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Il nuovo rito semplificato di cognizione

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Paolo Sordi

Sommario: 1. Introduzione – 2. Ambito di applicazione – 3. La fase introduttiva – 4. La prima udienza – 5. L’istruzione della causa – 6. La fase decisoria – 7. Il mutamento del rito

1. Introduzione

Una delle modifiche “di sistema” della disciplina del processo civile disposte dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, è costituita dall’introduzione, nel Titolo I del Libro II del codice di rito, di un Capo III quater intitolato al «Procedimento semplificato di cognizione» (contenente gli articoli dal 281 decies al 281 terdecies) e dalla corrispondente soppressione del Capo III bis del Titolo I del Libro IV concernente il «Procedimento sommario di cognizione» (articoli dal 702 bis al 702 quater).

Anticipando gli esiti dell’analisi che segue, va detto subito che le nuove norme in esame configurano un rito a cognizione piena ed esauriente, destinato ad essere definito con sentenza (contro la quale sono esperibili gli ordinari mezzi di impugnazione) e integralmente disciplinato dalla fonte legale, senza che al giudice spettino poteri di regolamentazione del procedimento maggiori di quelli a lui riconosciuti nelle controversie soggette al rito ordinario.

Netta, dunque, la differenza rispetto al procedimento sommario di cognizione (caratterizzato dall’attribuzione al giudice del potere di procedere nella maniera che riteneva più opportuno, purché fosse assicurato il rispetto del contraddittorio, e concluso con un’ordinanza soggetta ad appello oggetto di specifica disciplina), così come appare giustificata la trasposizione della relativa disciplina nel Libro II dedicato al procedimento di cognizione.

Non trascurabile immediata conseguenza pratica di tale modifica “topografica” è la soggezione dei procedimenti in esame al contributo unificato nella misura intera ai sensi dell’art. 13, co. 1, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, non potendo essi godere della riduzione della metà prevista dal comma 3 e riservata ai procedimenti speciali di cui al Libro IV, Titolo I, tra i quali, evidentemente, non è riconducibile.

2. Ambito di applicazione

Il nuovo rito si applica, anzitutto ed obbligatoriamente, alle controversie precedentemente soggette necessariamente al rito sommario di cognizione, come quelle elencate nel Capo III del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 1 , ovvero quelle di risarcimento dei danni da responsabilità sanitaria di cui all’art. 8 della l. 8 marzo 2017, n. 24 (tutte norme opportunamente modificate in tal senso dal d.lgs. n. 149 del 2022).

La sua disciplina, inoltre, informa quella dei procedimenti davanti al giudice di pace (artt. 316, primo comma, 318, 319, primo comma, 320, terzo comma, 321, primo comma, c.p.c.). L’ambito di applicazione dell’istituto è poi definito in generale dall’art. 281 decies, composto da due commi. Il primo dispone che il giudizio «è introdotto» (vale adire, dunque, che “deve” essere introdotto) nelle forme del procedimento semplificato, ove ricorra almeno una delle seguenti circostanze:

a) i fatti di causa non sono controversi;

b) la domanda è fondata su prova documentale;

c) la domanda è di pronta soluzione;

d) la domanda richiede un’istruzione non complessa. Stante la mancanza di limitazioni in tal senso, deve ritenersi che la disposizione in esame si applichi anche alle cause nelle quali il Tribunale giudica in composizione collegiale.

Non, invece, ai procedimenti soggetti a riti speciali a cognizione piena, quali quelli in materia di persone, minorenni e famiglia (artt. 473 bis ss. c.p.c.) ovvero le controversie individuali di lavoro (artt. 409 ss. c.p.c.) o, ancora, quelle locatizie (art. 447 bis c.p.c.).

Tanto si desume, implicitamente ma chiaramente, dall’art. 281 duodecies, primo comma, che stabilisce che, quando ritenga che non ricorrano le condizioni per la trattazione secondo il procedimento semplificato, il giudice dispone la prosecuzione del processo «nelle forme del rito ordinario», onde sembra indubbio che quello semplificato è un rito che si pone in elazione di alternatività esclusivamente con quello ordinario 2 .

