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Sommario: 1. Premessa. – 2. Avvocato e cliente. – 3. Avvocato ed ex-clienti. – 4. Avvocato e clienti conflittuali. – 5. Avvocato e clienti parentali. – 6. La patologia del rapporto e la doppia fedeltà.
1. Premessa Il tema è apparentemente privo di richiami, poiché la figura del cliente è nitida nella costruzione del sistema deontologico, e tanto più per noi che abbiamo ripudiato perfino la parola preferendo quella di parte assistita.
Nella nozione comune, infatti, si definisce cliente il soggetto che conferisce il mandato di diritto sostanziale ed è tenuto al pagamento del compenso, mentre parte assistita è il soggetto che rilascia la procura alle liti e viene assistita in giudizio; proprio per questo abbiamo sempre privilegiato quest’ultima locuzione, per sottolineare il valore e la qualità della prestazione professionale.
Il nuovo codice deontologico ha pensato di evitare ogni distinzione reiterando i due concetti, non solo nel tito- lo II ad essi dedicato (“Rapporti con il cliente e con la parte assistita”) e nei singoli articoli (artt. 23-37), ma anche in altre disposizioni: una scelta che francamente avremmo evitato, visto che nella quasi totalità le due figure coincidono e un’unica nota di richiamo sarebbe stata sufficiente.
Per una volta, peraltro, anche il cliente è utile all’analisi da compiere, poiché offre una tipologia lessicale più ampia, essendo riferibile a molti soggetti, tra di loro variamente collegati: intorno a questi, nelle tante configurazioni possibili, è utile soffermarsi per approfondire il contenuto delle regole deontologiche e individuare i limiti che possano importare obblighi o preclusioni nell’assunzione del mandato e più in generale nei rap- porti con il difensore.
2. Avvocato e cliente Secondo i principi deontologici unanimemente ricorrenti, l’avvocato deve prestare la propria attività in fa- vore del cliente nel rispetto assoluto della lealtà, correttezza e fedeltà, che impongono la cura massima degli interessi dei soggetti che a lui si rivolgano e l’obbligo di non arrecare comunque pregiudizio con atti o comportamenti pregiudizievoli.
La lealtà e correttezza dei mezzi assicurano il rispetto delle regole anche processuali e il rifiuto di ogni attività non lecita, mentre la fedeltà impone di rappresentare la parte senza condizionamenti che derivino da volontà o interessi contrari.
È impensabile infatti operare contro il cliente oppure agire in favore di un cliente, e contestualmente assisterne un altro contro il primo, violando la fides, un legame perfino religioso nei tempi antichi. Lo ricorda la legge delle XII tavole (8.21) stabilendo che patronus, si clienti fraudem fecerit, sacer esto (sacer, cioè maledetto, esecrato, votato alla divinità degli inferi).
Nel nostro codice deontologico, i doveri di lealtà e correttezza sono previsti nell’art. 9, insieme con altri quali l’indipendenza, la dignità, il decoro, la diligenza, men- tre il dovere di fedeltà è previsto separatamente nell’art. 10.
Per tutti, le regole deontologiche specificano dettagliatamente le condotte da seguire e da evitare, onde non occorre dilungarsi su questi principi, per i quali ci limitiamo a rinviare ai nostri scritti (Il nuovo codice deontologico forense - Commentario, Milano, 2014, pp. 108 e 113, e ancor prima, con riferimento al vecchio Codice, al Codice deontologico forense - Trattato, Mila- no, 2006, 3° ed., pp. 157 e 175, anche per la giurisprudenza disciplinare intervenuta).
Qui basti ribadire che è improponibile la contemporanea assunzione di un mandato pro e contra lo stesso cliente, se pure in controversie diverse, mentre è certamente possibile (è normale) la contemporanea difesa di più parti che abbiano interessi comuni.
Per vero, non manca chi ritiene possibile l’assunzione di un mandato contemporaneamente in favore e contro lo stesso cliente, quando le materie oggetto della controversia siano diverse, senza connessioni o interferenze, oppure in relazione alle dimensioni e caratteristiche degli studi. Per questo secondo profilo si è accennato al fatto che nei grandi studi la protezione e segretezza delle noti- zie può essere attuata attraverso le barriere informative (Chinese Walls), onde è assicurata anche l’indipendenza; mentre con riferimento alle materie, sono stati presi in considerazione alcuni casi in cui (talvolta con il consenso espresso delle parti) sono state affidate consulenze su questioni specifiche a studi legali che avevano in corso anche giudizi contro gli stessi clienti.
