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Il Diritto Privato Europeo: paradigma, andante con moto

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di Roberto G. Aloisio

1.Il Diritto Privato Europeo: la Sfinge dai molti volti.

Quando si parla di “Sfinge” si indica (a) un insetto e si allude (b) al mito: a) dell’insetto vogliamo metterne in luce l’attributo della multiformità di una farfalla che si articola in almeno 300 specie (v. David Carter, Farfalle e falene – Guida fotografica ad oltre 500 specie di farfalle e falene di tutto il mondo, a cura di Andrea Sabbadini, 1a edizione, Milano, Fabbri Editori, 1993, p. 304) e denota metaforicamente la pluralità di forme di un “oggetto” (che, per il nostro tema giuridico, si traduce in “concetto”: il diritto europeo, appunto). La mutazione di forma dell’insetto (e del concetto di cui si parlerà) viene prospettata nel racconto dell’orrore di Edgar Allan Poe (The Sphinx, risalente al 1863) in cui il grande e infelice letterato inglese proietta sulla pagina l’immagine di un mostro gigantesco (che urla scendendo da una collina) che, dopo un attento esame degli astanti, si scopre essere un insetto (farfalla) lungo circa un sedicesimo di pollice, che si arrampica nella tela tessuta da un ragno e che proietta sull’osservatore – disattento, impreparato e suggestionato – l’immagine di una forma di animale di dimensioni mostruose; b) il mito della Sfinge si risolve in un Enigma (il primo nella storia): nella mitologia greca la Sfinge viene collocata all’ingresso della città di Tebe ai passeggeri, che – per non essere divorati o strangolati – devono risolvere l’Enigma posto al passante; chi parla è l’immagine di un leone con il volto da donna e le ali di uccello. Si tratta di un animale mitologico che può anche morire, ma poi risorge all’infinito e la cosa curiosa è che il Mito (secondo gli antropologi e gli storici delle religioni) è uno “stampo” della realtà universale che si ripete infinitamente nella realtà naturale. In proposito si può ricordare il Teatro “La Fenice” di Venezia che ha avuto l’avventura di essere incendiato quattro volte e per cinque ricostruito, ogni volta più bello di prima. Orbene, queste notazioni possono essere traslate sul D.P.E., perché:

a) nessuno esattamente sa cosa sia;

b) benché negato, riafferma – come nel Mito – la sua esistenza;

c) metaforicamente “ucciso”, cioè espunto dalla concettualizzazione giuridica, riemerge dalle sue stesse ceneri e si presenta al giurista come un “gigante” dell’ordinamento transnazionale;

d) si propone come “Enigma giuridico” e ha bisogno di essere “risolto in soluzioni plurime”, attraverso la forza della mente dei giuristi, ognuno dei quali ne dà l’esatta raffigurazione sulla scena del Diritto; ogni “forma concettuale” è approssimata al verosimile, ma non al vero, soltanto perché non c’è mai una sola verità dell’“Enigma” (tant’è che, nella letteratura, Esso può essere subìto e affrontato solo da una personalità medianica, com’è quella di E.A. Poe).

Questa (banale quanto) divertita premessa, colloca chi parla o chi scrive intorno al D.P.E. in una situazione labirintica, che esige di ricorrere all’escamotage del “filo di Arianna”, il dilemma cioè della ricerca del punto di “partenza” (perché quello di “arrivo” è matematico, anzi più propriamente “geometrico”), che esige un atto di fede, un suicidio della ragione, un credere cieco verso l’interlocutore che pretende di assurgere a “vate loquente”.

In uno dei Trattati con maggiore carica di ingegni (Manuale di diritto privato europeo, a cura di Castronovo e Mazzamuto, vol. I, Milano, Giuffrè, 2007) si legge che “del diritto europeo si può dire che c’è, anche se non è ancora certo ciò che esso sia” (op. cit., p. 3): ecco, con questa frase si ripropone il tema della Sfinge che “appare”, ma non si sa “cosa sia”, onde sembra più agevole individuare la strada del “non essere”, piuttosto che quella dell’essere e, dunque, ci si può permettere di affermare che il D.P.E. non è:

a) il Diritto Internazionale Privato;

b) il Diritto Privato Nazionale.

Et de hocsufficit!

Siamo in presenza di un Diritto senza Stato: vi è cioè un ordinamento che non è riferibile ad un Ente soggettivo pubblico (Enspubblicum, ponens) perché vive in autonomia senza Res pubblica, galleggia liquido e mobile tra i Popoli dell’Unione. Ciò denota un fenomeno logico e anche para-logico di tutta evidenza: il Diritto viene prima dello Stato, anzi addirittura ignora lo Stato e non per questo è meno certo dello Stato di Diritto.

