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1 . L’evoluzione dell’avvocatura in materia di pubblicità
L’approccio dell’avvocatura nei confronti dell’informativa è notevolmente cambiato nel corso del tempo, complice anche il progressivo emergere di nuovi metodi per promuovere la propria attività che hanno imposto un radicale cambio di mentalità.
Sino a non molto tempo fa, infatti, l’avvocato che sponsorizzava la propria professione non era ben visto. Nel 1990 Edilberto Ricciardi scriveva che «il divieto di propaganda costituisce un principio deontologico importante diretto a sottolineare la particolare dignità della professione forense che non è equiparabile ad una qualunque attività di servizi».
Si tratta di una citazione molto famosa che racchiude la considerazione che gli avvocati avevano della professione, la quale veniva appunto percepita come dotata di una dignitas incompatibile con qualsivoglia attività promozionale.
Un orientamento che, contestualizzato, è senza dubbio comprensibile e coerente con il periodo. Tale approccio è stato più volte confermato anche dal Consiglio Nazionale Forense, il quale si è a più riprese schierato contro le iniziative propagandistiche dei professionisti. A titolo esemplificativo, alcuni casi di condotte sanzionate avevano riguardato l’inserimento del proprio nome in grassetto nell’elenco telefonico, ritenuta una pratica più affine a una logica mercantile distante dal prestigio della professione forense, oppure la diffusione di lettere circolari contenenti il nominativo del professionista e i suoi successi professionali, giudicata invece come una forma di pressione sui potenziali clienti.
Nel 1991, sempre il Consiglio Nazionale Forense (CNF) aveva ripreso quasi letteralmente l’orientamento di cui sopra in un caso molto emblematico e spesso citato per la sua importanza rispetto al tema della pubblicità dell’avvocato e della considerazione che di essa si aveva fino a non molti anni fa.
Nel caso di specie, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bari aveva censurato un suo membro in quanto ritenuto responsabile della produzione e diffusione di uno stampato di tenore auto-elogiativo e con chiaro fine pubblicitario, contenente l’offerta di servizi professionali di ogni genere e per ogni settore, con l’ausilio di professionisti di fama nazionale.
Ebbene, in questa circostanza, il CNF aveva confermato la sanzione della censura e respinto il ricorso, riaffermando che “il ripudio di mezzi pubblicitari di ogni genere costituisce tradizione e vanto dell’Avvocatura italiana, che nel corso di decenni ha sempre confermato il rifiuto di forme di emulazione diverse da una dignitosa gara di meriti dimostrati attraverso le opere e lo studio”.
Questo orientamento di chiusura è radicalmente mutato nel 2006 con il c.d. Decreto Bersani, il quale ha abrogato il divieto di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali dopo che con una delibera del 26 ottobre 2002 il CNF aveva modificato l’art. 17 del Codice deontologico consentendo all’avvocato di “dare informazioni sulla propria attività professionale”, delineando al contempo una distinzione chiara tra gli strumenti consentiti e quelli vietati.
Successivamente, il processo di apertura dell’avvocatura nei confronti della pubblicità è proseguito con la c.d. Manovra Bis del 2011 7 e un successivo intervento a distanza di un anno, i quali hanno condotto alla “liberalizzazione” della pubblicità informativa relativa all’attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni.
La più recente modifica in materia risale però al 2016 9 , con la modifica dell’art. 35 del Codice Deontologico che, con l’art. 17 e le delibere del Consiglio Nazionale Forense, contribuisce a delineare le regole attualmente vigenti sui doveri di corretta informazione dell’avvocato.
2. La pubblicità dello studio legale nel rispetto della deontologia
Quando si parla di “comunicazione della professionalità”, rimangono fermi i più generali doveri inderogabili di correttezza, probità, dignità e decoro enunciati dall’art. 9 del Codice 1, i quali inevitabilmente si collocano a confine tra quello che il professionista può fare nella promozione della propria attività, e quello che invece gli è precluso.
