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Cartabia: un processo per “presunti colpevoli” della criminalità medio bassa?

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Giorgio Spangher

1. Sulla riforma Cartabia molto è già stato scritto, ma molto si dovrà scrivere.

Sono sicuramente molti gli aspetti coinvolti e le opinioni divergono al di là delle prime segnalate problematicità applicative: si pensi al tema della rinnovazione per mutamento del collegio; al tema della informatizzazione; al problema della presentazione dell’appello per il difensore dell’imputato assente (è assente, invero, l’esito del “tavolo” al Ministero), per non parlare della giustizia riparativa, solo per accennare ad alcuni temi.

Ciò non significa che non ci siano aspetti postivi: il rafforzamento dei poteri di controllo del giudice delle indagini preliminari; la nuova regola di giudizio dell’archiviazione e della sentenza di non doversi procedere; le accentuate premialità dei riti speciali e degli strumenti deflattivi; la previsione delle nuove pene sostitutive (art. 20bis cp).

Questi ed altri profili della riforma (si pensi all’udienza predibattimentale del procedimento davanti al giudice monocratico nei giudizi a citazione diretta) possono, pertanto essere “vivisezionati” e sottoposti a critica, ma anche a verifica pratica, nella quotidianità dei comporta- menti degli operatori di giustizia (magistrati e avvocati).

È noto che la riforma ha un marchio indelebile: la necessità di deflazionare il carico giudiziario del 25% entro il 2026, per rispettare i vincoli europei del PNRR.

Questo elemento, da quanto è dato sapere, sembrerebbe indurre molti uffici ad applicare questo parametro negli orientamenti delle decisioni di archiviazione, di pronuncia di decreti penali di condanna e indecisione di particolare tenuità del fatto (riformato dalla stessa Riforma Cartabia, così da consentire più agevoli determinazioni).

2. Senza, pertanto, entrare nel merito delle diverse previsioni, tutte suscettibili di diverse letture in una dimensione calata nella realtà del caso concreto, ad essa riconducibile o meno, il tema, per me, si sposta inevitabilmente sui profili sistematici della Riforma.

Si è già detto e scritto: modifica del ruolo dei soggetti protagonisti e comprimari con accentuazioni valoriali; un modello che punta all’efficienza (non all’efficientismo); un senso di maggiore partecipazione dell’imputato alle scienze processuali, anche favorendone la presenza; una giustizia che si vorrebbe più partecipata e maggiormente consapevole e condivisa; una giustizia meno carcerocentrica e maggiormente ispirata del recupero del colpevole in una dimensione di cicatrizzazione della lesione determinata dal reato con la collettività. Questi e altri ragionamenti sono stati ampiamente sviluppati in dottrina da parte dei sostenitori della riforma, ma non sono mancati naturalmente anche forti distinguo e feroci critiche al punto che si è parlato di incostituzionalità della Cartabia.

3. Affrontando i dibattiti di formazione organizzati dall’avvocatura, a mio parere, sono emerse alcune indicazioni di non secondario rilievo, anche se quanto si dirà, potrà non esser condiviso. La riflessione muove dalla presenza e come è facile verificare non solo lo strumento penale sostanziale copre una vastissima area di reati, assolutamente disomogenei per gravità, ma anche che questa criminalità non è, pur nella sua generale diffusività nel paese, omogeneamente distribuita nei termini qualitativi e quantitativi nelle diverse realtà territoriali.

Il riferimento è alla criminalità organizzata che, sicuramente diffusa ad ogni latitudine dello Stato, anche all’estero, nelle iniziative delle Procure distrettuali vede alcune forti concentrazioni di indagini, di provvedimenti cautelari, di processi, senza contare le iniziative dei procedimenti di prevenzione.

È evidente che a questi processi la Riforma Cartabia non dedica attenzioni: mancano infatti previsioni specifiche (se si esclude la modifica del concordato in appello riscritto in favor per questi delitti) anzi, vedi le modifiche in tema di indagini preliminari sui tempi dei depositi degli atti e dell’esercizio della azione penale.

Questa profonda insoddisfazione nei confronti della riforma si percepisce nei dibatti con l’avvocatura chia- mata a gestire questi processi, che anzi, lamentano forti strappi delle prassi e della giurisprudenza portata a privilegiare i profili sanzionatori e quelli della vanificazione delle regole privilegiando lo sviluppo punitivo anche fortemente accelerato nei modi e nei tempi, cioè, piuttosto sbrigativo in punto di garanzie.

