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Sommario: 1. Il “principio fondamentale” dello sviluppo sostenibile e l’avvocatura – 2. Transizioni e interesse delle future generazioni – 3. Transizione tecnologica e “riserva di umanità” – 4. Giustizia e tecnologia – 5. Digitalizzazione, intelligenza artificiale e avvocatura – 6. L’avvocatura di fronte alle nuove sfide – 7. Il futuro dell’avvocatura alla ricerca di un equilibrio
1. Il “principio fondamentale” dello sviluppo sostenibile e l’avvocatura
La recente riforma degli artt. 9 e 41 della Costituzione nel 2022 promuove oggi un nuovo “principio fondamentale” dello sviluppo sostenibile, già ampiamente elaborato in ambito internazionale.
Da esso nasce la necessità di una svolta radicale. Lo sviluppo sostenibile esprime l’esigenza di equilibrio e di contemperamento fra interessi e soggetti diversi: il presente e il futuro; il benessere e sviluppo e il progresso tecnologico con la conservazione delle risorse; il rapporto tra popoli poveri e in sviluppo e popoli “benestanti”; l’uso equilibrato delle risorse e le esigenze delle generazioni future.
La riforma aggiunge esplicitamente all’art. 9 la tutela dell’ambiente, la biodiversità, gli ecosistemi e l’interesse delle future generazioni.
Si dimostra così che la Costituzione è sempre attuale; deve e può essere aggiornata senza demolirla; soprattutto deve essere attuata.
Si aggiungono all’articolo 41 il divieto di recar danno alla salute e all’ambiente e la necessità e possibilità di indirizzare e coordinare l’economia pubblica e privata a tali fini.
La riforma consolida il rapporto fra passato e futuro già avviato con l’interpretazione della Costituzione dalla Corte costituzionale, dai “pretori d’assalto”, dalla dottrina e dall’avvocatura, sino a raggiungere e a smuovere un’opinione più ampia e globale.
È necessaria una “nuova” lettura e cultura della sociale, di solidarietà e di rispetto della diversità – di fronte alla paura dei costi elevati e dei sacrifici necessari per portare il nostro pianeta ad una vivibilità e ad una godibilità diverse da quella che abbiamo consolidato; di fronte al pericolo del “sonno” o della scomparsa della cultura tradizionale. È una transizione non solo ecologica ma anche tecnologica e prima “culturale”.
La sua importanza deve essere colta dall’avvocatura: sia nell’esercizio della sua “funzione sociale”, con l’impegno ad una maggiore conoscenza dei valori fondanti della Costituzione e dell’equilibrio fra diritti e doveri in essa; sia nell’esercizio delle prestazioni professionali, come stimolo a cogliere la portata del cambiamento in atto e l’impatto che il principio dello sviluppo sostenibile ha sulle leggi, soprattutto nei settori dell’ambiente e dell’attività di impresa.
La riforma propone un forte stimolo alla promozione e allo sviluppo della cultura che sono ostacolati dalla tendenza alla cancel culture e dal “presentismo”.
È uno stimolo (politico, organizzativo e legislativo) a considerare lo sviluppo “sostenibile” non in vista delle esigenze dell’economia, ma di quelle della persona, della comunità e dell’ambiente in cui la persona si realizza.
La nuova prospettiva coinvolge profondamente l’organizzazione di impresa; la libertà di iniziativa economica e i suoi limiti; il rapporto tra profitto e ambiente; la necessità di un nuovo rapporto tra principi e regole.
È una sfida importante per gli operatori del diritto.
2. Transizioni e interesse delle future generazioni
La riforma dell’articolo 9 e dell’articolo 41 della Costituzione propone una nuova sfida, attraverso il richiamo alla biodiversità e all’interesse delle generazioni future, sulla scorta di un’indicazione della Corte costituzionale tedesca nel 2021 e di altre iniziative giudiziarie in diversi paesi.
La considerazione dell’ambiente come “bene comune” e globale aiuta a superare una concezione limitata agli interessi nazionali, perché il degrado dell’ambiente non conosce confini. Si pensi agli incidenti nucleari che ormai hanno fatto storia e che si ripropongono drammaticamente come strumenti e tattiche per la guerra di aggressione.
