progressivo arricchimento della natura degli interessi riversati sul principio di trasparenza: non più semplicemente ancorato al diritto alla informazione ed alla partecipazione democratica, ma informato al perseguimento di ulteriori (e non sempre convergenti) obiettivi, come la tutela della concorrenza, il contrasto alla corruzione, la riduzione della spesa pubblica, la promozione della qualità dei servizi, il controllo sulle performance dei dipendenti».

In un tale mutato contesto, l’intenzione che ha animato la V sezione del Consiglio di Stato nell’attribuire a ciascuna tipologia di eccezione di cui ai primi tre commi dell’art. 5-bis il proprio ambito applicativo e la rispettiva autonomia, sconta gli effetti di una logica separatista, che nel tentativo di fornire una lettura d’insieme dell’istituto finisce invece per spezzare irrimediabilmente il nesso sistematico che lega le singole ipotesi, facendone discendere ulteriori limiti non contemplati dalla legge. La ratio che deve guidare la lettura dell’art. 5-bis è di inclusione/integrazione dei diversi regimi di accesso, così come, a sua volta, il rapporto tra la disciplina generale e quella settoriale non può essere letto unicamente alla luce del principio di specialità, il quale porterebbe ad una inaccettabile esclusione reciproca.

In proposito, «la disposizione non può invero essere intesa nel senso di esentare dall’accesso generalizzato interi ambiti di materie per il sol fatto che esse prevedano casi di accesso limitato e condizionato, compresi quelli regolati dalla l. n. 241 del 1990, perché, se così fosse, il principio di specialità condurrebbe sempre all’esclusione di quella materia dall’accesso, con la conseguenza, irragionevole, che la disciplina speciale o, addirittura, anche quella generale dell’accesso documentale, in quanto e per quanto richiamata per relationem dalla singola disciplina speciale, assorbirebbe e “fagociterebbe” l’accesso civico generalizzato. Verrebbe meno così, radicalmente, il concorso tra le due forme di accesso – documentale e generalizzato – che, per quanto problematico, è fatto salvo dall’art. 5, comma 11, del d.lgs. n. 33 del 2013, che mantiene ferme “le diverse forme di accesso degli interessati previste dal Capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241». Occorrerà dunque procedere ad una verifica casistica, finalizzata ad indagare la natura del limite introdotto dal legislatore. «Anche le eccezioni assolute insomma, come osservato pure in dottrina, non sono preclusioni assolute perché l’interprete dovrà valutare, appunto, la volontà del legislatore di fissare in determinati casi limiti più stringenti all’accesso civico generalizzato».

D’altronde, le esigenze di trasparenza sono tanto più insistenti in un settore, come quello dei contratti pubblici, particolarmente esposto alla corruzione e nel quale sono già numerosi gli istituti volti a preservarne la concorrenzialità. Tuttavia, l’Adunanza Plenaria ha rilevato che gli obblighi di pubblicazione introdotti dal legislatore non possono condurre all’esclusione dell’accesso civico generalizzato, in quanto «è proprio questa logica ermeneutica di integrazione che induce a ritenere che la obbligatoria pubblicità di determinati atti (c.d. disclosure proattiva) è solo un aspetto, pur fondamentale, della trasparenza, che tuttavia si manifesta e si completa nell’accessibilità degli atti (c.d. disclosure reattiva) nei termini previsti per l’accesso civico generalizzato». Sulla base delle considerazioni di cui sopra, l’Adunanza Plenaria ha ritenuto di poter superare le obiezioni sollevate dalla V Sezione: innanzitutto, non ha riconosciuto natura ostativa al necessario bilanciamento tra conoscibilità e riservatezza cui deve procedere l’Amministrazione e che nelle gare assume particolare pregnanza, stante il carattere industriale e aziendale delle informazioni che possono essere pregiudicate dalla richiesta di ostensione.

In proposito, il Supremo Consesso richiama il principio di proporzionalità quale parametro da seguire nel giudizio di comparazione tra il diritto di accesso, anche in forma parziale, e il “know-how” industriale e commerciale dell’aggiudicatario o di altro operatore economico che abbia partecipato alla gara. Con riferimento alla contestazione concernente il notevole aggravamento dei costi e il rischio di appesantimento del lavoro a carico delle Amministrazioni conseguenti alla presentazione di istanze di accesso pretestuose ed infondate, posto che dalla data di introduzione dell’istituto in discussione non si sono registrati nel numero delle richieste presentate aumenti superiori alle aspettative, il Supremo Consesso ha osservato che l’accesso civico generalizzato, seppur caratterizzato da un’impronta personalistica, in quanto esercizio di un diritto fondamentale, mantiene una connotazione solidaristica e deve pertanto essere ispirato al rispetto del canone di buona fede ed al divieto di abuso del diritto e non intralciare l’operato delle Amministrazioni.

