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Dopo ben 43 anni il Congresso Nazionale dell’Avvocatura italiana ritorna ad essere celebrato a Catania. L’Avvocatura Catanese e Siciliana tutta, la Città, nelle sue massime autorità, attende con autentico orgoglio l’evento, che organizzato con la cura e l’attenzione che merita, è gravido di una aspettativa, scientifica culturale, altissima, prefiggendosi la costituenda assise di giungere, al termine dei lavori, alla piena affermazione del ruolo sociale dell’avvocato quale “guardiano” dei principi fondamentali della civiltà giuridica, garante del rispetto dei diritti umani fondamentali, costituzionale baluardo della democrazia, sino a giungere a postularne l’imprescindibilità del suo riconoscimento in seno alla Costituzione. Così, dopo avere superato il lungo, dividente ed a tratti sterile, dibattito sulla propria rappresentanza - dibattito che, iniziato a Venezia nel lontano 1992 al XXI Congresso Nazionale, si è concluso appena lo scorso Congresso a Rimini, con la fine dell’esperienza dell’OUA e la nascita del nuovo organismo politico del OCF - l’Avvocatura ricomincia nel suo cammino congressuale ad occuparsi nuovamente e finalmente di sé, proponendosi di rivendicare, a tutti i livelli, la sua dignità professionale, purtroppo in questi ultimi tempi troppe volte strumentalmente mortificata, e ciò, non certo per autoreferenziali o corporativistici obiettivi, ma nella salda certezza che senza un’Avvocatura forte ogni diritto è debole. Sbaglierebbe chi leggendo gli intenti del congresso, reputandoli tautologici, li giudicasse non pienamente in linea con i problemi in cui oggi versa l’Avvocatura, esprimendo, così, criticamente l’idea che, forse, sarebbe stato meglio affrontare, in questa sede, i temi più concreti degli affanni giudiziari legati a una legiferazione sempre più asistemica ed a condizioni logistiche e strutturali sempre più degradanti. Tali ultimi gravi ed evidenti problemi non sono certo di minor conto - né sono mai stati dimenticati dai nostri esponenti nazionali e distrettuali, sempre in prima linea nella ricerca di un dialogo “istituzionale” funzionale alla loro risoluzione - ma sono sicuramente secondari alla difesa del nostro ruolo sociale ed alla asserzione di inviolabilità della permanenza dell’avvocato nel sistema giustizia, che non può prescindere da un inserimento della professione tra quelle costituzionalmente garantite. In questa ottica direzionale non v’è chi non veda la propedeutica assoluta necessità che l'Avvocatura rievochi, nelle coscienze civili, il ruolo attivo che gli è sempre stato proprio, imponendo, a tutti i livelli del panorama dialettico italiano, argomentazioni volte a consolidare il convincimento - ontologico per la verità - della imprescindibilità della sua azione.