Emergono temi nuovi che non possono essere trascurati dall’avvocatura di oggi e di domani: i diritti di chi non è ancora nato; i diritti dei giovani già ora esposti ai rischi del cambiamento climatico; l’equilibrio che deve trovarsi tra le due categorie; i diritti dei più fragili, come i migranti, i detenuti, gli anziani, i bambini.
L’articolo 41 aggiunge il riferimento ai fini ambientali – oltre a quelli sociali – per i programmi e i controlli opportuni che la legge determina perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata.
Sembra difficile chiedere una risposta più chiara, esplicita e univoca alla domanda: uno sviluppo sostenibile per chi? Per il mercato e il profitto o per la persona e la natura?
L’indicazione dell’articolo 41 apre un problema sui limiti alla libertà ed autonomia contrattuale e sull’eventuale intervento correttivo del giudice a tal fine, come testimonia il primo confronto-scontro tra tutela del paesaggio – la cui conservazione costituisce tuttora un valore fondamentale – o dell’ambiente e la produzione energetica, come nel caso delle “pale eoliche”.
Occorre riconoscere nelle pandemie e nelle guerre dei segnali importanti di insostenibilità dell’attuale organizzazione sociale; e valutare in quale modo ed a quale prezzo si può realizzare il necessario cambiamento di essa.
Due aspetti conseguenti sono problematici. Il primo è il rispetto del principio di legalità.
Più si dilatano i confini e il contenuto degli obblighi, più si rischia di rimettere la loro definizione alla scelta di un giudice in concreto, con una confusione tra principi e regole.
Il secondo è il rispetto dell’equilibrio tra i valori in gioco; l’attenzione alle generazioni future non si può comunque risolvere nel sacrificio sproporzionato di quelle attuali e viceversa.
Alle preoccupazioni crescenti per il prezzo pagato dalla persona allo sfruttamento della natura attraverso l’uso spregiudicato della tecnologia, si sono aggiunte in questo tempo ulteriori e gravi preoccupazioni per il prezzo che la persona rischia di dover pagare allo sviluppo di quella tecnologia nella c.d. “civiltà delle macchine”.
Il percorso dell’intelligenza artificiale ci pone di fronte alla capacità – effettiva o presunta – della macchina di produrre un risultato accettabile per un pensiero e un ragionamento umano; di fronte alla possibilità di utilizzare a tal fine i dati acquisiti e di tradurne l’elaborazione in conclusioni ed espressioni linguistiche o iconiche.
Sorge il timore della “algocrazia”: la dittatura degli algoritmi o meglio di chi li gestisce. È sufficiente ricordare le implicazioni dell’intelligenza artificiale nel rapporto tra giustizia e sicurezza e in quello tra gli strumenti regolatori di esse. È meglio procedere con l’elaborazione di nuove regole per la dimensione digitale; oppure adeguare ad essa gli strumenti esistenti?
La scelta dell’Unione Europea è stata prevedere una disciplina ad hoc, direttamente applicabile perché adottata con Regolamento. L’AI Act dopo una lunga e faticosa elaborazione ha regolato l’intelligenza artificiale con lo scopo (qualcuno pensa con l’illusione) di rispettare e tutelare i diritti fondamentali, la dignità, la privacy e l’identità delle persone.
È una regolamentazione molto dettagliata e complessa; rischia però di comportare difficoltà burocratiche e applicative. L’eccesso di complessità conseguente alla molteplicità dei problemi da affrontare può spingere a una specializzazione “deresponsabilizzante” perché esasperata di fronte alla complessità della vita e dei problemi da affrontare; può rappresentare un ostacolo al progresso scientifico.
La scelta dell’Unione Europea segue una traccia già ampiamente segnata – se pure con molte difficoltà – nel percorso verso l’unità europea attraverso la ricerca del difficile equilibrio tra interessi (soprattutto economici, ma anche politici) e diritti.
3. Transizione tecnologica e “riserva di umanità”
Il diritto è chiamato in causa per conformare l’intelligenza artificiale ai valori fondamentali della convivenza. Dignità, autonomia e libertà delle persone, integrità e sicurezza nel rapporto fra uomo e macchina diventano fondamentali. Esse sono a rischio in un “mondo digitale” che non si limiti ad interventi di miglioramento ed aiuto all’attività umana, ma che miri a sostituire quell’attività; tuttavia solleva una serie di problemi competitivi – per quantità e complessità delle alternative e difficoltà di soluzione – con quelli aperti dal riscaldamento globale e dal cambiamento climatico.