Con tutta la comprensione possibile, e pur fatte salve vicende marginali, non riteniamo possa essere in alcun modo consentita la duplice antitetica posizione. Banalmente, infatti, se è vietata l’assunzione di un incarico contro un ex-cliente, a maggior ragione è proibito agire contro un cliente nell’attualità del mandato.
3. Avvocato ed ex-clienti La ragione per cui non è possibile assumere un incarico contro una parte assistita in precedenza viene dalla considerazione che il rapporto di fiducia può cessare, ma non può immediatamente ribaltarsi in senso contrario.
Si afferma pertanto che il valore della fedeltà è tale da propagare i propri effetti per un tempo determinato, anche oltre la scadenza del mandato, impedendo di agire o di costituirsi in giudizio contro un ex-assisti- to, anche quando quest’ultimo si sia rivolto a un nuovo avvocato. In pratica si realizza una ultra-attività dei doveri relativi al mandato professionale (così possiamo chiamarla), che viene meno – secondo le condizioni stabilite – con il trascorrere del tempo.
Nel vecchio codice deontologico (art. 51), l’assunzione di un incarico professionale contro un ex-cliente era ammessa quando fosse trascorso “un ragionevole periodo di tempo”, poi divenuto con le modifiche del 2006 “almeno un biennio” (Trattato, p. 751).
Il periodo di tempo indicato nel biennio è ora stabilizzato con il nuovo codice deontologico e con le disposizioni dell’art. 68 in vigore (Commentario, p. 411). Abbiamo espresso più volte la nostra preferenza per il termine “ragionevole”, che è più esattamente proporzionato e apprezzabile in considerazione delle circostanze concrete nelle quali si è svolto il rapporto precedente, ma ragioni di concretezza hanno suggerito un termine fisso, di cui occorre ora soltanto prendere atto.
Ovviamente l’oggetto del nuovo incarico deve essere “estraneo” a quello espletato in precedenza, poiché in caso contrario il divieto è illimitato nel tempo (art. 68.2), e ciò per intuitive ragioni di tutela dei principi di fedeltà, segretezza e riservatezza, che sono alla base della prestazione in precedenza resa. Con la particolarità che non occorre che il nuovo incarico sia identico per l’oggetto a quello precedente: è sufficiente un rapporto di non estraneità, ovvero anche una semplice contiguità o connessione.
Lo stesso art. 68 proclama d’ufficio un obbligo di astensione all’assunzione dell’incarico nelle controversie familiari e in favore di un coniuge contro l’altro quando l’avvocato abbia assistito in precedenza i coniugi congiuntamente (art. 68.4), e ancora nelle controversie tra minori e genitori, nel caso previsto (art. 68.5).
Le controversie familiari meritano invero la più ampia protezione.
In ogni caso, è fatto divieto all’avvocato di utilizzare notizie “acquisite in ragione del rapporto professionale già esaurito”, come è prescritto ancora dall’art. 68.3 del codice, che richiama l’obbligo di rispettare il segreto professionale, un principio costante che pure con- ferma il proprio valore per un tempo illimitato, indipendentemente dalla avvenuta scadenza del mandato. Si noti tuttavia che – quando sia trascorso il termine previsto e non si tratti di rapporti connessi o familiari – la conoscenza di notizie acquisite nel corso del precedente rapporto non impedisce l’assunzione di un nuovo mandato, ma impone soltanto di non utilizzarle (art. 68.3).
4. Avvocato e clienti conflittuali Vi sono ulteriori preclusioni che toccano il rapporto tra difensore e cliente e inducono a valutare la possibilità di assumere un incarico quando siano in gioco interessi contrastanti.
Nella conflittualità degli interessi, invero, viene meno la stessa possibilità di un’effettiva e valida reciproca assistenza, ed è per questo che la stessa normativa penale e civile escludono la possibilità di una difesa congiunta.
A norma dell’art. 106 c.p.p., infatti, non può essere assunta la difesa di più imputati se vi siano tra loro situazioni che importino incompatibilità, intervenendo il giudice in tal caso con ogni più opportuno provvedi- mento.