Non si tratta, tanto, della deflazione di cui al PNRR, ma piuttosto di una visione della funzione del processo e di una dimensione proprietaria della giurisdizione di cui anche il recente dibattito sul concorso esterno e sulla censura ad alcune sentenze addirittura della Cassazione, anche a sezioni unite, peraltro neanche innovative, sta a dimostrare.

In altri termini volendo sintetizzare i profili antropologici del contesto criminale incidono inevitabilmente sull’approccio al tema della riforma che anzi nella misura in cui non affronta i problemi del doppio binario, esaspera gli atteggiamenti. Questa impostazione è pienamente condivisibile.

4. L’approccio, se pur solo in parte, ma significativamente cambia, quando il tema della riforma viene affrontato, anche dall’avvocatura per quella cioè interessata a questa tipologia di reati con riferimento alla criminalità che si colloca al di fuori del binario della criminalità organizzata con le sue appendici frutto della Riforma Bonafede, della criminalità economica.

Volontaria, o condizionata dal PNRR, che sia la Riforma Cartabia focalizza la sua attenzione alla criminalità medio bassa, quella maggiormente incidente in termini quantitativi sul carico giudiziario degli uffici, nonché sull’arretrato.

Per la Riforma il baricentro del processo sta nella fase delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare sia con riferimento al luogo dove si concentrano le indagini (destinate a rifluire nel dibattimento con valore probatorio), sia con riferimento agli strumenti deflattivi premiali (preclusi in larga parte progressivamente nei successivi sviluppi dibattimentali).

La presenza di una premialità, accentuata che destinata a ridimensionar- si nei successivi sviluppi processuali pone non pochi interrogativi sulla tipologia del modello Cartabia per i procedimenti già considerati. Le due ipotesi di definizione anticipata (archiviazione sentenza di non luogo), sicuramente, definiscono in termini positivi la posizione dell’imputato, ma per un altro verso, sembrano prospettare una valutazione prognostica negativa dell’esito del processo la ragionevole previsione di condanna per l’accusa e i giudici.

Questo elemento, per l’imputato, agevolmente deducibile dai comportamenti processuali, soprattutto del P.M. (mancata richiesta di archiviazione; esercizio dell’azione penale; mancata offerta di possibile messa alla prova; mancata richiesta di decreto penale; mancata richiesta di particolare tenuità del fatto, e così via), ma anche del giudice (nelle situazioni riconducibili a quanto detto) al di là di altre situazioni (mancata estinzione delle contravvenzioni, mancata remissione della querela e di ipotesi di condotte riparatorie); inevitabilmente induce la difesa a delle riflessioni sulle strategie processuali (già evidenziate negli sviluppi di alcune situazioni legate alla mancata opposizione al decreto penale e all’impugnazione delle sentenze di abbreviato) certo, nel non cogliere una “proposta” che non può essere rifiutata, va considerata la prospettiva dibattimentale dell’applicazione con la sentenza di condanna delle pene sostitutive (senza premialità quantitativa).

Nel delineato contesto – connotato dal cosiddetto pro- cesso “a trazione anteriore” – la premialità destinata a prefigurare exit strategies definitorie può esser declinata in due modi, senza entrare nel merito del contenuto più o meno appetibile del loro contenuto (abbattimento delle pene; effetti collaterali vari; oggetto e semplificazione della definizione dell’accusa; esclusioni sanzionatorie accessorie; e così via).

Una chiave di lettura è quella in qualche modo anticipata in esordio: una partecipazione consapevole alla definizione della responsabilità con un atteggiamento del sistema teso alla condivisione, alla partecipazione, al consenso a sfondo rieducativo.

Una diversa lettura vede nei riferiti percorsi una chiave maggiormente accentuata ad una inquisitorietà, definibile soave, ovvero edulcorata, variamente motivata da situazioni personali, familiari, sociali, economiche, che si vuole evitare di protrarre (forse inutilmente, se non addirittura maggiormente pregiudizievoli).

Non può escludersi una lettura intermedia, capace di coniugare i due profili calibrandoli sulle situazioni soggettive e sulla variabilità delle posizioni processuali.

Le due letture naturalmente, prospettano soluzioni diverse sulla natura del processo, sulla sua funzione, sui suoi contenuti, sul suo ruolo.

Un dibattito aperto, quindi, al quale le vicende processuali potranno offrire qualche risposta, che comunque non sarà univoca.


Note

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