In un epoca, infatti, nella quale la nostra professione viene spesso attaccata e considerata, con grave mortificazione, un mero ammortizzatore sociale, per i suoi molti componenti - considerati applicati alla pratica forense per ragioni molto lontane dalla scelta vocazionale-; dove l’opinione pubblica, ingiustamente, spesso considera la classe come una delle cause più incisive delle lungaggini processuali; in un momento storico nel quale si vorrebbe che l’avvocato divenisse mero prestatore di servizi; in una società dove ogni diritto deve piegarsi alle logiche di mercato e ciò anche a prezzo di sacrificare i diritti umani addirittura fondamentali; è ovvio che Noi rischiamo di ridurci a mero intralcio da eliminare, legno posto di traverso nella strada del deteriore progresso economico (alias ricchezza di pochi sullo sfruttamento di molti). Il dire non è inedito romanzo, né invenzione di improbabile realizzazione, ma mero racconto, di storia recente. Gli attacchi all’Avvocatura, al suo decoro, ed al suo autogoverno sono già stati sferrati. Per ricordare solo alcuni passaggi: dall’abolizione dei minimi tariffari stabiliti dalla legge Bersani, allo sforzo, di Tremontiana memoria, di sopprimere gli ordini, ancora nel più recente 2011 al tentativo perpetrato sotto il “governo Monti” di sottoporre anche l’Avvocatura alle volontà governative sottraendola alla normazione primaria, senza dimenticare il più volte paventato intento di sopprimere la Cassa al fine di annettere i denari privati dell’Avvocatura all’economia dello Stato. Da ultimo anche la magistratura indipendente, innanzi alla più che legittima istanza di valorizzazione dell’opera forense all’interno dei consigli giudiziari, in una sua nota “ribadisce la sua netta contrarietà all'idea di rafforzare il ruolo degli avvocati nei Consigli Giudiziari, con particolare riferimento alle valutazioni di professionalità dei magistrati”. Insomma, ogni azione svela la volontà di delegittimare la funzione dell’avvocato ponendo la sua figura ai margini della società addirittura, come detto, ad eliminarlo, se del caso, a tutto vantaggio dei poteri economici e a tutto detrimento dei diritti democratici fondanti e fondamentali, realizzando così che tutto vada senza qualificati controllori in una libertà assoluta e pericolosissima di agire. Così il presidente del CNF Andrea Mascherin in un evento milanese riportato dal “Dubbio” dichiara:«Si cerca di ridurre la difesa a costo da tagliare. E si tenta di farlo anche perché il sistema di controllo dei popoli basato sul primato dell’economia trova un ostacolo proprio in noi avvocati. Noi siamo custodi delle garanzie, loro sono i profeti del Pil. Noi affermiamo una democrazia solidale, loro pretendono di trasformare tutti in consumatori incapaci di esprimere dialettica. Ecco perché», spiega ancora il presidente del Cnf, «va affermata la libertà e l’indipendenza dell’avvocato in Costituzione: per sancire il primato del diritto come soluzione dei conflitti rispetto al primato dell’economia».
Alla luce di questo panorama il nostro Presidente nazionale, giustamente, sente di dichiarare che “Il vertice dell’Avvocatura istituzionale pone i colleghi di fronte all’urgenza di una battaglia, quella «in difesa della democrazia solidale»”, battaglia, si aggiunge, che non può che essere condotta se non da un’Avvocatura consapevole della propria funzione sociale, tesa al diritto di difesa, ed alla tutela di tutte le prerogative essenziali di una democrazia liberale, ponendosi nel proprio operare quale costante ostacolo alla conservazione e all'espansione dei poteri antidemocratici. L’impegno anzidetto è strettamente correlato al progetto di rafforzare il rilievo costituzionale della professione forense con una riforma, già elaborata dal CNF, di intervenire nel corpo dell’art. 111 della Costituzione attraverso una novellazione sintetica ed efficace che riconosca il ruolo pubblicisticamente rilevante dell’Avvocatura ma nel rispetto della natura libera della professione. Si è certi che il Congresso di Catania diverrà punto di partenza per una richiesta forte, unitaria e consapevole che, onorando, ancora una volta, la lunga storia dei congressi dell’Avvocatura - che sin dal loro inizio nel lontano 1872, si sono posti come luogo di confronto sociale e specchio delle esigenze del popolo tutto - si imporrà quale esigenza imprescindibile, non solo per la classe ma nell’animo di ognuno, arrivandosi a determinare la modifica costituzione che ci si è prefissi. Certo tanto comporterà anche un percorso di autocritica che, dobbiamo accettare sin d’ora, potrà arrivare ad essere severa, ma alla quale l’Avvocatura non si sottrarrà, abituata com’è ad avere, quotidianamente, innanzi quale campo della propria indagine la verità. Con l’augurio di un ottimo lavoro ci sia concesso di congedarci con una delle immagini più vere e animate che sia mai stata resa sulla nostra professione e che ci è stata imperituramente regalata dal nostro già Presidente Nazionale Pietro Calamadrei: "Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore.
Ma l'avvocato no. (…) L'avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L'avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità".
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