Lo sviluppo di questa nuova realtà ha portato all’apertura di due fronti: uno di ordine etico, ad esempio per quanto riguarda il problema delle immigrazioni di massa; l’altro di ordine sociale ed economico, ad esempio per quanto concerne il problema del lavoro e della rinnovazione nei suoi contenuti, rispetto a quelli già tradizionali e consolidati.
Si pone il tema delle decisioni che possono essere prese dalla macchina in conseguenza del suo autoapprendimento; e quello dell’equilibrio nel rapporto tra macchina e persona umana a seguito della crescita smisurata e non agevolmente prevedibile delle potenzialità della prima.
È giusto esprimere perplessità di fronte ad un futuro (anzi un presente) che non sappiamo cosa in realtà ci riserva sotto molteplici aspetti, da quello geopolitico a quello sociale, culturale ed economico, prima ancora etico.
Non si tratta di rimanere ancorati ad un passato “rassicurante”; ma di governare il futuro anche attraverso il richiamo a quei principi consolidati che hanno rappresentato (o avrebbero dovuto rappresentare) il nucleo della storia, civiltà e cultura europee.
La ricerca di un denominatore comune per tutte le varianti applicative dell’intelligenza artificiale in continuo aumento sembra riconducibile ad una “riserva di umanità”.
Su di essa insistono gran parte degli osservatori e degli studiosi della materia. Essa richiede un impegno importante anche da parte dell’avvocatura.
4. Giustizia e tecnologia
Il tema della giustizia è particolarmente significativo per il confronto tra passato e futuro, che si traduce in ultima analisi nelle due soluzioni estreme del giudice-uomo e del giudice-robot. Per quest’ultimo aspetto l’obiettivo sembra essere all’apparenza quello della giustizia del precedente: il giudice come bocca del computer, non più della legge, del sovrano o da ultimo del popolo.
La macchina dovrebbe essere priva di discrezionalità. Dovrebbe scegliere quali regole matematiche applicare per la soluzione del caso attraverso un “ragionamento” probabilistico fondato sull’esame dei precedenti, anziché attraverso un ragionamento tradizionale interpretativo.
Il compito affidato alla macchina – alla luce dell’afflusso delle richieste e della entità del patrimonio informativo raccolto – è logicamente orientato verso la quantità dei casi, la velocità e l’efficienza delle risposte da elaborare; più che verso la qualità di queste ultime e la specificità dei singoli casi.
La giustizia è notoriamente in crisi. Non sembra aver trovato soluzioni costruttive di fronte allo scontro tra giudici e avvocati; al sostanziale disinteresse della politica per le sue molteplici emergenze dalla lentezza dei processi al dramma del carcere; al risveglio della politica solo di fronte a vicende dirompenti o enfatizzate, ritenute a danno o a favore dell’una o dell’altra fazione.
I principi tradizionali – come la responsabilità penale personale in senso oggettivo e soggettivo e/o la presunzione di non colpevolezza – sembrano perdere senso di fronte alle più recenti esperienze di studio e di “potenziamento” del cervello umano e alla evoluzione del progresso tecnico.
Di fronte ai risultati raggiunti dalla macchina nella sua pretesa “capacità” di cogliere, fissare, rappresentare e “esteriorizzare” sentimenti, passioni, emozioni, pensieri, dubbi che in precedenza erano “patrimonio esclusivo” della mente umana.
Nella ritenuta “solidità” del “referto” robotico si dimenticano i suoi limiti: la possibilità di errori nella sua “alimentazione”; i bias derivanti dalla sua formazione e dagli eventuali pregiudizi nei dati che la macchina riceve ed elabora; la mancanza di una vera e sicura sua neutralità apparente; la opacità del suo “ragionamento” e della “scatola nera” che lo contiene.
È assai difficile, costoso e complesso – anche se non impossibile – ovviare almeno in parte a questi deficit con i principi del processo tradizionale: il diritto di difesa; il contraddittorio tra le parti; l’obbligo di motivazione; l’impugnazione.