Diversa questione è quella relativa al rito applicabile in caso di connessione ai sensi degli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c. tra causa sottoposta a rito semplificato e causa sottoposta rito speciale. In simili ipotesi il secondo periodo del terzo comma dell’art. 40 c.p.c. (introdotto dall’art. 3, comma 2, lett. b), d.lgs. n. 149 del 2022) prevede che le cause debbano essere trattate e decise con il rito semplificato, a meno che una di esse sia soggetta al rito lavoro ex artt. 409 o 442; conseguentemente, se connesse a causa trattata con rito semplificato e ad essa riunite, saranno soggette a tale rito anche controversie agrarie o in materia locatizia 3 ; suscita forti perplessità la medesima soluzione applicata ai casi di connessione tra causa introdotta con rito semplificato e causa soggetta al rito delle persone, dei minori e delle famiglie 4 .

Si deve però considerare che, come si vedrà oltre, il giudice può sempre disporre il mutamento del rito da semplificato a ordinario in considerazione della complessità della lite, si ritiene comunemente che al riguardo può rilevare la pluralità di domande proposte in giudizio; pertanto, in caso di connessione di cause soggette a riti diversi, è probabile che possa ricorrere l’ipotesi di lite complessa incompatibile con il rito semplificato che, dunque, non potrebbe comunque essere quello regolatore della complessiva controversia.

Neppure può sostenersi l’applicabilità del rito semplificato ai giudizi di appello trattati dal Tribunale, soggetti alle regole dettate in generale dal Titolo III del Libro II, ovvero a quelli di competenza della Corte d’appello quale giudice di unico grado, a meno che, in quest’ultimo caso, ciò non sia espressamente previsto da una specifica disposizione (ad esempio, l’art. 29 d.lgs. n. 150 del 2011 per le controversie in materia di opposizione alla stima nelle espropriazioni per pubblica utilità).

Venendo all’esame delle quattro ipotesi contemplate dal primo comma dell’art. 281 decies, per quella relati- va alla natura non controversa dei fatti di causa, è stata condivisibilmente espressa la considerazione secondo cui essa ricorre esclusivamente quando tutti i fatti -non solamente quelli costituitivi del diritto azionato, ma anche quelli posti a base dell’eventuale domanda riconvenzionale o delle eccezioni) siano pacifici 5 .

Analogamente è a dirsi rispetto al caso della domanda fondata su prova documentale: aldilà del tenore letterale della previsione (che fa riferimento alla sola do- manda), deve infatti ritenersi che l’ipotesi in questione ricorra solamente quando tutte le domande e le eccezioni che non si fondino su fatti pacifici siano supportate da documenti 6 .

Meno chiari risultano i confini della fattispecie dell’istruzione non complessa, espressione generica che lascia ampio spazio alla discrezionalità valutativa del giudice.

Ancora meno definibile con sicurezza l’ultima ipotesi (quella della domanda di pronta soluzione), posto che appare davvero arduo individuare domande di pronta soluzione che non siano riconducibili in qualcuna delle altre tre categorie contemplate dalla stessa norma (fatti non controversi, provati da documenti ovvero richiedenti istruttoria non complessa).

Ma, più in generale, è agevole osservare che quelle descritte nel primo comma dell’art. 281 decies c.p.c. sono fattispecie apprezzabili solamente all’esito della costituzione del convenuto 7 .

Infatti, è alla luce delle difese di questi che è possibile verificare se i fatti di causa siano o meno controversi o se gli stessi necessitino di istruttoria complessa e così via. Pertanto, non sembra corretto predicare un obbligo per l’attore di optare per il rito semplificato quando, nel momento in cui dovrebbe compiere questa scelta (vale a dire al momento di proporre la domanda), non è in condizione di valutare la ricorrenza o meno delle circostanze che renderebbero obbligatoria la forma del rito semplificato.