Si tratta cioè di quei doveri posti a presidio dell’immagine e della reputazione della professione forense, la cui ratio è chiaramente ravvisabile alla lettura delle norme deontologiche cardine in materia di pubblicità.
L’art. 17 del vigente Codice Deontologico prevede che è consentita all’avvocato “l’informazione sulla propria attività professionale, sull’organizzazione e struttura dello studio, sulle eventuali specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti”, andando quindi a cristallizzare l’apertura definitiva dell’avvocatura alla promozione della propria attività, avviata con quelle riforme menzionate nel precedente paragrafo.
L’elemento di maggiore interesse, però, è contenuto nel comma 2 dell’art. 17, il quale fissa i limiti alla pubblicità degli avvocati e apre al contempo alla diffusione della stessa mediante “qualunque mezzo, anche informatico”.
Quest’ultima precisazione non è però una novità assoluta, in quanto il CNF aveva già escluso un divieto assoluto all’apertura di un sito internet dello studio legale, purché limitato alla sola pubblicità informativa.
Naturalmente, l’avvento delle nuove tecnologie e dello strumento dei social network ha imposto di porre l’attenzione anche su altri e nuovi mezzi di diffusione dell’informazione.
Da questo punto di vista, il Consiglio Nazionale Forense ha sposato il principio secondo il quale “ciò che va di- stinto a fini deontologici non è il mezzo in sé e per sé, bensì l’uso che ne viene fatto e la cerchia di destinatari che, volontariamente o meno, vengano a contatto con l’utente titolare del profilo”.
In altri termini, l’avvocato può utilizzare liberamente qualsiasi strumento offerto dalla società dell’informazione per ragioni private e professionali. Tuttavia, se per le attività compiute a titolo personale non ci sono limiti particolari se non i già citati principi di correttezza, probità, dignità e decoro, considerazioni diverse devono essere fatte per quelle poste in essere in qualità di avvocato o, più in generale, utilizzando il nome dello studio legale.
In quest’ultima ipotesi, subentra l’art. 35 del Codice Deontologico, il quale impone una pluralità di obblighi che, come specificato dal comma 1, riguardano le informazioni sull’attività professionale “quali che siano i mezzi utilizzati per rendere le stesse”.
L’avvocato è innanzi tutto tenuto a rispettare i doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza.
Il rispetto di questi principi enunciati al comma 1 passa attraverso il rispetto degli obblighi imposti dall’intero testo dell’articolo. In particolare, le garanzie di correttezza, verità e trasparenza si concretizzano nei divieti di rendere informazioni comparative con altri colleghi, equivoche, ingannevoli, denigratorie, suggestive o che contengano riferimenti a titoli, funzioni o incarichi non inerenti all’attività professionale.
In ogni caso, l’avvocato deve indicare sempre il titolo professionale, la denominazione dello studio e l’Ordine di appartenenza. Il Codice pone poi l’attenzione sul caso specifico degli avvocati che operino anche in ambito accademico; in questo caso, il titolo di professore compete soltanto ai docenti universitari di materie giuridiche, specificando in ogni caso la qualifica e la disciplina di insegnamento.
La tutela della verità, della correttezza e della trasparenza sono state peraltro al centro di diverse pronunce del CNF, il quale è intervenuto più volte a censurare le condotte di professionisti che avevano attuato comportamenti deontologicamente censurabili quali la pubblicizzazione di servi-zi di consulenza “senza anticipi, senza spese e senza rischi”, o di prestazioni a titolo gratuito o a prezzi simbolici.
Quanto ai principi di riservatezza e segretezza, rilevano i divieti di utilizzare le generalità o le informazioni concernenti professionisti che non siano organicamente collegati allo studio, quelle dei propri clienti – con o senza il loro consenso – e di eventuali colleghi defunti che abbiano in passato fatto parte dello studio, a meno che questi non lo abbiano previsto espressamente per testamento o, in mancanza, non vi abbiano acconsentito tutti gli eredi.