Sono troppo noti e drammatici i limiti del giudizio umano che emergono dalla crisi della giustizia in tutti i suoi aspetti.
Nascono dalla complessità e dalla confusione della legge e dal pluralismo delle sue fonti; dalla sovrapposizione del “diritto vivente” nella interpretazione giurisprudenziale al formalismo del “diritto morente” di una legge troppo spesso obsoleta; dalle mancate o disorganiche riforme dell’ordinamento giudiziario e dell’organizzazione della giustizia per rispondere alla sempre crescente domanda di giustizia.
È forte la tentazione di preferire a questo punto il giudizio della macchina anziché quello della persona, pur di avere un prodotto giustizia neutrale, efficiente, veloce; ma richiede un prezzo troppo elevato.
È costituito dalla necessità di rinunziare alle “riserve di umanità” della giustizia e del giudizio; alla emotività e alla empatia; al dubbio ragionevole; a una conoscenza che vada al di là della “apparenza perfetta” di una “conoscenza di tipo algoritmico”.
Quest’ultima può forse cogliere alla perfezione le varianti e le peculiarità del caso da decidere.
Ignora comunque il significato concettuale ed umano delle parole che usa e svaluta l’importanza della sua specificità.
5. Digitalizzazione, intelligenza artificiale e avvocatura
Risultano fondamentali prudenza e educazione digitale del giudice, del pubblico ministero e dell’avvocato; tutela dei diritti umani; garanzia della dimensione umana della giustizia.
La mancanza di questa prospettiva può condurre alle conclusioni di recenti ricerche negli Stati Uniti sul “forum shopping” dei diritti e dei giudici fondato su un modello di intelligenza artificiale che prevede l’esito della decisione “senza guardare la legge o il fatto” concreto ma i dati biografici e la “storia decisionale” del giudice cui la decisione venga affidata previa una “profilazione” di esso.
Si può così orientare la scelta dell’avvocato che tutela la parte nel processo tra l’agire o resistere e accettare una mediazione.
Un “trionfo” della logica del profitto e dell’efficientismo rispetto a quella del diritto cui siamo abituati per tradizione e per conoscenza personale; un “revival” della mediazione e della sua funzione deflattiva per una giustizia sovraccarica di pendenze e arretrato, al di là del suo significato di dialogo e di responsabilizzazione dei contendenti.
Il diverso orientamento dell’Unione Europea è fondato invece sull’entità e sulla gradualità del rischio insito nell’uso degli strumenti tecnologici più aggiornati, perfezionati e recenti.
È un uso che deve garantire in primo luogo i principi di sicurezza, di trasparenza, di tracciabilità, di non discriminazione e di rispetto dei diritti fondamentali della persona e dell’ambiente.
Appare ragionevole l’ammonimento della Federazione degli Ordini Forensi europei ai suoi aderenti nel giugno 2023 con riferimento alle linee-guida per l’utilizzazione responsabile di modelli linguistici di grandi dimensioni e per i loro rischi e vantaggi negli strumenti di intelligenza artificiale generativa.
Strumenti che già ora sono accessibili nello sviluppo e nella trasformazione dei servizi legali e vengono offerti agli utenti. Si tratta di linee-guida a carattere generale: la comprensione della tecnologia della intelligenza artificiale; il riconoscimento dei suoi limiti e contesti; il rispetto delle regole esistenti per essa; la loro integrazione con le competenze legali; il segreto professionale; la privacy e la protezione dei dati personali; l’informazione dei clienti e le responsabilità.
Sono iniziative opportune nel contesto odierno di enfatizzazione dell’intelligenza artificiale nei suoi aspetti positivi e negativi, soprattutto da parte delle grandi imprese impegnate nella ricerca di sistemi sempre più complessi ed articolati secondo una logica di profitto, di “pubblicità”, di concorrenza e di mercato ormai dominante in tutti i campi.
Quella logica ancora una volta sottolinea l’urgenza di una transizione culturale, prima di quelle tecnologica ed ecologica.
6. L’avvocatura di fronte alle nuove sfide
In un contesto di globalizzazione e di crisi i cui effetti incidono moltissimo sulla persona, soprattutto sui più deboli; in un processo di evoluzione tecnologica in cui abbiamo a disposizione una serie di strumenti tecnici che possono e devono aiutare, ma non sostituire né il ruolo del giudice né quello dell’avvocato; vanno conservate gelosamente le “riserve di umanità” della giustizia.