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2. Diritti soggettivi e norme comunitarie.

La ragione concreta che spinge un avvocato civilista ad occuparsi dell’ordinamento comunitario risiede in ciò che proprio nella normativa europea si rinvengono le basi di molti diritti soggettivi che i cittadini possono far valere nell’ordinamento interno dinanzi ai giudici nazionali e, loro tramite, dinanzi alla Corte di giustizia del Lussemburgo. In verità il diritto comunitario è molto più vicino alle esigenze dei comuni cittadini (e ai loro diritti) di quanto non si fosse potuto immaginare negli anni Cinquanta (epoca in cui vennero firmati i tre trattati Cee, Ceca ed Euratom) e la prova più eloquente è data dall’ultimo atto dei Paesi della Comunità, cioè a dire dal trattato di Maastricht sull’Unione Europea (firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1° novembre1993), nel quale è dato di ritrovare (all’interno del Titolo I, riguardante le disposizioni comuni) alcune enunciazioni normative di grande rilevanzasu1 piano dei principi generali: 1. alla lettera A, secondo alinea, si dichiara che il trattato realizza «una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini». A seguire, nel terzo alinea, si specifica ulteriormente che l’Unione «ha il compito di organizzare in modo coerente e solidale le relazioni tra gli Stati membri e tra i loro popoli»; 2. alla lettera B, si afferma che l’Unione si prefigge, tra gli altri, lo scopo di «rafforzare la tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini dei suoi membri mediante l’istituzione di una cittadinanza dell’Unione»; 3. alla lettera F, punto 2, è contenuta la norma di maggior importanza per cogliere il tracciato lungo il quale si è mosso il legislatore europeo; in essa si dichiara che «l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario». La peculiarità dell’enunciato risiede nel fatto - invero clamoroso per la nostra tradizione giuridica - che non sono i diritti che nascono dai principi, ma questi traggono origine e linfa dai primi.

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3. Applicazione per la prima volta in Cassazione del diritto comunitario.

Non c’è dubbio che il diritto della Ce, nonostante alcune resistenze opposte da parte delle istituzioni nazionali gelose delle loro prerogative, stia penetrando e modificando in profondità il nostro ordinamento giuridico, il che implica che la conoscenza delle norme di matrice comunitaria costituisce un dovere imprescindibile sia per l’avvocatura che perla magistratura. Oggi più che mai ad un avvocato civilista si richiede grande attenzione verso la normativa comunitaria vuoi perché essa può sopravanzare (o concorrere con) la norma interna, vuoi per verificare in che misura la legge interna di recepimento abbia correttamente attuato una direttiva (si tratta, in definitiva, di un’operazione logica analoga a quella che si compie a proposito della consonanza tra legge delega e legge delegata). Sotto il profilo dell’esercizio concreto della professione forense, in particolare, è utile concludere con due brevi notazioni operative riferite al giudizio di cassazione. In primo luogo, occorre chiedersi se vi sia la possibilità di richiamare per la prima volta in sede di legittimità una norma comunitaria ignorata dagli avvocati e dai giudici di merito. La risposta mi sembra debba essere positiva, nel senso che, in presenza di un motivo di ricorso adeguatamente costruito e centrato sulla violazione di principi di diritto, la Corte di cassazione può ben applicare direttamente la norma comunitaria ignorata nei precedenti gradi del giudizio ovvero sollevare la questione pregiudiziale ex art. 177 del trattato. Nella motivazione di una risalente pronuncia a sezioni unite della Cassazione, è stato anzi affermato che «l’applicabilità di una norma di legge piuttosto che di un’altra nel caso concreto rientra nel potere-dovere del giudice e la relativa questione può essere proposta senza alcuna formalità in qualsiasi grado e stato del giudizio e quindi anche nella discussione orale dinanzi alla Cassazione». In secondo luogo, può essere utile segnalare, sempre sul concreto versante professionale, che l’emanazione di un regolamento comunitario (data la sua diretta e immediata efficacia interna), dopo la proposizione di un ricorso per cassazione, può e deve ritenersi jus superveniens, come tale immediatamente applicabile.

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4. Il D.P.E.: dal non essere, al tentativo di essere (definitorio).

