{{slotProps.data.titolo}}
{{slotProps.data.sottoTitolo}}
{{slotProps.data.anteprima}}
{{slotProps.data.autore}}
{{elencoDettaglioArticolo.sottoTitolo}}
L’utilizzo sempre più frequente di internet e delle tecnologie digitali nella vita quotidiana, ha posto la dottrina e la giurisprudenza degli ultimi anni di fronte alla necessità di interpretare, sotto una nuova luce, testi normativi nati e pensati per i contratti cartacei, al fine di adattarli alle situazioni concrete derivanti dai contratti online. Nel caso della disciplina relativa alle clausole vessatorie questo si è concretizzato in varie e spesso contrastanti posizioni della giurisprudenza, che lasciano gli interpreti tutt’ora sprovvisti di un orientamento ben definito.
Tuttavia, l’utilizzo sempre più diffuso dei contratti conclusi tramite internet impone di fare delle scelte ermeneutiche sulla base delle diverse teorie che si sono susseguite nel tempo e di una conoscenza approfondita della disciplina vigente. Preliminarmente, va specificato che la disciplina delle clausole vessatorie è prevista in via generale dal Codice Civile e in via speciale dal Codice del Consumo (D. Lgs 206/2005) per alcuni tipi di contratti.
Ai sensi dell’art. 1341 c.c. sulle condizioni generali di contratto, alcune di queste, elencate nel secondo comma, “non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto”. Proprio questa previsione normativa ha ingenerato una serie di dubbi nel momento in cui si è cercato di applicarla ai casi dei contratti online: come si può specificamente approvare per iscritto una clausola in un contratto che si conclude cliccando sul pulsante di una schermata su internet?
Nel Codice del Consumo, invece, gli articoli 33 e seguenti prevedono una disciplina speciale per le clausole vessatorie contenute nei contratti tra un professionista e un consumatore (B2C, business to consumer). Da un lato troviamo una serie di clausole, elencate nell’art. 33, che sono nulle se il professionista non prova che siano state oggetto di specifica trattativa con il consumatore (tra queste, quelle che hanno per oggetto lo “stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore”, art. 33 co. 2 lett. u). Dall’altro poi l’art. 36 stabilisce che altre clausole, considerate particolarmente problematiche per la posizione del consumatore (non a caso l’articolo è rubricato “nullità di protezione”) sono nulle anche se sono state oggetto di una specifica trattativa.
Su internet solitamente i contratti sono predispostiunilateralmente dal proponente e accettati dall’altro contraente tramite il meccanismo di point and click, ovvero cliccando su un’icona o un pulsante presente sulla schermata online e prestando, in questo modo, il proprio assenso. Dal punto di vista delle clausole vessatorie la questione alla stipula del negozio giuridico che maggiormente si è posta ai giudici di merito è stato il dubbio sulla possibilità che tale azione, considerata sufficiente per la conclusione di un contratto (anche solo per integrare un fatto concludente), sia altresì idonea a integrare il requisito della specifica approvazione per iscritto richiesto dall’art. 1341 c.c.