Il secondo comma dell’art. 281 decies dispone, poi, che nelle sole cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica la domanda può sempre essere proposta nelle forme del rito semplificato. Orbene, le segnalate difficoltà di immaginare che effettivamente l’attore abbia un obbligo di proporre la domanda nelle forme del rito semplificato quando non possono ritenersi ancora concretizzate le condizioni per l’insorgenza di quell’obbligo e l’apparente piena e incondizionata discrezionalità dell’attore nella scelta del rito contemplata dal secondo comma rendono evidente che le previsioni dell’art. 281 decies debbano essere lette congiuntamente a quelle dell’art. 281 duodecies che disciplina il potere del giudice di disporre il mutamento del rito da semplificato in ordinario.

È dal combinato disposto di queste due norme che emergono i confini dell’ambito di operatività del rito semplificato. Occorre, in particolare, prendere le mosse proprio dal primo comma dell’art. 281 duodecies, secondo il quale alla prima udienza il giudice dispone con ordinanza non impugnabile la prosecuzione del processo nelle forme del rito ordinario quando «non ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell’articolo 281 decies» (primo periodo) e quando «valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria ritiene che la causa debba essere trattata con il rito ordinario» (secondo periodo).

In sostanza, è questa ampia discrezionalità nel decidere se mutare o meno il rito riconosciuta al giudice (e condivisibilmente ritenuta esercitabile anche nel caso in cui ricorra qualcuna delle condizioni contemplate nel primo comma dell’art. 281 decies 8 ), che trova riscontro nella disciplina dell’ipotesi inversa del passaggio dal rito ordinario a quello semplificato dettata dall’art. 183 bis (secondo cui ciò è possibile se ricorrono i presupposti dell’art. 281 decies, ma pur sempre «valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria»), che caratterizza la disciplina dell’ambito di operatività del nuovo procedimento 9 .

È già stato ipotizzato che circostanze rilevanti nel senso dell’adozione del rito ordinario sarebbero costituite dall’elevato numero delle domande o delle parti evocate in giudizio 10 ovvero dei mezzi istruttori da assumere. La stessa opinione è stata espressa rispetto all’elevato grado di difficoltà della lite in diritto 11 .

Tale conclusione appare opinabile perché, se è vero che la difficoltà delle questioni giuridiche che il giudice è chiamato a risolvere è riconducibile, in astratto, al concetto di “lite complessa”, è anche vero che la disciplina del rito semplificato appare pienamente compatibile con cause che presentino un elevato grado di difficoltà giuridica (purché esse non siano complesse sul piano soggettivo e oggettivo nel senso specificato infra, sub n. 7).

3. La fase introduttiva

Ai sensi dell’art. 281 undecies, primo comma, c.p.c., l’atto introduttivo del procedimento semplificato di cognizione ha la forma del ricorso, sottoscritto a norma dell’art. 125 c.p.c., il cui contenuto è identico a quello dell’atto di citazione, esclusi ovviamente l’indicazione del giorno dell’udienza di comparizione e l’avvertimento al convenuto di costituirsi nei termini.

Quindi identico sarà anche il regime della nullità del ricorso (art. 164 c.p.c.) 12 .

Il presidente del tribunale procede quindi alla designazione del giudice e questi, nei 5 giorni successivi alla designazione, pronuncia il decreto di fissazione dell’udienza di comparizione delle parti con il quale assegna il termine per la costituzione del convenuto che deve avvenire non oltre 10 giorni prima dell’udienza (e, dunque, il giudice non può comunque fissare un termine diverso da quest’ultimo, pena un’inammissibile riduzione del termine minimo a difesa di 30 giorni del quale si dirà subito oltre 13 ).

L’attore deve notificare al convenuto il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza almeno 40 giorni liberi prima (60 se il luogo della notificazione si trova all’estero). Il convenuto ha quindi a disposizione un termine mi nimo di 30 giorni per costituirsi mediante il deposito di una comparsa di risposta il cui contenuto è identico a quello del corrispondente atto nel rito ordinario di cognizione.

