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Il 16 marzo 2018 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il DM n. 17 Regolamento recante la disciplina dei corsi di formazione per l’accesso alla professione di avvocato ex art. 43, comma 2 della legge 31 dicembre 2012 n. 247. In ordine di tempo, si tratta dell’ultimo decreto ministeriale attuativo della legge che ha riformato l’ordinamento professionale forense.
Avvocati che formano Avvocati
L’art. 46 della L. 247/2012 indica ai commi 2 e 3 gli ambiti giuridici che il tirocinante deve conoscere per sostenere le prove scritte ed orali in cui si articola l’esame di stato . Si tratta di materie già oggetto del percorso accademico del laureato in giurisprudenza. La stessa norma, al comma 6 individua i criteri per la valutazione delle prove che presuppongono che il tirocinante che affronta la prova d’esame, abbia acquisito ulteriori competenze che non costituiscono patrimonio del piano di studi accademico, a partire dalla chiarezza e dal rigore metodologico dell’esposizione, abilità che si imparano esercitandosi nella scrittura e nella discussione. E così la capacità di risoluzione di problemi giuridici, che si acquisisce affrontando problemi e casi concreti. E così ancora la conoscenza delle tecniche di persuasione e argomentazione, che si apprendono cimentandosi non solo nel confronto dialettico con il proprio avversario o più semplicemente singolo interlocutore, ma nell’ambito del più complesso quadro di confronto rappresentato dal processo. IlDM sull’esame di Stato (n. 48 del 25 febbraio 2016) che all’art. 5 co 3 stabilisce i criteri per la valutazione delle prove quali la conoscenza da parte del candidato degli orientamenti giurisprudenziali che concorrono a delineare la struttura essenziale degli istituti giuridici e la corretta applicazione delle regole processuali .Anche in questo caso si tratta di saperi che si acquisiscono nell’esercizio dell’attività professionale e dunque necessitano di un approccio didattico del tutto peculiare, non assimilabile a quello universitario, diretto alla formazione del futuro professionista. L’art. 43 della L. 247/2012, dedicato ai corsi di formazione per l’accesso, dispone quali siano le competenze che i corsi devono fornire al tirocinante e da ultimo il DM 17 del 9 febbraio 2018 richiama ogni indicazione nel suo articolo 3 . Ma non è certo sufficiente prevedere un elenco di materie per realizzare il progetto formativo che la legge professionale forense ed i decreti attuativi intendono realizzare con riferimento al futuro avvocato. Non si tratta solo di acquisire nozioni teoriche, di imparare norme e procedure, ma di saperle utilizzare nella risoluzione di casi, argomentando ragioni e criticità alla luce della giurisprudenza, fornendo soluzioni possibili che tengano conto dei profili interdisciplinari che ogni caso rappresenta. E non solo. Si tratta di sapersi muovere in un contesto complesso adottando il comportamento giuridico ma anche e soprattutto etico più consono, rapportandosi agli altri interlocutori nel modo più appropriato, nel rispetto di quelle regole che costituiscono la cifra dell’essere avvocato, difensore dei diritti nel rispetto del diritto, in considerazione della primaria rilevanza giuridica e sociale dei diritti alla cui tutela egli è preposto e nella consapevolezza che il suo agire contribuisce al miglior esercizio della professione nell’interesse dei clienti e dell’amministrazione della giustizia. La formazione del tirocinante un tempo rimessa alla guida del dominus, cui il praticante si rapportava seguendone l’esempio, si accresce oggi di un percorso integrativo che ha l’ambizioso obiettivo di consentirgli di padroneggiare tutti gli strumenti necessari allo svolgimento della professione in completa autonomia . Come ? Una formazione di qualità, che punti allo sviluppo della professionalità, non può che essere proposta in termini professionali e non lasciata, come lo è ancora oggi diffusamente, al puro volontariato di generosi Colleghi, sovente messi in cattedra senza alcun supporto didattico e senza alcuna coordinazione. Una formazione per l’accesso obbligatoria, che sia in grado di rispondere agli obiettivi indicati dalla legge professionale e dal regolamento, non può che essere fornita con specifica competenza formativa, affidabilità, puntualità, organizzazione: in poche parole, professionalmente. E aggiungo: con metodo. La professionalità della formazione costituisce garanzia per il tirocinante e deve contraddistinguere chiunque offra un percorso formativo, sia un soggetto privato, un’associazione o una società commerciale, ma prima di tutto l’Avvocatura istituzionale che deve investire nel futuro della professione forense. Ed è all’Avvocatura istituzionale che il DM affida la determinazione di struttura e metodologia dei corsi di formazione, e ciò tramite linee guida del Consiglio Nazionale Forense .