Le menzionate regole deontologiche, sanzionate con la censura, riguardano anche gli iscritti nel registro dei praticanti, i quali hanno l’ulteriore divieto di utilizzare l’appellativo di avvocato sino al conseguimento dell’abilitazione professionale.
3. Adempimenti privacy e regole sui cookie
Se da un lato il Codice Deontologico detta una serie di regole che riguardano l’avvocato in quanto professioni- sta soggetto ad una serie di norme di comportamento, dall’altro è necessario rispettare altre disposizioni che sono invece dettate per la generalità dei soggetti che decidono di creare un sito web. Si tratta, cioè, della disciplina in materia di protezione dei dati personali prevista dal Regolamento europeo UE 2016/679 (GDPR) e dal Codice della Privacy come novellato dal D. Lgs. 10 agosto 2018, n. 101.
Il primo punto da cui partire è senz’altro l’adempimento dei doveri di informazione imposti al Titolare del trattamento 17 dall’art. 12 del GDPR, i quali si sostanziano soprattutto attraverso l’informativa privacy disciplinata dai successivi artt. 13 e 14.
Si tratta forse dell’atto più significativo, poiché da esso è possibile capire l’operato del Titolare in termini di adempimenti privacy. Questo perché mediante l’informativa viene fatto presente in modo esaustivo, chiaro e trasparente quanti e quali dati vengono raccolti, per quali finalità, con quali modalità sono trattati, per quanto tempo vengono conservati, chi vi ha accesso, di quali diritti gode l’interessato, nonché i dati del Titolare e del Responsabile della Protezione Dati (RPD o DPO), se presente.
L’informativa, per la sua importanza, deve essere facilmente accessibile a chiunque, in genere tramite un link collocato nel footer del sito – la barra sempre presente in basso a ciascuna pagina – che conduce direttamente ad una pagina privacy specifica contenente tutti gli elementi prescritti dalla normativa.
Peraltro, il Garante privacy ha recentemente intrapreso la strada della semplificazione, attraverso iniziative volte a sensibilizzare i Titolari all’uso di icone per rendere le informative ancora più chiare e di facile comprensione per gli utenti.
Per poter raccogliere e trattare i dati, però, non è sufficiente un’informativa, ma anche una specifica base giuridica tra quelle previste all’art. 6 del Regolamento, che può essere il consenso dell’utente ma anche una diversa condizione che legittimi il trattamento.
Di quest’ultimo occorre poi tenerne traccia e renderne conto. Per fare questo, occorre che l’avvocato – laddove ricopra la qualità di Titolare del trattamento – inserisca all’interno del registro delle attività di trattamento un apposito spazio dedicato al trattamento dei dati sul sito web, includendovi le informazioni sul titolare, le finalità, le categorie di persone i cui dati sono oggetto di trattamento e quali tra essi vengono trattati, i termini per la cancellazione, la descrizione delle misure tecniche e organizzative adottate e le precisazioni su eventuali trasferimenti dei dati raccolti verso Paesi terzi, aspetto quest’ultimo che riguarderà soprattutto – ma non solo – quegli studi legali internazionali con uffici dislocati in diversi Paesi al di fuori dell’Unione europea.
Da ultimo, l’altra disciplina che è necessario affrontare per avere un sito web conforme alle regole sulla protezione dei dati è quella sui cookie, ossia quei piccoli file di testo necessari affinché il server del sito web che li ha installati possa ottenere informazioni sulla specifica attività che l’utente compie su quelle pagine.
Su questo punto, la premessa da fare è che le regole in materia sono recentemente cambiate con le nuove Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del Garante per la protezione dei dati personali, in vigore dal 9 gennaio 2022.