Se intende chiamare in causa un terzo (a qualsiasi titolo, non solamente in garanzia), deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa e chiedere lo spostamento dell’udienza. Sembrerebbe potersi concludere, quindi, nel senso che le preclusioni espressamente previste dalla disciplina del rito semplificato con riferimento agli atti introduttivi della lite siano le stesse contemplate nel rito ordinario (vale a dire, per il convenuto, le domande riconvenzionali, le eccezioni non rilevabili d’ufficio e l’istanza di chiamata in causa del terzo che debbono essere necessariamente contenute nella sua comparsa di costituzione, mentre l’attore può, implicitamente ma sicuramente, formulare le sue domande solamente nel ricorso).

Va infine segnalata la modifica introdotta dall’art. 1, comma 12, lett. b) del d.lgs. n. 149 del 2022 all’art. 2658 c.c. al cui secondo comma è stato aggiunto un periodo che regola le modalità che la parte deve osservare per la trascrizione della domanda giudiziale proposta con ricorso (presentazione di una copia conforme dell’atto che la contiene munita di attestazione della data del suo deposito presso l’ufficio giudiziario).

In difetto di una specifica disposizione di diritto transitorio, è stato affermato che questa norma si applicherà a tutti i procedimenti regolati dal nuovo rito semplificato 14 .

4. La prima udienza

Alla prima udienza, seppur non specificato dalla norma (art. 281 duodecies), il giudice procede anzitutto alle verifiche relative alla regolare costituzione del contraddittorio. La stessa udienza segna il limite imposto alle parti a pena di decadenza per il compimento di alcune attività.

In particolare, l’attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo se l’esigenza è sorta a seguito delle difese del convenuto (ad esempio, chiamata in causa della Compagnia assicuratrice a fronte della domanda di risarcimento dei danni spiegata invia riconvenzionale dalla controparte).

Se autorizza la chiamata in causa, il giudice fissa la data della nuova udienza e assegna all’attore il termine perentorio per la citazione del terzo, il quale dovrà costituirsi nei tempi e nelle forme previsti per la costituzione del convenuto già illustrati nel paragrafo precedente (secondo comma dell’art. 281 duodecies).

Inoltre, entrambe le parti possono proporre, a pena di decadenza, le eccezioni nuove che sono conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dalle altre parti (terzo comma).

La norma non contempla espressamente la possibilità per il ricorrente di proporre anche una reconventiore conventionis, ma il rispetto del principio del contraddittorio dovrebbe imporre di ritenere che anche tale attività sia consentita all’attore, a pena di decadenza, nella prima udienza 15 .

Infine, a norma del quarto comma dell’art. 281 duodecies, le parti possono chiedere al giudice la concessione di un termine (che la norma qualifica come perentorio) non superiore a venti giorni «per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre i documenti» ed un ulteriore termine non superiore a dieci giorni per «replicare e dedurre prova contraria».

La norma, tuttavia, condiziona espressamente la concessione di tali termini alla sussistenza di un «giustificato motivo». Da questa previsione alcuni dei primi commentatori hanno fatto discendere la conseguenza secondo cui le parti non potrebbero liberamente modificare e precisare domande ed eccezioni nel corso del procedimento, né liberamente produrre documenti e formulare istanze istruttorie aldilà del loro rispettivo primo scritto defensionale e hanno concluso nel senso che, rispetto a tale attività le parti subiscono una preclusione negli atti introduttivi, la quale, benché non espressamente sancita, sarebbe nondimeno ricavabile per implicito dalla normativa che limita le modificazioni e le integrazioni del thema decidendum e del thema probandum risultanti dai primi scritti difensivi a quanto reso necessario dallo sviluppo dialettico del processo o ritenuto opportuno per giustificati motivi 16 .