Formarsi per sapere, per saper svolgere la libera professione, per saper essere Avvocato
La legge professionale ha individuato con precisione gli obiettivi del tirocinio professionale, indicando che esso consiste nell’addestramento sia teorico sia pratico, finalizzato a far acquisire al tirocinante le capacità per l’esercizio della professione di avvocato e per la gestione dello studio legale, ed a fargli apprendere i principi etici e le regole deontologiche. Il Regolamento indica gli specifici obiettivi cui i corsi di formazione devono mirare: l’espletamento delle prove d’esame, lo svolgimento della professione forense, la consapevolezza dei principi deontologici cui informare l’esercizio della professione di avvocato. Questo significa formarsi per avere le conoscenze necessarie ad affrontare e superare l’esame,per poter essere in grado di svolgere la libera attività sotto un profilo sia tecnico sia gestionale, per saper interpretare il ruolo professionale nel modo consono alle regole etiche e deontologiche che costituiscono l’elemento precipuo dell’essere Avvocato. In sintesi ritroviamo i tre saperi che Giovanni Pascuzzi, avvocato e docente di diritto privato comparato, pietra miliare della formazione degli Avvocati, indica come sapere, saper fare e saper essere, ovvero ssia nel passaggio evolutivo dalle conoscenze teoriche, alla loro applicazione pratica, alla corretta interpretazione delle regole al caso secondo i reali interessi del proprio assistito. Ed è in questa prospettiva che tra i saperi oggetto dei corsi di formazione per l’accesso, oltre alle materie “classiche”del diritto, sono stati inseriti con pari dignità le tecniche di redazione degli atti e dei pareri, le tecniche di ricerca, la teoria e pratica del linguaggio giuridico, l’argomentazione forense, l’organizzazione e amministrazione dello studio, i profili contributivi e tributari della professione, l’ordinamento e la deontologia. Come coniugare nel percorso formativo questi saperi così apparentemente eterogenei ?Come far sì che le conoscenze teoriche di questi saperi si traducano, tra il resto, nella dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici trattati piuttosto che nella dimostrazione della capacità di cogliere profili di interdisciplinarietà o ancora nella dimostrazione della conoscenza delle tecniche di persuasione e argomentazione che costituiscono i criteri di valutazione in sede di esame come prevede l’art. 46 comma 6 della L. 247/2012 ?
Formazione: processo d(i)ritto verso la professione forense
L’unica ragionevole risposta è con un procedimento didattico che fornisca un metodo operativo per la risoluzione dei problemi, a prescindere dalla natura specifica del problema stesso, dunque con un metodo, come scrive Paolo Moro direttore della Scuola Forense di Pordenone, avvocato e docente di filosofia di diritto, che unifichi sapere giuridico e abilità forense, che ponga in evidenza la natura interdisciplinare dell’ordinamento giuridico sul piano teorico, che consenta la proiezione professionale del sapere giuridico sul piano pratico . E’ evidente che non avrebbe alcuna utilità che il corso di formazione ex art. 43 L. 247/2012 consistesse in una ripetizione da “compendio” del percorso universitario, così come è altrettanto evidente che la trattazione integrale degli argomenti elencati nell’art. 3 del Regolamento richiederebbe un tempo addirittura superiore alla durata del corso di laurea magistrale e non riscontrerebbe gli interessi di gran parte dei partecipanti (mi riferisco alle materie oggetto della prova orale d’esame, che sono scelte in via alternativa dai discenti). Occorre quindi utilizzare un metodo didattico che fornisca un metodo di lavoro ai discenti, che consenta loro di saper analizzare i problemi, inquadrare le fattispecie giuridiche, individuare la via per la risoluzione, in una prospettiva che non sia meramente sostanziale ma anche processuale nella sua più ampia accezione, comprendendovi i sistemi di risoluzione alternativa delle controversie (ricomprese negli argomenti di formazione indicati dall’art. 3 Reg. 17/2018)e consenta di padroneggiare la giurisdizione, ivi inclusa quella cosiddetta“forense”, rappresentata da tutte le ADR in cui è l’Avvocato che governa il procedimento e si fa garante della sua legittimità. Un metodo che si integri con la pratica presso lo studio legale o l’Avvocatura dello Stato, e costituisca occasione di miglior comprensione e approfondimento del metodo di lavoro di chi Avvocato lo è già, un Avvocato che affronta nella quotidianità problemi concreti – casi – estremamente vari sia negli aspetti sostanziali sia per le possibili modalità di gestione, connesse anche alle attese ed ai bisogni di chi li propone.Un metodo casistico dunque, che partendo dal problema individui gli istituti giuridici interessati, le regole che li disciplinano, le decisioni giurisprudenziali contrapposte, gli strumenti processuali e alternativi al servizio della tutela di diritti, le tecniche per utilizzarli, le argomentazioni per sostenerli. L’indicazione metodologica è del tutto coerente con la natura professionalizzante dei corsi di formazione per l’accesso che, al contrario degli insegnamenti accademici tipici dei corsi di laurea, hanno contenuto tecnico e servono a dare padronanza di metodi e tecniche forensi. Come trasmettere questi insegnamenti ? Come realizzare una didattica efficace ? Solo il coinvolgimento attivo dei discenti consente di pervenire ad una formazione conforme agli obiettivi. Non è sufficiente ottenere l’ascolto, ma occorre provocare la discussione, stimolare il confronto dialettico, proporre tesi ed antitesi, dimostrare, argomentare, confutare, esattamente come avviene nella pratica processuale. Il processo, quindi, quale procedimento metodologico nel quale offrire la discussione del caso.
