{{slotProps.data.titolo}}
{{slotProps.data.sottoTitolo}}
{{slotProps.data.anteprima}}
{{slotProps.data.autore}}
{{elencoDettaglioArticolo.sottoTitolo}}
I Consigli Distrettuali di Disciplina (CDD) sono stati istituiti con la legge 31 dicembre 2012 n. 247 (titolo V artt. 50-63), ma l’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti degli iscritti è stata loro trasferita a partire dal 1° gennaio 2015.
La legge professionale ha demandato al Consiglio Nazionale Forense l’approvazione dei regolamenti sia per l’elezione dei componenti dei Consigli Distrettuali che per il procedimento disciplinare: in data 31 gennaio 2014 è stato approvato il primo regolamento elettorale con previsione dell’insediamento dei primi Consigli a decorrere dal 1° gennaio 2015, mentre il 21 febbraio 2014 è stato approvato il secondo regolamento sul pro- cedimento.
I Consigli sono istituiti in ambito distrettuale e composti da membri eletti “su base capitaria e democratica”, con il rispetto della rappresentanza di genere; in ogni Consiglio il numero complessivo dei consiglieri deve essere pari a un terzo della somma dei componenti i singoli Consigli degli Ordini Forensi del distretto, approssimato per difetto all’unità.
Ciascun Ordine Forense, con una elezione di secondo grado, elegge i Consiglieri di disciplina del Foro per un numero pari ad un terzo dei propri componenti; per il mandato è prevista una durata di quattro anni e non sono consentiti più di due mandati consecutivi.
Complessivamente vi sono ventisei Consigli Distrettuali con settecentodue Consiglieri di Disciplina. La funzione esplicata è amministrativa ma di natura giustiziale, anche se non giurisdizionale, caratterizzata da elementi di terzietà valorizzati sia dal peculiare sistema elettorale, sia dalle specifiche garanzie d’incompatibilità, astensione e ricusazione, nell’ambito di un procedimento che termina con una decisione impugnabile innanzi al Consiglio Nazionale Forense in una fase, invece, di natura giurisdizionale.
Dopo la legge n. 247/2012 il Consiglio dell’Ordine (COA) è rimasto l’organo di vigilanza deontologica e di esecuzione delle sanzioni ed il CDD è divenuto l’organo titolare del potere disciplinare.
Esiste tra COA e CDD un rapporto di “alterità organica”, che trova il suo fondamento nell’intento riformatore complessivo in materia di ordini professionali espresso sin dal D.L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 3, comma 5, lett. f), in cui si legge che “gli ordinamenti professionali dovranno prevedere l’istituzione di organi a livello territoriale, diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali sono specificamente affidate l’istruzione e la decisione delle questioni disciplinari e di un organo nazionale di disciplina” e che “la carica di consigliere dell’ordine territoriale è incompatibile con quella di membro dei consigli di disciplina nazionali e territoriali”.
La necessità di un livello maggiore di neutralità dell’organo disciplinare si trova sottolineatane i lavori di pre- paratori della nuova legge professionale forense (v. atti Senato, dossier n. 99, d.d.l. A.S. 711 e A.S. 1198) che ha realizzato in ambito disciplinare i principi di indi- pendenza e di terzietà dell’organo giudicante.
Nella previgente legge professionale il COA concentrava più ruoli e valutava la condotta del proprio iscritto, che era colui che partecipava all’elezione dei componenti dello stesso COA; tale diretta relazione esponeva l’imparzialità del giudizio disciplinare al rischio, anche solo potenziale, di condizionamenti in un sistema che, prima del 2012, non prevedeva peraltro limiti tempora- li ai mandati delle cariche istituzionali dell’avvocatura.
Il Consiglio dell’Ordine, allora, vigilava sugli iscritti, avviava il procedimento disciplinare, lo istruiva e lo decideva. Oggi al CDD è devoluta dalla legge l’applicazione delle norme disciplinari con imparzialità e con separazione del segnalato dal Consiglio dell’Ordine presso il quale è iscritto, restando preclusa al consigliere di Disciplina Forense ogni valutazione delle condotte degli iscritti al suo stesso Ordine Forense.