A tal fine occorre una riflessione profonda sulla deontologia e sulla formazione professionale sia per l’accesso alla professione che per l’esercizio di essa; sulla conoscenza e sulla capacità (che diventa un dovere) di usare tutti i mezzi tecnologici a disposizione nell’attuale crescente sviluppo delle tecnologie; senza arrendersi al fascino e al dominio delle macchine, all’illusione del “giudice o dell’avvocato robot”.
Il tema della responsabilità sociale governerà il problema della professione nel suo mutamento. Lo confermano tre fonti autorevoli.
La prima è la Presidente della Cassazione; nell’ultima inaugurazione dell’anno giudiziario del Consiglio Nazionale Forense ha ricordato gli articoli della Costituzione da cui nasce il riconoscimento testuale che “l’avvocatura è coprotagonista della giurisdizione nell’attuazione dei principi di dignità e di libertà, l’equilibrio nasce dal rispetto reciproco; da quello delle garanzie, dal rapporto tra processo e informazione; dalla coesione che deve esserci tra avvocati e giudici per consolidare l’autorevolezza della giustizia di fronte a tutti i nuovi problemi, [che] nasce dalla necessità di una comune cultura della giurisdizione, in una società in divenire e che la tecnica rischia di condizionare a una nuova concezione di giustizia”.
Le riflessioni di una nuova disciplina hanno un rigore etico uguale e comune per i giudici e per gli avvocati. Non c’è una classe eletta e una subordinata. Si richiede la partecipazione dell’avvocatura al governo autonomo della magistratura sia a livello centrale che a livello locale, non un diritto di tribuna.
Il contributo dell’avvocatura è essenziale proprio per l’organizzazione degli uffici giudiziari e per assicurare quella qualità efficienza e tempestività delle decisioni che è fondamentale per l’efficienza della giustizia. Queste riflessioni avrebbero dovuto essere accolte dalla nuova legge forense n. 247 del 2012, richiesta da lungo tempo. Invece essa ha fallito il suo obiettivo e adesso si pensa - lo ricordava la presidente del Consiglio Nazionale Forense precedente - dovrà trovare sviluppo in una nuova legge. Questa dovrà adeguare effettivamente norme e principi, dopo tutto quello che abbiamo passato in questo periodo a cominciare dal Covid. Quest’ultimo ha provocato incertezza nell’applicazione, modifiche e disapplicazione di fatto della legge in un contesto di divisione continua tra la magistratura e l’avvocatura. La legge si è irrigidita in alcune deformazioni di tipo corporativo che le hanno impedito di funzionare come avrebbe potuto e dovuto.
Questo discorso si traduce nell’ammonimento del Presidente della Repubblica il quale, in occasione della sua prima elezione nel 2017, si era soffermato ampiamente sull’elogio del ruolo e del prestigio della magistratura alla luce delle vittime e dei contributi che essa, con le forze dell’ordine e altri esponenti della vita sociale hanno dato alla lotta contro la criminalità organizzata.
Nel messaggio della seconda elezione, nel febbraio del 2022, il Presidente della Repubblica ha chiesto un profondo processo riformatore della giustizia, testuale, “diventata un terreno di scontro che ha fatto perdere di vista gli interessi della collettività”.
In quel messaggio il Presidente chiede il superamento delle logiche di appartenenza e un profondo rigore per recuperare fiducia nella giustizia.
È un discorso rivolto soprattutto alla magistratura, ma coinvolge anche l’avvocatura; chiama anch’essa ad assicurare che il processo di riformatore si realizzi recuperando appieno prestigio e credibilità alla funzione giustizia e allineandola agli standard europei.
Insomma, in questi dieci anni non sembra cambiato molto dei problemi dell’avvocatura, se non nel livello e nell’asprezza dello scontro tra avvocati e magistrati favorito dall’inerzia della politica e dal ruolo sussidiario della magistratura.
Un ruolo non più di accertamento di fatti, responsabilità singole e sanzioni che riguardano la persona; ma in una prospettiva di contrasto ai sistemi criminali, poi corruttivi, poi di mala gestio della pubblica amministrazione.
