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Il processo telematico in Cassazione: opportunità e rischi per l’avvocato

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Elena Bruno Marco Menicucci

Il 31 marzo 2021 ha rappresentato una svolta epocale per il giudizio di legittimità. È venuta finalmente meno la grave stortura del processo telematico costituita dal fatto che esso riguardasse Tribunali e Corti d’appello, aventi competenza territoriale limitata alla propria circoscrizione o distretto, mentre fosse escluso per la Cassazione, avente invece competenza sull’intero territorio nazionale. Questo paradosso era stato ingigantito dal Covid-19. Nei gradi di merito si gestiva l’emergenza rendendo obbligatorio il telematico anche per gli atti di costituzione, la risposta del grado di legittimità stava invece in sostanza nel rispolverare l’art. 134 disp. att. c.p.c., norma che i più – anche chi scrive – avevano sempre volutamente tralasciato: non fidandosi di consegnare il fascicolo alle Poste e ad un’incontrollabile successiva consegna al cancelliere, preferivano invece inviarlo al proprio corrispondente romano tramite corriere, così da avere certezza dell’avvenuto deposito. In pratica, mentre nei gradi di merito la salvezza era guardare al futuro ed all’innovazione telematica, la Cassazione si difendeva guardando al passato e riportando in auge una norma antica. L’inizio del processo telematico nel grado di legittimità apre enormi opportunità e naturalmente qualche criticità, su cui ci si vuole soffermare perché alcuni rischi sembrano non essere ancora emersi del tutto nel dibattito pubblico, nonostante siano già assolutamente attuali.

Un’opportunità: potrà venire meno l’autosufficienza (o almeno cambiare radicalmente)?

La prima considerazione attiene alle possibili evoluzioni del principio di autosufficienza, così come variamente interpretato dalla Cassazione, anche alla luce del Protocollo con il CNF del 17 dicembre 2015. Pur dovendosi ricordare che vi sono state pronunce d’inammissibilità di ricorsi redatti nel rispetto del Protocollo – il quale richiedeva, anziché la trascrizione, «la specifica indicazione del luogo (punto) dell’atto, del documento» – è evidente che il suo spirito esce rafforzato dal fatto che il Consigliere relatore abbia a propria disposizione i documenti e possa aprirli, magari con l’ausilio di un collegamento ipertestuale, anche senza essere fisicamente a Roma o senza avere con sé il “fascicoletto” di cui parla il Protocollo stesso.

Sarà allora considerato sufficiente che l’avvocato indichi dove si trova il passaggio che interessa, senza trascriverlo? Insomma, questa potrebbe essere l’occasione per superare uno degli snodi più critici (e criticati) del ricorso per cassazione. Il mai sopito conflitto tra il severissimo onere di trascrivere ed il più semplice onere d’indicare e localizzare vedrà prevalere quest’ultimo? Ci si augura davvero di sì.

Un rischio: il (mancato) deposito dei fascicoli dei gradi precedenti.

L’onere d’indicazione e localizzazione ci porta ad un’ulteriore considerazione relativa al deposito dei fascicoli dei gradi di merito, stimolata anche dall’esperienza personale di chi scrive. La partecipazione alla fase sperimentale, consistita nell’effettuare depositi telematici senza valore legale già prima del 31 marzo, ha posto subito davanti ad un grande dilemma. Se gli atti ed i documenti dei fascicoli di merito sono in prevalenza cartacei, la strada del processo telematico si può rivelare molto faticosa per l’avvocato, chiamato a dover scansionare tutto per poter depositare telematicamente. È chiaro come possa sorgere la tentazione di non avvalersi del telematico, e ciò è accaduto a chi scrive, in maniera un po’ paradossale: finché si è potuto depositare telematicamente senza valore legale, lo si è fatto volentieri, limitandosi a depositare quanto andava nel “fascicoletto”, facendo leva sul fatto che quel deposito telematico (senza valore legale) sarebbe stato seguito da un deposito cartaceo (con valore legale). Ma quando si è presentata l’occasione di effettuare il deposito telematico con valore legale, si è preferito il cartaceo per non avere l’onere di scansionare tutti gli atti ed i documenti del processo. È evidente che sul punto ci sono tre considerazioni da fare. Innanzitutto, questo problema riguarda anche l’appello, da quando la normativa emergenziale ne ha reso obbligatorio il deposito telematico. Ma in questo caso il materiale da depositare (che è un po’ meno di quello che riguarda il grado di legittimità, visto che lì si aggiunge anche ciò che riguarda il secondo grado) è tutto necessario per la decisione di merito. In Cassazione, invece, il deposito dell’intero fascicolo appare nella magdigior parte dei casi ultroneo, visto che il Collegio non 83 esaminerà altro che gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda (art. 369 n. 4 c.p.c.), vale a dire quelli che sono contenuti nel “fascicoletto”. E quindi l’avvocato farà probabilmente più volentieri lo sforzo utile (vale a dire la scansione e le attestazioni di conformità per l’appello) piuttosto che quello inutile (cioè le stesse operazioni per il giudizio di legittimità). Soprattutto, essendo il deposito telematico in tale ultima ipotesi facoltativo, appare concreto il rischio che il legale scelga ancora la strada del cartaceo.