È pacifico che, nei contratti cartacei, tale requisito sia soddisfatto tramite la sottoscrizione autografa del contraente debole in calce alla clausola vessatoria, specificamente e addizionalmente rispetto alla firma utilizzata per la conclusione del contratto. Nel caso dei contratti online, la giurisprudenza si è divisa sugli strumenti tecnici da considerare idonei per replicare in rete lo stesso tipo di meccanismo. Già nel 2002, il Giudice di Pace di Partanna1 risolveva la questione in maniera innovativa: il proponente avrebbe dovuto prevedere un meccanismo di doppio click, uno di adesione e l’altro di approvazione delle clausole vessatorie. Dieci anni dopo, invece, il Tribunale di Catanzaro stabiliva che “nei contratti telematici a forma libera il contratto si perfeziona mediante il tasto negoziale virtuale, ma le clausole vessatorie saranno efficaci e vincolanti solo se specificamente approvate con la firma digitale”, mettendo i contraenti di fronte alla necessità di utilizzare un meccanismo ancora oggi piuttosto complesso e poco diffuso come la firma digitale per la conclusione dei contratti online contenenti clausole vessatorie. Veniva in questo modo seguita una interpretazione restrittiva dell’art. 1341 c.c., che vedeva come necessaria una sottoscrizione che garantisse l’identità del soggetto firmatario. A questa impostazione giurisprudenziale, che di recente è stata riaffermata in una pronuncia del Giudice di Pace di Trapani, si contrappone una posizione più attenta alla pratica delle relazioni commerciali diffuse in rete, inuna sentenza del Tribunale di Napoli: il Giudice ha affermato che richiedere la firma digitale per l’accettazione delle clausole vessatorie finirebbe “col trasformare in via pretoria tutti i contratti telematici in contratti a forma vincolata, imponendo per la loro stipula l’impiego di uno strumento sofisticato, ancora non massivamente diffuso tra il pubblico, e così paralizzando, di fatto, lo sviluppo sul piano nazionale di un intero settore di traffici sempre più importante a livello planetario”. Tale pronuncia si inserisce nel filone di pensiero che ritiene sufficiente, per la specifica approvazione scritta delle clausole vessatorie nei contratti online, la firma elettronica semplice, ovvero un meccanismo di autenticazione del contraente mediante username e password sul sito del proponente, e il click su una casella specifica per la clausola vessatoria. In questo modo, sarebbe pienamente soddisfatta l’esigenza che funge da ratio alla sottoscrizione richiesta dall’art. 1341 c.c., ossia l’accertamento dell’effettivo consenso del soggetto debole e non anche necessariamente l’identificazione in senso “forte” del soggetto accettante. Verrebbe inoltre salvaguardata la speditezza che nella pratica caratterizza i contratti online e ne favorisce la diffusione, mentre la richiesta di una firma digitale rischierebbe di violare il principio di non disparità di trattamento tra contratti cartacei e contratti online previsto dall’art. 9 della Direttiva Europea sul Commercio Elettronico 2001/31/CE, imponendo un onere eccessivo in capo ai soggetti che volessero concludere i contratti su internet. Tale disparità di trattamento è inoltre oggi del tutto anacronistica, visto lo spostamento massiccio dei traffici commerciali sulla rete, incentivato anche dallo stesso legislatore europeo e funzionale alle nuove esigenze derivanti dalla pandemia da Covid-19.
È fondamentale tutelare il contraente che si trova ad accettare un contratto standard preimpostato da possibili abusi del proponente, ma per fare questo dovrebbe essere ormai ritenuto sufficiente assicurarsi che vi sia una effettiva comprensione e accettazione delle clausole vessatorie, tramite meccanismi snelli di autenticazione e un’accurata messa in evidenza di tali clausolecon necessità di apposito click, senza rinchiudersi in interpretazioni eccessivamente restrittive e formali della normativa. In questo senso potrebbe risultare utile un approccio in termini di legal design: la progettazione del contratto da parte di un professionista che si concentri sulla chiarezza e comprensibilità del contenuto del testo legale, in modo da permettere a entrambe le parti di concludere l’accordo con la necessaria consapevolezza. In conclusione, è necessario dare conto di una recente pronuncia della Cassazione nella quale la Corte ha evidenziato come, nel caso di contratti B2C, l’approvazione specifica per iscritto ai sensi dell’articolo 1341 c.c. non basti a superare la presunzione di vessatorietà delle clausole ai sensi dell’articolo 33 Codice del Consumo: al requisito del Codice Civile si aggiunge infatti la necessità di un’apposita negoziazione della clausola. In una pronuncia più risalente, la Corte aveva affermato che la prova dello svolgimento di una apposita trattativa può essere fornita dimostrando che la clausola era stata “chiaramente e autonomamente evidenziata dal predisponente, e specificatamente ed autonomamente sottoscritta dall’aderente”. Cosa che, nei contratti online, potrebbe avvenire seguendo quell’approccio di legal design di cui si è detto con riguardo all’articolo 1341 c.c., di fatto riducendo la differenza tra le due discipline alla diversa configurazione dell’onere probatorio in capo ai contraenti.
{{slotProps.data.sottoTitolo}}
{{slotProps.data.anteprima}}
{{slotProps.data.autore}}
Categoria