Dunque, spetterà alle stazioni appaltanti rigettare quelle istanze di accesso pretestuose o che richiedono un’ostensione massiva di documenti o, ancora, quelle richieste plurime provenienti dallo stesso soggetto o da più soggetti, ma riconducibili ad un unico centro di interessi. Da ultimo, non coglie nel segno neanche la constatazione che l’accesso civico generalizzato potrebbe essere utilizzato al fine di arginare i limiti imposti dall’accesso documentale, in quanto se la ratio dell’istituto ha carattere solidaristico, non ugualmente può dirsi dell’interesse per il cui soddisfacimento si fa ricorso all’istituto, il quale, seppur non infondato, non deve neanche avere natura altruistica o sociale.

Fermo restando quanto sopra, nel quadro appena delineato in cui, in nome della trasparenza e della concorrenza, si sono dilatati i contorni dell’accesso agli atti in tutte le sue forme, occorre segnalare un ulteriore tassello, concernente la possibilità per l’Amministrazione di esaminare un’istanza di accesso sia alla luce della disciplina di cui all’art. 22 L. 241/1990 che di quella ex art. 5 comma 2 D.lgs. 33/2013. In proposito, la preclusione in merito alla «possibilità di immutare, anche in corso di causa, il titolo della formalizzata actio ad exhibendum, pena la violazione del divieto di mutatio libelli e di introduzione di jusnovorum», deve ritenersi tem-perato dall’ammissibilità della proposizione cumulativa di molteplici istanze di accesso.

Infatti, il riferimento nella richiesta di ostensione ai soli requisiti dell’accesso documentale non ne preclude l’esame anche sotto il profilo dell’accesso civico generalizzato, «laddove l’istanza contenga sostanzialmente tutti gli elementi utili a vagliarne l’accoglimento sotto il profilo “civico”, salvo che il privato abbia inteso espressamente far valere e limitare il proprio interesse ostensivo solo all’uno o all’altro aspetto». Dunque, qualora il richiedente non abbia inteso riferirsi espressamente ed inequivocabilmente alla disciplina dell’accesso documentale o civico, ma abbia presentato un’istanza suscettibile di essere esaminata alla luce di entrambe le discipline, la stazione appaltante dovrà necessariamente procedervi, potendosi limitare a verificare la sussistenza di una sola tipologia di accesso esclusivamente nel caso in cui il richiedente vi abbia fatto esplicito riferimento. Alla luce di quanto sopra, alcune considerazioni s’impongono d’obbligo. Nonostante si condivida pienamente l’adozione di un’impostazione orientata a realizzare una gestione amministrativa quanto più possibile trasparente e partecipativa, non possono tacersi alcuni dubbi in merito alle conseguenze che una simile estensione della disciplina dell’accesso civico 155 generalizzato potrebbe comportare in termini di aggravio delle incombenze in capo alle stazioni appaltanti. Sebbene l’Adunanza Plenaria abbia rigettato le contestazioni sollevate dalla V Sezione del Consiglio di Stato, queste non possono ritenersi totalmente superate.

Già era stato osservato in giurisprudenza – e ribadito anche nella sentenza in commento – che l’imposizione alle Amministrazioni di esaminare un’istanza di accesso sia sotto il profilo documentale che civico comportasse un appesantimento degli oneri a carico delle suddette, stante la differenza nei limiti e nelle regole.

Tuttavia, le prevalenti esigenze di conoscibilità e partecipazione alla “Cosa pubblica” hanno indotto a dare semplicemente atto di tale aggravio, senza proporre possibili rimedi. In proposito, anche a voler ammettere che l’ampliamento dell’ambito applicativo del diritto di accesso civico generalizzato non comporti un incremento dei costi di gestione, dovendo le stazioni appaltanti respingere le istanze pretestuose e sproporzionate, è pur vero che un simile giudizio esigerà lo svolgimento di un’istruttoria finalizzata a verificarne la fondatezza e la prevalenza rispetto alla tutela della riservatezza dell’operatore economico, il quale potrà dal canto suo opporsi alla richiesta, con conseguente ulteriore allungamento dei tempi procedimentali e del carico di lavoro delle stazioni appaltanti.

Di ben poco conforto è, al riguardo, la regola di condotta imposta agli eventuali richiedenti, ai quali è prescritto il rispetto del principio di buona fede e del divieto di abuso del diritto. Con quanto sopra non si vuole certo negare l’indubbia efficacia del ruolo che un simile accesso potrebbe ricoprire nella lotta alla corruzione in un settore, come quello delle gare, che ne è particolarmente soggetto; tuttavia, non possono non condividersi i timori, già da molti manifestati all’indomani della pubblicazione della sentenza in commento, che gli interessi perseguiti dalle stazioni appaltanti mediante l’indizione della procedura di gara, già resi di difficile raggiungimento a causa delle numerose e recenti modifiche del Codice appalti, risultino ulteriormente sacrificati in nome della tutela di situazioni giuridiche soggettive già altrimenti salvaguardate.


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