Lo stesso vale nel processo civile, pur nell’inesistenza di una specifica disposizione, quando non possa essere assicurata una sostanziale difesa e un’effettiva partecipazione al giudizio per ragioni di conflittualità: il giudice può dichiarare nulla la procura conferita dai soggetti in conflitto di interesse, sanzionando così il principio per cui la prestazione in situazioni di conflitto equivale a mancanza di prestazione, cioè a mancanza di assistenza (più ampiamente, su questi temi L. C ROTTI, Il conflitto di interessi nell’attività dell’avvocato, in Riv. trim. dir. e proc. civile, 2021, 203).
Nell’ambito deontologico, la regola è fissata dall’art. 24 che impone in generale all’avvocato di astenersi dal prestare attività professionale quando questa possa determinare un conflitto con l’interesse del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale.
Opportunamente, poi, il codice indica alcune ipotesi nelle quali il conflitto di interesse può dirsi sussistente (art. 24.3): quando
(i) il nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altro cliente;
(ii) la conoscenza degli affari di una parte possa favorire ingiustamente un altro cliente (con possibile pregiudizio per il primo);
(iii) l’adempimento di un precedente mandato limiti l’in- dipendenza dell’avvocato nello svolgimento del nuovo incarico. Nei primi due casi il nuovo mandato verrebbe a essere ingiustamente agevolato, mentre nel terzo caso sarebbe il nuovo mandato a essere pregiudicato. L’art. 24.5 precisa infine che il dovere di astensione sussiste anche se le parti aventi interessi confliggenti si rivolgano ad avvocati che siano partecipi di una stessa associazione di avvocati o associazione professionale o esercitino negli stessi locali e collaborino professionalmente in maniera non occasionale (potremmo chiamarlo un “conflitto soggettivo”). Le disposizioni riprendono esattamente gli stessi principi in precedenza affermati nel vecchio codice (art. 37). Come abbiamo avuto occasione di precisare (Commentario, p. 167; Trattato, p. 564), il conflitto di interessi che determina la preclusione all’assunzione del manda- to non deve essere effettivo e concretamente individuato, ma può essere anche solo potenziale (cioè non meramente virtuale o astratto, ma passibile di realizzarsi).
Su questo tema vi sono state alcune decisioni difformi della Cassazione e degli organi disciplinari, per le quali non basterebbe un conflitto potenziale ma occorrerebbe “l’accertamento, adeguatamente motivato, della realizzazione in concreto del riscontrato conflitto”, ma il tenore della normativa – secondo l’opinione da noi sempre espressa, e da ultimo anche da Cass., sez. un., 12 marzo 2021, n. 7030, in Giur. it., 2021, 2356, con nota di R. CONTE e ampia rassegna di precedenti – autorizza l’interpretazione più ampia.
Lo conferma anche il codice deontologico europeo (art. 3.2.1.), per cui la preclusione sussiste se vi sia un conflitto tra gli interessi dei clienti o “il rischio serio di un conflitto” (il codice deontologico europeo è riportato in calce al nostro Ordinamento forense e deontologia - Manuale breve, Milano, 2022, 17° ed., p. 325).
A parte i tre casi specifici sopra riportati (i, ii, iii), che offendono particolarmente la segretezza e l’indipendenza, in termini generali sussiste il conflitto di interessi e quindi il divieto di assumere un mandato quando l’avvocato sia richiesto di assistere un cliente in un affare/controversia che sia potenzialmente confliggente con gli interessi di un altro cliente nello stesso affare/ controversia, o in affari/controversie connessi.
Il conflitto dunque va accertato in rapporto all’affare, e non ai clienti, e deve essere un conflitto che sorge in relazione alla stessa materia o materia connessa. Su questo punto l’interpretazione delle norme e dei precedenti disciplinari non ammette esitazioni e in tal senso si esprime anche F. BONELLI, Il conflitto di interessi nell’assunzione di incarichi da parte di avvocati, in Diritto commerciale internazionale, 2009, 3, che pure riporta alcuni passi dei nostri Commentario e Manuale breve, con riferimento anche alla normativa deontologica straniera. Rimangono al di fuori dell’analisi in corso i casi in cui intervenga il consenso del cliente interessato, per diritti evidentemente disponibili, che consentono di superare senza contrasti ogni possibile ambiguità di interpretazione.
In verità, se il consenso è ammesso ed è risolutivo sul piano civilistico, limiti possono comunque imporsi sul piano deontologico, quando il contrasto di interessi possa essere ritenuto incidente sulla stessa di- gnità dei rapporti tra le parti.