Un percorso omogeneo, uniformità di giudizio. Le linee guida del C.N.F.
Le argomentazioni sopra offerte motivano le ragioni di un percorso obbligatorio di formazione post lauream per il tirocinante forense. Il percorso universitario dei laureati in giurisprudenza non è pensato per coloro che intendono accedere alle professioni legali. Non esiste un corso di studi dedicato ai futuri avvocati o magistrati. Basti pensare che la tecnica di redazione degli atti o dei pareri non è materia contemplata da alcun insegnamento, lo studente può cimentarcisi solo in qualche laboratorio o seminario facoltativo. Lo stesso dicasi per le tecniche argomentative: in pochissime università si offrono esercitazioni e simulazioni processuali quali complemento dei corsi di diritto processuale, e non risulta a chi scrive che agli studenti sia dato modo di assistere ad un’udienza. Senz’altro è indispensabile a fini formativi lo svolgimento della pratica forense presso un Avvocato, presso l’Avvocatura dello Stato o l’ufficio legale di un ente pubblico, ma la misurazione dell’efficacia formativa della pratica dipende da circostanze difficilmente ponderabili, connesse alla personalità del dominus ed a quella del tirocinante, al luogo, alla tipologia di ambiente, alla collocazione geografica, alla clientela, all’ambito sociale. Sappiamo che l’obbligo di vigilanza dei Consigli degli Ordini è in grado di intervenire a posteriori solo per casi limite di valenza negativa, segnalando all’Organo di Disciplina inadempimenti del dominus ma non certo rifondendo il tirocinante del tempo male impiegato. Ancor meno ponderabile in termini di efficacia formativa è la buona pratica presso un ufficio giudiziario, all’estero o durante l’ultimo semestre di corsi universitari. Si ravvisano così casi di laureati partiti con le medesime condizioni (stesso Ateneo, stesso cursus honorum, stesso voto di laurea) che approdano all’esame di Stato in condizioni totalmente diverse, determinate dalla diversa modalità di frequenza (e qualità) della pratica per luogo, tipologia generale e trattamento specifico in particolare. La Legge professionale e il Regolamento intervengono nell’interesse del discente, ponendo tra gli obiettivi dei corsi la garanzia dell’omogeneità di preparazione e di valutazione, perseguita tramite l’omogeneità dell’offerta formativa. Le linee guida che Il Consiglio Nazionale Forense è chiamato a predisporre dovranno fornire lo strumento per conseguire tale l’obiettivo, da chiunque pervenga l’offerta formativa: Ordini, Associazioni, enti terzi, ed in tal senso sono richiamate sia all’ultimo comma dell’art. 3 sia al secondo comma dell’art. 6 del citato Reg. 17/2018, dedicato al contenimento dei costi, in quanto volti a coprire le spese di organizzazione e dei compensi ai docenti, ma non a discapito della qualità e dell’omogeneità delle proposte formative. La gratuità assoluta è una chimera, non si può fingere di ignorare che la formazione costi: spazi, attrezzature, tempo, lavoro. Chi è convinto che la formazione sia un’opportunità, ed è altrettanto convinto che lo sia solo se qualitativamente elevata, è disposto ad investirvi risorse. L’Avvocatura non fa della formazione uno strumento di lucro, ma di crescita qualitativa e dunque reputazionale della professione forense e investe nelle Scuole che formeranno gli avvocati di domani. L’investimento - a partire da quello del proprio impegno – deve essere anche del tirocinante che intende diventare Avvocato perché crede di avere predisposizione e capacità per svolgere la professione forense, esattamente come ha investito su se stesso per arrivare al diploma di laurea ed ancor prima per acquisire un diploma di scuola media superiore. Non si pensi che queste linee guida intervengano quali Tavole della Legge calate dall’alto, senza un preventivo ragionamento condiviso: i contenuti delle disposizioni sono già stati individuati, quanto meno in linea generale, dall’ampio e articolato lavoro dei referenti per le scuole forensi che si sono confrontati ai tavoli dei “Laboratori” presso la Scuola Superiore dell’Avvocatura lungo tutto il 2016, concludendo l’impegno con il Vademecum consegnato alla Conferenza delle Scuole Forensi nel dicembre 2016. Questo lavoro dovrà essere riversato in un testo normativo, così come disposto dal Regolamento n. 17 del 2918.