Con la riforma operata dalla legge n. 247/12 le fasi di avvio, di istruttoria e di decisione del procedimento disciplinare restano attribuite a tre soggetti distinti che operano in completa autonomia e che sono COA, Consigliere Istruttore e Sezione giudicante del Consiglio Distrettuale composta da 5 consiglieri tra i quali non è compreso il Consigliere Istruttore, né altro consigliere iscritto allo stesso Ordine Forense dell’attinto dall’esposto.
La fase di avvio della segnalazione è l’unica di competenza del COA che, quando riceve un esposto o una denuncia o una comunicazione dall’Autorità Giudiziaria o acquisisce comunque notizia di fatti suscettibili di valutazione disciplinare, immediatamente deve darne informazione all’iscritto, invitandolo a presentare le sue deduzioni, e trasmettere gli atti al Consiglio distrettuale di disciplina (artt. 50-51 LP e art. 11 Reg. C.N.F. n. 2/14).
L’attività di trasmissione è per il COA un atto amministrativo di natura vincolata, sia nel merito che nella determinazione dei tempi, caratterizzato dall’assenza di ogni potere valutativo o deliberativo. L’invio avviene con modalità telematiche, essendo stato il procedimento disciplinare organizzato sin dall’inizio attraverso sistemi telematici; la segnalazione ricevuta viene immediatamente iscritta nel registro riservato presso il CDD con due effetti importanti. Il primo è il radicamento della competenza: la legge professionale all’art. 52.2 sancisce una duplice competenza a procedere disciplinarmente: una è attribuita al CDD del distretto ove il professionista è iscritto, l’altra a quello del distretto nel quale è avvenuto il fatto per cui si procede, con risoluzione di ogni conflitto attraverso il principio della prevenzione con riguardo al momento dell’iscrizione della notizia nel registro riservato.
Il secondo effetto prodotto dall’iscrizione nel registro riservato è l’operatività del divieto di cancellazione dall’albo, elenco o registro forense dell’iscritto che sia sottoposto a procedimento disciplinare (artt. 17, co. 16, e 53 L. n. 247/2012), anche se con trasferimento da un COA all’altro, pure nello stesso distretto. Il divieto è diretto ad evitare che l’iscritto possa sottrarsi al procedimento disciplinare (poiché con la cancella- zione verrebbe meno il potere di supremazia speciale di cui gode l’Ordine nei soli confronti dei propri iscritti) ed opera fino alla definizione del procedimento stesso.
Il divieto non trova tuttavia applicazione nelle ipotesi di:
a) mancanza ab origine di uno dei requisiti per l’iscrizione all’albo (art. 17, comma 12, L. n. 247/2012),
b) sopravvenuta incompatibilità professionale ovvero successiva perdita dei requisiti di legge necessari per l’iscrizione (art. 17, commi 1 e 2, L. n. 247/2012),
c) cessazione dell’esercizio dell’attività professionale in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente (art. 21 L. n. 247/2012).
La potestà disciplinare del CDD si esercita nei confronti degli avvocati e dei praticanti, ma anche delle società professionali, quindi di tutti i soggetti che sono iscritti negli albi, elenchi, registri tenuti dal Consiglio dell’Ordine, con riguardo ai comportamenti tenuti nella attività professionale, ma anche in relazione alle condotte che riguardino la sfera privata ove risulti compromessa la reputazione professionale o l’immagine della professione forense.
Per l’avvocato italiano che esercita all’estero opera il principio della doppia deontologia, con obbligo di rispettare sia le norme deontologiche interne che quelle del paese in cui è svolta l’attività; l’avvocato straniero che opera in Italia è tenuto al rispetto delle norme deontologiche italiane.
La potestà disciplinare non è esclusa dall’eventuale sussistenza di analoga potestas iudicandi in capo ad una ulteriore istituzione cui l’incolpato pure appartenga, risultando tra loro compatibili sia i rispettivi interessi a censurare deontologicamente i comportamenti non consoni e non decorosi tenuti dai propri appartenenti, sia le rispettive sanzioni disciplinari volte ad incidere su status differenti (ipotesi di magistrato onorario sottoposto al potere disciplinare del C.S.M., sentenza C.N.F. del 23 dicembre 2017, n. 230).
Qualora la condotta contestata riguardi un Consigliere dell’Ordine o un Consigliere di Disciplinala competenza spetta al CDD di altro distretto, predeterminato ed indicato nell’allegato 1 al Reg. C.N.F. n. 2/14.