Altra parte della dottrina tende invece a svalutare l’efficacia condizionante del giustificato motivo richiesto dalla norma e sostiene, da un lato, che deve essere sempre concesso alle parti il termine per depositare memorie quando queste costituiscono la prima difesa successiva al momento in cui l’interesse alla replica è sorto (come nei casi di costituzione del convenuto alla prima udienza o al rilievo officioso del giudice alla stessa udienza) e, dall’altro, che il termine per depositare memorie deve sempre essere concesso quando le parti motivano la richiesta con l’intenzione di svolgere attività istruttoria 17 .

Questa seconda appare l’impostazione preferibile. Occorre infatti muovere dalla constatazione che la disciplina del procedimento semplificato non contiene alcuna disposizione che preveda che le parti debbano formulare le rispettive istanze istruttorie a pena di decadenza, rispettivamente, nel ricorso e nella comparsa di costituzione 18 .

Inoltre, sembrerebbe naturale che l’esigenza di modificare o precisare domande, eccezioni e conclusioni sorga solo a seguito dello sviluppo dialettico del processo. Pertanto, sia con riferimento ai documenti e alle istanze istruttorie, rispetto alle modifiche e alle precisazioni di domande, eccezioni e conclusioni, non sembra corretto ritenere che il compimento della relativa attività da parte di attore e convenuto sia condizionata dalla ricorrenza di qualche specifica condizione.

Ed allora il giustificato motivo menzionato dal quarto comma dell’art. 281 duodecies deve essere considerato non come condizione che legittima le parti a svolgere le attività indicate nella norma, bensì quale presupposto affinché alle stesse possa essere concesso il doppio termine da essa previsto, altrimenti dovendo esse compiere quelle stesse attività direttamente in udienza 19 .

Detto in altre parole: premesso che le parti possono comunque, nella prima udienza, modificare e precisare domande, eccezioni e conclusioni, nonché articolare mezzi di prova non richiesti nei rispettivi primi scritti difensivi, esse debbono svolgere tali attività direttamente in udienza, a meno che non chiedano la concessione del doppio termine di cui al quarto comma dell’art. 281 duodecies; in questo caso, se il giudice ritenga che, al fine di consentire un effettivo esercizio di tali prerogative defensionali, le parti abbiano necessità di disporre di un termine essendo eccessivamente difficoltoso esercitare pienamente quei poteri nell’immediatezza dell’udienza a causa delle particolarità della singola controversia(ad esempio perché il convenuto si sia costituito solamente in udienza, ovvero perché in udienza il giudice abbia segnalato alle parti questioni rilevabili d’ufficio), concede i termini previsti dalla norma; in caso contrario, le parti saranno costrette a svolgere quelle attività in udienza.

Quanto ai criteri per definire l’ipotesi della “modifica” delle domande (ammessa, come si è appena detto, entro la prima udienza o, al più, entro la prima memoria depositata entro il termine concesso dal giudice ex art. 281 duodecies) da quella della proposizione di domande “nuove” (non consentita), non si scorgono ragioni per non applicare anche al rito semplificato i criteri formulati dalla più recente giurisprudenza di legittimità, secondo la quale rientra nel concetto di modificazione della domanda anche la modifica di uno o entrambi degli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali 20 .

Peraltro, il meccanismo di memorie e repliche definito dal quarto coma dell’art. 281 duodecies fa sorgere qualche perplessità circa la sua perfetta coerenza con il principio del contraddittorio.

Infatti, considerato che le parti sono abilitate a precisare e modificare domande, eccezioni e conclusioni nello stesso termine (e, dunque, nello stesso atto) entro il quale possono indicare i mezzi di prova, non si vede come esse possano proporre i mezzi di prova la cui necessità scaturisca dalle modifiche di domande, eccezioni e conclusioni operate dalla controparte nell’atto depositato entro il primo termine di venti giorni, considerato che, con le repliche da depositare nei successivi dieci giorni, esse possono dedurre solamente «prova contraria» e non anche quella diretta 21 .