Si può naturalmente sostenere che, in aderenza al disposto del citato n. 4 dell’art. 369 c.p.c., l’avvocato sarebbe tenuto a depositare solo quanto metterebbe nel fascicoletto, essendo già oggi inutile depositare le produzioni dei gradi di merito. L’affermazione può anche essere astrattamente condivisibile, ma sconta due grandi problemi. Il primo è il tuziorismo che sempre impronta l’operato dell’avvocato, soprattutto quando si parla di giudizio di cassazione. Il secondo è questo: come farebbe la Corte a verificare se quanto depositato nel fascicoletto lo era stato anche nel merito, non potendolo riscontrare con i pregressi fascicoli? L’avvocato è chiamato ad illustrare, soprattutto dopo i chiarimenti del Protocollo, “il tempo … del deposito dell’atto, del documento, del contratto o dell’accordo collettivo e la fase … in cui esso è avvenuto”. Ma a cosa serve dirlo, se la Corte non può verificare la veridicità dell’affermazione, facendo un confronto con quanto contenuto nei fascicoli di merito? Né pare che l’attestazione di conformità dell’avvocato possa svolgere anche questa funzione. La legge lo autorizza a dire che l’atto o il documento è conforme al suo originale, ma lo autorizza a dire anche quando esso è entrato nel processo e dove si trova l’originale? È evidente che questo problema svanirà mano a mano che il contenzioso si svecchierà e che i ricorsi riguarderanno procedimenti totalmente telematici. Così come è evidente che il discorso può essere capovolto, visto che col cartaceo l’avvocato era chiamato allo stesso sforzo (stampare e attestare la conformità) qualora il procedimento di merito fosse stato del tutto telematico. Però vale la pena di rilevare che questo può essere un ostacolo al pieno sviluppo immediato del PCT.

L’obiettivo di far decollare il telematico in Cassazione – caro ad avvocati, giudici e cancellieri – potrebbe forse essere raggiunto più facilmente se una piccola norma (non interpretazioni, né Protocolli, di cui certamente molti avvocati non possono “fidarsi”, soprattutto nelle prime battute) dicesse chiaramente che l’avvocato che lo prescelga può limitarsi a depositare esclusivamente gli atti ed i documenti che egli sarebbe chiamato ad inserire nel “fascicoletto”, con l’accortezza di indicare quando e come sono entrati nel processo.

Un rischio: l’errato deposito della prova della notifica.

Altro aspetto che, almeno a quanto consta a chi scrive, in molti stanno sottovalutando, è quello del controverso rapporto tra notifica a mezzo pec del ricorso e deposito del fascicolo in cartaceo.

Va infatti ricordato che l’art. 9, comma 1 ter, L. 53/1994 stabilisce che nei “casi in cui l’avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche” questi estragga copia cartacea della notifica a mezzo pec e ne attesti la conformità. Ma ora in Cassazione il deposito telematico è, appunto, possibile, per quanto non obbligatorio. Sembra quindi che l’avvocato non possa più procedere nel modo anzidetto. Effettivamente il dato letterale pare lasciare poco margine interpretativo, talché si deve concludere che, quanto meno in via prudenziale, l’avvocato che effettui la notifica via pec debba depositarla telematicamente anche se si costituisce in cartaceo. Anzi, viene da dire, pure telematicamente, visto che non si riesce a immaginare un ricorso depositato in cartaceo che contravvenga espressamente all’indicazione – presente finanche nella nota di deposito e d’iscrizione a ruolo della Suprema Corte – di depositare l’atto completo della notifica, la quale per essere unita ad un ricorso stampato non potrà che essere a sua volta stampata.

Ci si deve chiedere quindi quale sia il termine per depositare questa notifica. Se essa sarà ritenuta ammissibile sino all’udienza (o adunanza), e addirittura superflua in caso in cui la controparte si sia difesa, non vi sono grossi problemi.

Sembrerebbe corretta una tale soluzione, in conformità al principio sempre applicato per il deposito dell’avviso di ricevimento della notifica postale, secondo cui tale deposito non è necessario se la controparte si è difesa e comunque può essere eseguito fino all’udienza. È chiaro che il tema del deposito della notifica a mezzo pec di cui stiamo parlando è differente: esso non riguarda la prova del momento conclusivo della notifica, ma quello della prova della notifica tout court. Esigenze di brevità non consentono di diffondersi oltre su questo problema, ma comunque parrebbe una soluzione ragionevole quella di consentire il deposito fino all’udienza e di non richiederlo affatto nel caso in cui la controparte si sia difesa. Sempre naturalmente che il ricorso cartaceo sia stato comunque depositato accompagnato dalla prova cartacea della notifica (per quanto ormai divenuta irrituale).

Se invece si riterrà necessario ex art. 369 c.p.c. il deposito entro i venti giorni dalla notifica, sorgerà una significativa difficoltà, visto che il ricorrente principale (non quello incidentale), potrebbe non essere ancora in possesso del numero di ruolo generale, soprattutto qualora avesse inviato il ricorso per posta. Ovviamente in tal caso converrà spedire l’atto quanto prima e controllare freneticamente quando ad esso verrà assegnato il numero di ruolo, ma da alcuni avvocati si sente dire che a questo punto è meglio preferire la notifica cartacea. Anche qui si realizza un bel controsenso: l’entrata in vigore del PCT in Cassazione potrebbe essere accompagnata da un ritorno alle notifiche cartacee.

Forse tale problema, almeno in questa prima fase, potrebbe essere risolto prevedendo una funzionalità che consenta di depositare la notifica telematica anche senza essere in possesso del numero di ruolo, per poi associarla al fascicolo – anche magari ad iniziativa dell’avvocato – in un secondo momento, magari entro un termine stabilito dalla legge sulle notifiche a mezzo pec.

Conclusioni

Le opportunità offerte dal processo telematico in Cassazione sono enormi, e questa strada va convintamente percorsa. Le suddette criticità – come altre già sorte e che sorgeranno – vanno però risolte quanto prima, sia per evitare pronunce di inammissibilità o improcedibilità, sia per consentire al processo telematico di decollare quanto più rapidamente possibile.


Note

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