La crescita della domanda di giustizia e la disorganizzazione nella risposta ad essa hanno aggravato questo cambiamento di ruolo della magistratura.
Sembra che la politica abbia gestito un progressivo distacco dai temi della giustizia, protestando quando quest’ultima bastona esponenti della propria parte o elogiandola quando bastona quelli dell’altra parte.
Non si è colta la nuova e crescente domanda di giustizia che è diventata ormai stratosferica. Di fronte al multilevel delle fonti non solo nazionali, ma anche sovranazionali; di fronte alla necessità di supplire alle carenze del formalismo attraverso l’effettività e la concretezza della decisione; di fronte alla necessità di evitare il tracimare della giustizia in una illusoria richiesta di sicurezza se non di moralità e di etica della società si impone la necessità di un cambiamento.
7. Il futuro dell’avvocatura alla ricerca di un equilibrio
Le transizioni ecologica, tecnologica e soprattutto culturale sono inevitabili; non è facile trovare un equilibrio fra loro.
Esso può essere preservato attraverso il rispetto delle garanzie; il rapporto tra processo e informazione; la coesione che deve esserci tra avvocati e giudici per consolidare l’autorevolezza della giustizia in molteplici aspetti, problemi e novità.
Nasce dalla necessità di una comune cultura della giurisdizione in una società in divenire.
La professionalità, il rigore etico, le responsabilità di entrambi i protagonisti – giudice e avvocato – sono eguali e comuni; richiedono e legittimano la partecipazione dell’avvocatura al governo autonomo della magistratura a livello centrale e locale nell’organizzazione degli uffici giudiziari.
L’avvocatura di oggi e di domani non deve lasciarsi coinvolgere in una “guerra” contro la magistratura e in una dimensione corporativa, anziché promuovere un dialogo costruttivo in difesa dei diritti inviolabili del cliente e di tutti.
La riflessione sulle transizioni amplia le prospettive della professione. Apre la via a conseguenze importanti sulla c.d. responsabilità sociale dell’avvocato; sulla deontologia; sulla formazione professionale.
La responsabilità sociale è parte integrante della professione. Richiede la difesa dei diritti umani e l’impegno verso la collettività, oltre che verso il cliente. Si traduce nel dovere di rispettare i diritti di chi non è coinvolto nel rapporto professionale, ma ne subisce i riflessi.
Ciò non vuol dire “funzionalizzare” al perseguimento di fini sociali la professione, che è e resta una, anzi la prima professione liberale. Significa rifiutare qualsiasi pretesa più o meno surrettizia di trasformare la professione in un “servizio” nella logica di impresa.
Occorre seguire l’insegnamento dell’art. 41 e prima ancora degli articoli 2, 3 e 4 della Costituzione per la tutela della dignità umana come limite in negativo, oltre che come obiettivo in positivo della professione.
In una prospettiva nuova rispetto a quella tradizionale della deontologia forense, il riferimento alla pari dignità sociale è espressione riassuntiva di tutti i valori costituzionali.
La difesa riveste un ruolo istituzionale e costituzionale nel processo (art. 24 Cost.) e l’avvocato è un protagonista fondamentale nell’amministrazione della giustizia.
L’opzione per la “separazione delle carriere” fra giudice e pubblico ministero è una richiesta consolidata che si fonda su ragioni emblematiche; ma quanto aiuta a risolvere la crisi attuale negli aspetti concreti di una risposta di efficienza e a che prezzo?
Di fronte all’attuale e permanente crisi della giustizia in tutti i suoi aspetti e alle difficoltà per la sua soluzione sono indispensabili la corresponsabilizzazione e il coinvolgimento dell’avvocatura, segnatamente attraverso le sue strutture istituzionali ed associative.
La centralità dei diritti umani nell’ambito delle transizioni culturale, tecnologica ed ecologica e la sempre crescente valorizzazione del ruolo dell’avvocato con riferimento a queste ultime sono fondamentali in un contesto di post-globalizzazione e di crisi i cui effetti incidono pesantemente sulle persone (soprattutto sui più deboli).
La sfida del futuro consiste nel cogliere le opportunità degli strumenti tecnologici e del loro sviluppo, senza arrendersi al loro fascino e al “dominio” delle macchine sull’uomo.
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