Ed allora, al fine di evitare che la norma offra il fianco a facili censure di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 111, secondo comma, Cost., occorre interpretare la facoltà di replica che secondo il quarto comma dell’art. 281 duodecies le parti possono esercitare nella seconda delle memorie da esso previste come comprensiva anche del potere di formulare in quella sede le prove dirette la cui necessità sia sorta a seguito delle modifiche a domande, eccezioni e conclusioni introdotte dalla controparte nella prima memoria.

Una volta chiarito, nei termini finora esposti, il regime di preclusioni riguardante domande, eccezioni e mezzi istruttori, resta da definire quello delle mere difese e, in particolare, appurare fino a quando il convenuto possa validamente contestare i fatti allegati dall’attore.

Più precisamente, occorre chiedersi se il fatto che l’art. 281 undecies imponga al convenuto di «prendere posizione in modo chiaro e specifico sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda» comporti la conseguenza secondo la quale il convenuto può validamente contestare le deduzioni avversarie esclusivamente nella comparsa di costituzione tempestivamente depositata, onde le allegazioni non contestate in quella sede dovrebbero ritenersi estranee agli oneri probatori dell’attore ai sensi dell’art. 115 c.p.c. 22 .

Al riguardo si deve tuttavia segnalare che un analogo onere di specificità è stato previsto per la parte convenuta in un giudizio soggetto al rito ordinario, prevedendo ora l’art. 167, primo comma, c.p.c., che nella sua comparsa di costituzione la parte debba prendere posizione appunto «in modo chiaro e specifico» 23 sui fatti posti dall’attore a fondamento della sua domanda.

I primi commentatori della riforma non pare abbiano attribuito eccessivo rilievo a tale novella e, in particolare, non hanno collegato ad essa alcuna conseguenza sull’individuazione del momento in cui diverrebbe irretrattabile la non contestazione dei fatti dedotti dalla controparte che la giurisprudenza formatasi sulla disciplina previgente della fase introduttiva del procedimento civile ordinario faceva coincidere con la fase in cui le parti potevano ancora precisare e modificare domande, eccezioni e conclusioni, vale a dire nelle memorie ex art. 183, sesto comma, c.p.c. 24 .

Ed effettivamente, già nel vigore della precedente versione della norma (che si limitava ad imporre al convenuto di “prendere posizione” sui fatti allegati dalla controparte), la giurisprudenza aveva affermato che il convenuto fosse comunque onerato di una contestazione specifica, mentre quella generica equivalesse a mancata contestazione 25, senza che perciò non si am- mettesse, come si è visto 26 , che le parti potessero effica- cemente ritrattare la non contestazione nelle memorie ex art. 183.

Ed allora, non sembra che dall’onere di chiarezza e specificità delle difese del convenuto imposto dall’art. 281 undecies, terzo comma, c.p.c., possa farsi discendere una preclusione in ordine al potere di contestazione delle altrui allegazioni da parte del convenuto, il quale potrà dunque contestare per la prima volta i fatti posti a fondamento delle domande dell’attore almeno nella prima udienza.

5. L’istruzione della causa

A norma dell’ultimo comma dell’art. 281 duodecies, il giudice, dopo aver svolto le attività descritte nel paragrafo precedente, se non ritiene la causa maura per la decisione, «ammette i mezzi di prova rilevanti per la decisione e procede alla loro assunzione».

Come si vede, contrariamente a quanto accadeva nel rito sommario di cognizione, non è prevista alcuna possibilità per il giudice di derogare alla disciplina normativa in tema di attività istruttoria, che quindi deve essere svolta in applicazione delle generali regole codicistiche in materia (quali mezzi istruttori sono utilizzabili, il regime della loro ammissibilità, come assumerli, quale efficacia probatoria riconnettere loro) 27 .

Si ritiene condivisibilmente che nel procedimento semplificato spettino al giudice i medesimi poteri istruttori officiosi a lui attribuiti dalla disciplina del rito ordinario di cognizione 28 .