Il CDD agisce “in piena indipendenza di giudizio e autonomia organizzativa ed operativa” attraverso sezioni fisse composte da cinque titolari e tre supplenti, con non più di due componenti appartenenti allo stesso foro. Il mutamento della composizione della Sezione nel corso del procedimento non integra l’invalidità della relativa decisione assunta. Infatti, il principio di immodificabilità del Collegio giudicante, previsto dall’art. 473 c.p.c. e richiamato dall’art. 63, comma 3, R.D. 37/34 con riferimento al solo procedimento giurisdizionale innanzi al C.N.F., non trova applicazione nel procedimento dinnanzi ai Consigli di disciplina, che compiono un’attività amministrativa per la quale vige solo il principio del rispetto del quorum previsto per la validità della deliberazione (C.N.F. sent. n. 237 del 28 dicembre 2021).
Le ipotesi di astensione e ricusazione dei componentdelle sezioni del Consiglio Distrettuale sono regolate nel Reg. C.N.F. n. 2/14 agli artt. 6-9. Per le SS.UU. il procedimento davanti al Consiglio distrettuale di disciplina conserva il carattere amministrativo del precedente procedimento di competenza dei Consigli dell’ordine, pertanto, non trovano applicazione le norme in tema di astensione del giudice contenute nei codici di procedura civile e penale (Cass. SS.UU, sentenza n. 19030 del 6 luglio 2021).
Secondo la pronuncia l’inosservanza dell’obbligo di astensione di cui all’art. 51, n. 1, c.p.c. determina la nullità del provvedimento emesso solo ove il componente dell’organo decidente abbia un interesse proprio e diretto nella causa che lo ponga nella qualità di parte del procedimento; in ogni altra ipotesi, invece, la violazione di tale obbligo assume rilievo come mero motivo di ricusazione, rimanendo esclusa, in difetto della relativa istanza, qualsiasi incidenza sulla regolare costituzione dell’organo decidente e sulla validità della decisione, con la conseguenza che la mancata proposizione di detta istanza nei termini e con le modalità di legge preclude la possibilità di fare valere il vizio in sede di impugnazione, quale motivo di nullità del provvedimento.
L’istituto della ricusazione, finalizzato alla corretta attuazione del principio di imparzialità, opera esclusivamente nei confronti del Giudice inteso come persona fisica e non come Ufficio Giudiziario, dovendosi, in caso di sospetto d’imparzialità di tutti i componenti del collegio, allegare per ciascuno di essi le specifiche cause di ricusazione.
Conseguentemente, è inammissibile la ricusazione rivolta impersonalmente e collettivamente nei confronti dell’intera Sezione disciplinare (CNF sent. 16/2022). I componenti delle sezioni del CDD possono essere individualmente ricusati dalle parti entro sette giorni dalla conoscenza dei motivi che la giustificano e, in ogni caso, prima della decisione (art. 7 Reg. CNF n. 2/2014).
Il termine è perentorio ed è volto ad impedire che la ricusazione possa essere utilizzata per scopi strumentali e diversi rispetto alla ratio dell’istituto, evitando sia che possano permanere sospetti sulla imparzialità del giudice senza limiti di tempo, sia che vi possa essere un irragionevole prolungamento della definizione del procedimento (CNF n. 246/21).
La composizione delle sezioni in numero di cinque consiglieri effettivi e tre supplenti ha evidenziato sin da subito alcune criticità, prime fra tutte le difficoltà di procedere alle riunioni in presenza per le distanze tra i Fori di provenienza dei diversi Consiglieri, o, nei distretti più piccoli, di formare più sezioni fisse.
Il Consiglio Nazionale Forense, sollecitato anche dalla rete creatasi tra i Consigli Distrettuali, da tempo ha elaborato un elenco di modifiche alla normativa vigente finalizzate a snellire l’iter procedimentale, tra le quali anche la riduzione da cinque a tre dei componenti effettivi della Sezione giudicante; le proposte di modifica sono state sottoposte all’attenzione dell’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia e sarebbe più che auspicabile di poter vedere a breve la loro approvazione in sede parlamentare. Dopo dieci anni dall’approvazione della L.P. e due mandati di attività “sul campo” dei Consigli di Disciplina, i correttivi proposti potrebbero garantire procedimenti più celeri e più efficaci, senza alcuna contrazione dei diritti di difesa dell’iscritto.
{{slotProps.data.sottoTitolo}}
{{slotProps.data.anteprima}}
{{slotProps.data.autore}}
Categoria