Siamo partiti dal “non” per giungere ora all’“è” del Diritto Privato Europeo, un passaggio dalle tenebre dell’indistinto alla luce della parola definitoria, come passaggio necessario tra il male (immediatamente evidente e tangibile) al bene (sottile e non tangibile) cui si giunge per il tramite della porta stretta e con estrema difficoltà, consapevole. Cosa è dunque il D.P.E.? Possiamo dire, anzi, scrivere che esso è il Diritto di uno “spazio senza frontiere”, in cui campeggiano i principi di un’economia di mercato, aperta alla libera concorrenza, intendendosi per “spazio” non già un territorio asfittico, non un’astratta “grandezza geografica”, bensì una grandezza giuridico-economica, dove circolano capitali, merci, lavoro, cose, persone, servizi e diritti (ad es. le proprietà): tutto si riunisce ed esprime nella moneta unica, posto che lo spazio europeo è lo spazio dell’Euro, misura e valore di ogni valore.

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5. Il ruolo del genio dell’uomo che domina il caos: il Giurista.

Dinanzi alla multiforme composizione delle fonti del diritto comunitario (dove non v’è il regolatore della gerarchia delle fonti e sembra spirare il venticello della ragionevolezza e del buon senso), il giurista si èleva al rango di ordinatore, che dà regola al caos, come Dio, che è incompatibile con la sregolatezza. Anche il giurista ha una “ragione” (checchè ne pensino i detrattori degli avvocati, che pur entrano a far parte della famiglia dei “giuristi”) e la usa, la vuole usare per creare l’ordinato; per ciò fare, i giuristi (accademici, avvocati, nobili burocrati e giudici) si avvalgono dei processi di concettualizzazione e dello strumento della categoria (o paradigma), per il cui tramite si esprime la rationalitas ordinans; è la nietzschiana volontà di potenza che sottomette a sé la Babele dei linguaggi (normativi e fattuali). Si scopre così l’uniformità del D.P.E., nella molteplicità (apparentemente inconciliabile) di Diritti Privati Nazionali degli Stati dell’Unione).

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6. Il Codice di D.P.E.

L’avvio alla formazione di un Codice viene dato dalla Comunicazione della Commissione Europea sul Diritto contrattuale europeo del 2001 (n. 398), che apre il dibattito tra i giuristi sulla fattibilità di un Codice Europeo dei Contratti. Si costituiscono, a seguire, due Gruppi di Accademici: - il Gruppo Acquis (acquisito); - il Gruppo di studio per un Codice civile eu. Così vengono alla luce: (a) i Principi Acquis (Communautaire); (b) il c.d. PECL (Principles of European Contract Law); (c) il PDEL (Codice Europeo dei contratti). In tutti e tre i casi, si tratta di elaborazioni di un corpo uniforme di norme di un diritto privato europeo che viene tratto dai sistemi nazionali di diritto privato e dall’acquis communautaire in materia. L’istituzione più convinta della necessità di un codice civile è il Parlamento europeo che segnala le “convergenze parallele” del diritto privato europeo e dei diritti privati nazionali. I “coriandoli” del diritto comunitario in subiecta materia si ricompongono in sistema per il tramite della spinta conformatrice della Corte di Giustizia, fonte del D.P.E. Si avvia così l’itinerario di un Cod. Civ. Eu. che viene tracciato (a) dalla Risoluzione del Parlamento Europeo (15 Novembre 2001) che parla di “riavvicinamento” del diritto civile e commerciale degli Stati membri e (b) dalla Comunicazione della Commissione (11 Ottobre 2004) che fa cenno al “Quadro Comune di Riferimento” (Common Frame of Reference).

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7. Conclusione.

Si può dire conclusivamente che il genio europeo ha svolto e continuerà a svolgere una lenta opera di mutazione dei diritti nazionali e, nella misura in cui rafforza la tutela dei diritti soggettivi, sta compiendo un’opera di civilizzazione culturale che - attraversando i concettualismi nazionali - fissa regole di diritto chiare e semplici che appaiono più prossime al senso di giustizia verso il quale anela lo spirito dei Popoli della Comunità europea. In tale ottica, alla Corte di giustizia va riconosciuto un grande merito: quello di avere perseguito un obiettivo di civiltà giuridica, purificato dalle scorie dei particolarismi nazionali, subordinando la legge al valore del diritto e della giustizia. Con ciò facendo, la Corte ha contribuito ad allontanare, sia pure in parte, quel vizio assurdo, denunciato da Carl Schmitt, che consiste nella «babele linguistica del nostro tempo, nella rozzezza della lotta ideologica e nella dissoluzione e contaminazione perfino dei concetti più comuni e correnti nella nostra odierna sfera pubblica».


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