6. La fase decisoria

Il modello della fase decisoria adottato dal legislatore è quello della decisione a seguito della discussione orale di cui agli artt. 281 sexies, nel caso in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, e 275 bis, nel caso in cui il tribunale giudichi in composizione collegiale (art. 281 terdecies c.p.c.).

È quindi esclusa la possibilità di adottare il modello della decisione a seguito di trattazione scritta di cui agli artt. 281 quinquies (tribunale in composizione monocratica) e 189 e 275 (tribunale in composizione collegiale).

La decisione assume quindi la forma della sentenza prevista dalle norme cui rinvia l’art. 281 terdecies (mentre il soppresso rito sommario di cognizione veniva definito con ordinanza), ferma restando la forma dell’ordinanza nei casi in cui ciò sia previsto dalla normativa processuale generale (ad esempio, artt. 38, 39, 40, 44 c.p.c.).

L’art. 281 terdecies aggiunge che la sentenza è impugnata nei modi ordinari, in questa maniera segnando un’ulteriore differenza rispetto alla disciplina del procedimento sommario di cognizione, la quale conteneva una disposizione speciale relativa all’appello (art. 720 quater).

Dunque i mezzi di impugnazione esperibili, le forme per la loro introduzione, i termini per proporli e la decorrenza degli stessi sono quelli previsti in generale per l’impugnazione delle sentenze pronunciate in primo grado dal Tribunale.

Quindi è sicuro che contro tale sentenza siano proponibili, ricorrendone le condizioni, anche la revocazione e l’opposizione di terzo 29 .

Così come non sussistono motivi per dubitare dell’attitudine al giudicato della sentenza conclusiva del procedimento semplificato 30 .

7. Il mutamento del rito

Si è lasciata per ultima l’esposizione della disciplina relativa al mutamento di rito, perché si ritiene che essa – e, in particolare, il potere-dovere riconosciuto al giudice al riguardo – possa meglio essere compresa se si ha ben presente la disciplina dell’intero procedimento semplificato e, in particolare, quello che emerge come un suo incontestabile tratto distintivo, vale a dire la sostanziale assimilazione della sua disciplina a quella del rito ordinario di cognizione per tutte le fasi successive alla prima udienza di trattazione (ammissione e assunzione delle prove, decisione, impugnazione di questa) 31 .

Le norme che riguardano l’ipotesi del passaggio dal rito ordinario a quello semplificato e quella inversa del passaggio dal secondo al primo sono rappresentate, rispettivamente, dall’art. 183 bis e dall’art. 281 duodecies, primo comma.

La prima stabilisce che, all’udienza di trattazione, il giudice, «valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria e sentite le parti», se rileva che in relazione a tutte le domande proposte ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell’art. 281 decies (e, quindi: fatti di causa non controversi ovvero domanda fondata su prova documentale o di pronta soluzione o tale da richiedere un’istruzione non complessa), dispone con ordinanza non impugnabile la prosecuzione del pro- cesso nelle forme del rito semplificato.

La previsione fondamentale è però costituita dalla precisazione che, in tal caso, «si applica il comma quinto dell’articolo 281 duodecies». Vale a dire che il procedimento si svolgerà secondo le disposizioni del rito semplificato che regolano tale procedimento a partire dal momento in cui il giudice deve valutare

(a) se autorizzare la chiamata in causa del terzo eventualmente richiesta dall’attore,

(b) se concedere o meno i termini per le memorie e repliche eventualmente richiesti dalle parti, ovvero

(c) ritenere che la causa sia matura della decisione o se necessiti di istruzione.

Orbene, nel caso in cui la controversia sia iniziata secondo la disciplina del rito ordinario di cognizione, si deve considerare che, nel momento (prima udienza di comparizione) in cui il giudice potrebbe disporre che essa prosegua secondo le forme del rito semplificato, le parti hanno già avuto la possibilità di depositare le tre memorie integrative di cui all’art. 171 ter nelle quali hanno potuto svolgere tutte le attività difensive possibili con le memorie di cui al quarto comma dell’art. 281 duodecies (che, dunque, non v’è motivo per cui esse dovrebbero essere autorizzate dopo la conversione del rito 32 ); inoltre, secondo la scansione temporale descritta dall’art. 183, il primo adempimento che il giudice è chiamato a compiere nella prima udienza di comparizione è quello della valutazione dell’istanza di chiamata in causa del terzo avanzata dall’attore e, dunque, il passaggio dal rito ordinario a quello semplificato contemplato dall’art. 183 bis può essere disposto solamente dopo che il giudice abbia già assunto la propria decisione al riguardo.