Pertanto, essendo già trascorso il periodo di adeguamento concesso dall’Autorità consistente in sei mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale avvenuta il 10 luglio 2021, le nuove regole sono attualmente obbligatorie per tutti. Tra le principali novità introdotte, assume rilievo il meccanismo di acquisizione del consenso online trami- te banner. Per consentire all’utente di decidere se accettare o meno l’installazione dei cookie, è necessario cioè che il titolare del sito fornisca un’informativa adeguata che permetta all’interessato di scegliere in modo libero e consapevole se prestare o meno il proprio consenso.
L’unica eccezione è prevista per i siti che utilizzano esclusivamente i c.d. cookie tecnici; in questo caso non sarà necessario predisporre un banner informativo, poiché la loro installazione non necessita di consenso alcuno, ma sarà sufficiente indicare nella home page del sito o all’interno dell’informativa privacy che lo stesso utilizza esclusivamente questa tipologia di cookie.
Considerazioni diverse, invece, devono essere fatte per quei siti che utilizzano altri tipi di cookie, come quelli c.d. di profilazione. In questo caso, nessun cookie o altro strumento diverso da quelli tecnici può essere posizionato all’interno del dispositivo dell’utente al primo accesso o per impostazione predefinita, né tanto meno può essere utilizzata qualsiasi altra tecnica attiva o passiva di traccia- mento.
Ai fini del bilanciamento corretto tra rispetto degli obblighi da parte del Titolare e garanzia della libertà di scelta dell’utente, il Garante ha previsto l’adozione di un meccanismo in base al quale l’utente, accedendo per la prima volta al sito web, possa visualizzare sin da subito un’area o banner semplice e dotato di pulsanti con “X” chiaramente percettibili che consentano al visitatore di effettuare con facilità le proprie scelte di selezione e, soprat- tutto, evitare di compierne di inconsapevoli.
Quindi, come precisato dalla stessa Autorità, il consenso potrà intendersi come validamente prestato “soltanto se sarà conseguenza di un intervento attivo e consapevole dell’utente, opportunamente riscontrabile e dimostrabile, che consenta di qualificarlo come in linea con tutti quei requisiti (libero, informato, inequivoco e specifico, cioè espresso in relazione a ciascuna diversa finalità del trattamento) richiesti dal Regolamento”.
Da un punto di vista delle caratteristiche del banner, queste dovranno essere appositamente pensate per garantire il rispetto delle condizioni viste fino ad ora, oltre alle altre disposizioni del Regolamento europeo.
Ai fini della tutela del diritto all’informazione dell’utente, è necessario che il sito renda edotto chi accede che, con l’eventuale chiusura del banner mediante la selezione dell’apposita X in alto a destra senza aver compiuto una scelta effettiva e specifica sui cookie, ne conseguirà il permanere delle impostazioni di default; ad ogni modo, se queste ultime dovessero consistere nell’utilizzo dei soli cookie tecnici, non ne sarebbe pregiudicata la regolare navigazione.
Qualora i cookie tecnici non siano però gli unici utilizzati dal sito, è naturalmente necessario specificare le altre tipologie di cookie di cui si avvale e le finalità del loro utilizzo mediante un’informativa breve corredata da un link che rimandi l’utente alla privacy policy contenente l’informativa completa, nel rispetto dei già citati artt. 12 e 13 del GDPR.
Ad ogni modo, la libertà del consenso impone, come sot- tolineato dal Garante, l’esigenza di utilizzare comandi e caratteri di uguali dimensioni, enfasi e colori, che siano ugualmente facili da raggiungere, visionare e utilizzare.
Dopo che l’utente ha espresso le proprie preferenze, il banner non dovrebbe essergli riproposto nei successivi accessi per un periodo di almeno sei mesi, fatta eccezione per i casi di significativo cambiamento delle condizioni del trattamento dei dati o quando il provider è impossibilitato a sapere se un cookie tecnico è già stato posizionato nel dispositivo dell’utente.
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