5. Avvocato e clienti parentali
Infine, l’analisi impone di indagare se esistano altri fatti rilevanti ostativi all’assunzione di un incarico. Si tratta cioè di chiarire se, quando non si agisce nei confronti di un cliente, né di un ex-cliente, né esistono conflitti di interesse, vi sia un dovere di evitare l’assunzione del mandato quando vi siano soggetti che possano essere “qualificati come clienti”, cioè soggetti collegati varia- mente a clienti già in atto, per rapporti di parentela o appartenenza a gruppi di società.
Soggetti “non clienti”, ma “clienti per rango parentale”, così possiamo chiamarli, o più brevemente clienti parentali. Qui non vi sono regole determinate nel codice deontologico (salvo il dovere di rispettare sempre l’indipendenza e la segretezza): non è precluso, quindi, assumere un incarico contro un amico di un cliente o un parente dello stesso cliente, o società di uno stesso gruppo, fatta eccezione ovviamente per le controversie strettamente e contestualmente connesse e limitate all’ambito familiare o per affari/controversie connessi alle società del medesimo gruppo (nel qual caso, peraltro, più propriamente, scatterebbero le preclusioni derivanti dall’art. 24 cod. deont., relativamente al conflitto di interessi).
Possono certamente ricorrere profili di opportunità nell’accettazione o meno di un incarico di questo tipo, secondo la sensibilità di ciascuno, ma non vi sono preclusioni fissate dalla legge, nel rispetto dei principi e dei valori indicati; e i profili di opportunità possono giustificare la rinuncia volontaria ad assumere il secondo mandato, ferma in ogni caso la dichiarazione di protezione di ogni informazione.
6. La patologia del rapporto e la doppia fedeltà Lasciati i diversi tipi di clientela, con le caratteristiche che abbiamo delineato e i doveri che presidiano e tutelano la prestazione, non possono essere trascurati i casi in cui la mancata osservanza dei principi deontologici determina grave squilibrio nell’attività della difesa e alterazione nel rapporto tra le parti e nel processo. Clienti traditi e clienti favoreggiati.
I primi sono quelli nei cui confronti sono poste in essere azioni dannose nel- le tante ipotesi percorribili. Si chiama patrocinio infedele quando viene arrecato “nocumento” agli interessi della parte assistita, volontariamente e coscientemente (art. 380 c.p.), oppure quando viene prestata attività, contemporaneamente, anche per interposta persona, a favore di parti contrarie (art. 381 c.p., altre infedeltà del patrocinatore). Sono i casi più rilevanti, la più grave delle violazioni che possano essere addebitate al difensore, come tali ostative perfino all’iscrizione all’al- bo (art. 17.1, lett. g, l.p.f.), o ragione di radiazione di diritto nella precedente legislazione (art. 42 legge professionale del 1933).
Ma vi sono anche gli innegabili, illeciti vantaggi che il cliente ottiene quando il difensore non rispetta il proprio dovere di indipendenza, con veri e propri atti di connivenza o favoreggiamento: atti illeciti, fraudolenti o nulli che sono sanzionati dall’art. 23.6 del codice deontologico, atti comunque contrari a disposizioni di legge, ma compiuti a vantaggio del cliente, in quella sorta di immedesimazione o “coscienza a noleggio” che tante volte abbiamo richiamato e biasimato.
Clienti favoreggiati, che offendono non solo le norme giuridiche ma i principi e i valori della professione, e mettono in crisi il doveroso rapporto di tutela anche degli altri.
Clienti dunque traditi e clienti favoreggiati. La fisiologia del cliente si amplia attraverso la patologia della difesa, in quel grande meccanismo di assistenza e consulenza che pure ogni giorno esemplarmente si attiva e nella grande ricchezza che si esprime con l’opera che gli avvocati danno per la realizzazione della giustizia, nei loro studi come nelle aule giudiziarie, assistendo i clienti ma al contempo difendendo l’ordine dello Stato.
La duplice funzione richiama la divinità venerata dai Romani, la figura di Giano, con il viso rivolto all’entrata e all’uscita, bifronte non per callida astuzia, ma perché protettore della casa e della città, all’interno e all’esterno di esse, per assicurare la pace e la serenità.
È la stessa doppia fedeltà che si richiede al difensore, fedeltà alla parte assistita e fedeltà alle leggi dell’ordinamento, per la difesa di un luogo, il più recondito ma al contempo il più frequentato, che si chiama giustizia.
Qui è la forza dell’avvocatura, la sua persistente necessità nel tempo e il valore che trae dalla difesa dei diritti.
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