Sulla base delle considerazioni appena svolte, si può concludere che, una volta trasformato il rito, nonostante che, come si è detto, l’art. 183 bis rinvii in generale al quinto comma dell’art. 281 duodecies, in realtà, tra tutte le valutazioni che questa norma menziona, l’unica che dovrà essere compiuta dal giudice sarà quella di stabilire se la causa necessiti o meno di un’attività istruttoria; ne consegue che la causa proseguirà nelle fasi (istruttoria e/o decisoria) rispetto alle quali, come si è visto nei paragrafi precedenti, non è apprezzabile alcuna significativa differenza di disciplina tra rito ordinario e rito semplificato.

Ed allora, non si vede davvero per quale ragione il giudice, arrivato alla prima udienza di comparizione (e, quindi, avendo già svolto le verifiche preliminari di cui all’art. 171 bis e avendo le parti già depositato le memorie integrative di cui all’art. 171 ter), dovrebbe disporre il passaggio ad un rito la cui disciplina, a partire da quel momento, è praticamente identica a quella che regolerebbe la causa se la stessa proseguisse secondo il rito inizialmente scelto dall’attore.

Tanto più che, anche se non dispone il passaggio al rito semplificato, nulla impedirà al giudice di adottare, quale modello di decisione, quello a seguito di discussione orale ex art. 281 sexies (che, come si è visto, è quello proprio del rito semplificato).

Passando all’ipotesi inversa, dispone l’art. 281 duo-decies, primo comma, che, alla prima udienza di un procedimento promosso secondo le forme del rito semplificato, il giudice che rileva che per la domanda principale o quella riconvenzionale non ricorrano i presupposti di cui al primo comma dell’art. 281 decies, ovvero che, valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria, ritiene che la causa debba essere trattata con il rito ordinario, dispone con ordinanza non impugnabile la prosecuzione del processo nelle forme del rito ordinario, fissando l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c., rispetto alla quale decorrono i termini previsti dall’art. 171 bis.

La norma non richiede espressamente che tale provvedimento sia assunto dopo che il giudice abbia sentito le parti (come invece fa l’art. 183 bis per l’ipotesi inversa), ma non v’è dubbio che esso possa essere pronunciato solamente dopo aver sollecitato il contraddittorio delle parti sul punto 33 .

Si è già detto della notevole discrezionalità che la norma lascia al giudice nel decidere se procedere o meno al passaggio al rito ordinario (v., supra, sub n. 2).

Si può qui aggiungere che la differenza maggiormente significativa tra le due opzioni a disposizione del giudice è costituita dal fatto che, in caso di passaggio al rito ordinario, le parti potranno depositare le tre memorie integrative contemplate dall’art. 171 bis mentre, in caso contrario, potranno chiedere al giudice la concessione dei più brevi termini per depositare le due memorie di cui al quarto comma dell’art. 281 duodecies.

Ed allora, è questa differenza che dovrebbe rappresentare il criterio orientatore nella scelta demandata al giudice circa il mutamento o meno del rito da semplificato ad ordinario, nel senso che il passaggio al rito ordinario dovrebbe essere disposto tutte le volte in cui le due sole memorie previste dall’art. 281 duodecies e i ristretti tempi entro i quali esse debbono essere depositate appaiono incompatibili con il pieno esercizio del diritto di difesa delle parti in considerazione della complessità della controversia sul piano soggettivo (numero di parti coinvolte) e/o oggettivo (numero di domande e di rapporti dedotti). 


Note

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