La formazione dei formatori. Un percorso condiviso
Nell’ambito dell’attività di servizio e supporto all’Avvocatura nelle sue espressioni territoriali, il Consiglio Nazionale Forense, e per esso la Fondazione Scuola Superiore dell’Avvocatura cui è delegata l’attività di formazione, hanno sviluppato un progetto dedicato alla formazione dei formatori, originariamente pensato per la formazione continua, vale a dire per il percorso di continuo aggiornamento e preparazione che accompagna l’Avvocato per tutta la sua vita professionale. Il progetto, che ha già raggiunto le avvocature toscana, pugliese, piemontese, abruzzese e lombarda ed a breve raggiungerà quella umbra, si propone di delineare un formatore che sia quanto più possibile “esperto” nella gestione dei processi di apprendimento degli adulti e che tragga la sua efficacia sia da un uso appropriato dei metodi e delle tecniche, sia dalla loro coerenza con i processi organizzativi (strategie, strutture, tecnologie, sistemi di pianificazione e controllo) e sociali (cultura organizzativa, professionalità, sistemi di comunicazione). Il progetto è nato su sollecitazione dei Referenti per la Formazione Continua dei Consigli circondariali, nella consapevolezza che la vera sfida che l’Avvocatura deve vincere quando si occupa di formazione, è quella di riuscire ad interpretarla e farla interpretare come una prospettiva necessaria di crescita e che, su tale prospettiva, essa decida di scommettere e di investire, sia in termini di sforzi propositivi, quanto di dotazione di risorse. In questo solco, la Scuola Superiore dell’Avvocatura, ha varato il progetto NOVAFORM, espressamente dedicato alle Scuole Forensi ed ai formatori dei corsi per l’accesso alla professione di Avvocato, che prevede moduli formativi distinti dedicati alla costituzione, organizzazione e gestione della Scuola (ivi compresa la scelta dei docenti e dei tutores); alle fonti e fondamenti della formazione per l’accesso ed alla scelta del metodo didattico; alle tecniche didattiche ed alle tipologie di lezioni. Ciascuna Scuola potrà richiedere di essere supportata nelle scelte pragmatiche e nella preparazione dei suoi formatori. La posta in gioco è ancora più alta rispetto alla formazione continua, perché riguarda la formazione di coloro che negli anni a venire dovranno interpretare le regole del diritto, in un contesto economico e sociale globale sempre più propenso a valutare in termini mercatistici i principi fondamentali della società civile ed i diritti delle persone. Le nuove regole per la formazione dell’accesso pongono nelle mani dell’Avvocatura la preparazione dei suoi stessi successori. L’Avvocatura ne sarà capace ?
Formazione per l’accesso: ci siamo
Con l’avvento della formazione obbligatoria per l’accesso, con tutto quanto essa porta con sé, l’Avvocatura inizia una nuova pagina della sua storia. Una pagina che tanti Avvocati seri e generosi hanno iniziato a scrivere anni fa, quando pioneristicamente affrontavano un argomento che interessava a pochi, armati non solo della loro esperienza e competenza ma anche di una grande determinazione, nella convinzione che la strada intrapresa non potesse che essere quella della professionalizzazione della formazione a tutto tondo: nelle materie di formazione, nell’approccio metodologico, nella gestione del percorso, nella docenza. Ad essi va detto grazie. Grazie anche agli straordinari Colleghi che in questi anni hanno retto le sorti delle scuole di formazione per l’accesso, che hanno messo la loro competenza ed esperienza al reciproco servizio ragionando e sviluppando metodi e programmi per una formazione efficace del futuro avvocato, e fornendo un contributo determinante alla scrittura di questa pagina. Il lavoro non è finito ma ricomincia, da parte mia con rinnovato entusiasmo.
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