{{slotProps.data.titolo}}
{{slotProps.data.sottoTitolo}}
{{slotProps.data.anteprima}}
{{slotProps.data.autore}}
{{elencoDettaglioArticolo.sottoTitolo}}
1. Inquadramento giuridico delle criptovalute.
L’assetto giuridico del nostro ordinamento, nonostante le sue evoluzioni, molto spesso si rivela non essere in grado di adattarsi ai repentini sviluppi della tecnologia, rendendo necessari notevoli sforzi interpretativi e nuove produzioni normative per poter trovare applicazione ad una realtà in continua evoluzione digitale.
A conferma del fatto che ci si trovi di fronte ad un vero e proprio limite del sistema e che l’interprete sia chiamato a volte a superarlo, basti pensare alle questioni che insorgono se ci si domanda se sono pignorabili o meno le varie tipologie di beni digitali di cui si è arricchita e continua ad arricchirsi la nostra realtà quotidiana: software, nomi di dominio web, profili social media, account e-mail, sistemi di conservazione dati in streaming (iTunes, Spotify, Google play, YouTube, Ama- zon)e di filesharing (Dropbox e Google Docs), solo per citarne alcuni.
Le difficoltà interpretative senz’altro aumentano in merito alle criptovalute e questo in ragione della natura stessa di questa particolare categoria di beni digitali.
Come è noto, le criptovalute sono strumenti di pagamento fatti di codici informatici il cui funzionamento si basa un software decentralizzato, condiviso da com puter connessi tra di loro, che le produce e le gestisce e che consente di inviarle e riceverle in maniera quasi del tutto anonima e senza intermediari, siano essi banche o enti centrali autorizzati.
Pur essendo prive di corso legale, e potendo quindi essere rifiutate da chiunque, la loro compravendita, il loro possesso ed il loro utilizzo sono perfettamente legali in Italia e in Europa.
In mancanza di una normativa specifica che ne disciplini la pignorabilità, questa non potrà che essere valutata sulla base delle norme esistenti, previe alcune considerazioni sul loro inquadramento giuridico.
Le criptovalute, infatti, sono senz’altro da considerare dei beni ai sensi dell’art. 810 c.c., potendo formare og- getto di diritti.
Non possono sorgere dubbi, inoltre, sul fatto che esse siano dei beni mobili ex art. 812, co. 3, c.c. non essendo ricomprese nel novero dei beni immobili.
Hanno un valore economico essendo misurabili in valuta fiat (euro, dollaro ecc.).
Sono beni immateriali in quanto prive di materialità corporea e costituite da dei codici informatici.
Sono, inoltre, da ritenere pignorabili in quanto non rientrano nelle tipologie di “cose mobili assolutamente impignorabili” di cui all’art. 514 c.p.c., norma che, derogando al principio di cui all’art. 2740 c.c., è da ritenersi di stretta interpretazione e che, pertanto, non può essere interpretata analogicamente estendendo il numerus clausus dei beni in esso indicati.
La tipologia di procedimento esecutivo esperibile, pertanto, non potrà che essere quello mobiliare, diretto o presso terzi, a seconda che siano conservate presso il debitore o presso un terzo.
Il procedimento, inoltre, avendo per oggetto una valuta, seppur digitale, non potrà che concludersi con l’assegnazione al creditore procedente che ne faccia istanza al giudice dell’esecuzione.
Per poter essere pignorate, al pari di ogni altro bene, le criptovalute dovranno essere preventivamente individuate. In ragione di un tanto ci si deve soffermare sulle modalità con cui vengono abitualmente custodite.
Tutte le criptovalute, infatti, sono conservate in un portafoglio elettronico (c.d. wallet), accessibile con password, che contiene l’indirizzo che identifica in maniera univoca il possessore – ossia una chiave pubblica – alla quale è legata matematicamente ed indissolubilmente una chiave privata che permette di memorizzare, inviare e ricevere valuta digitale e che, dunque, viene mantenuta segreta.
I wallet, più precisamente, possono essere suddivisi in tre categorie:
• hardware wallet: dei dispositivi specifici che permettono, in modalità off-line, sia di archiviare al proprio interno le chiavi private sia di firmare le proprie tran- sazioni;
• software wallet: installabili sui personal computer;
• web wallet: creabili on-line su appositi portali noti come wallet providers.
Gli hardware e software wallet, a differenza dei web wallet, possono essere gestiti autonomamente dal proprietario senza l’ausilio di un intermediario.
2. Esecuzione mobiliare presso il debitore
Nell’ipotesi in cui il debitore possieda un hardware wallet o un computer sul quale vi ha installato il proprio wallet, il procedimento esecutivo astrattamente esperibile sarà, pertanto, quello mobiliare diretto.
Analizziamo, pertanto, i diversi scenari che potrebbero prospettarsi all’Ufficiale Giudiziario e le problematicità che questi sarà chiamato a risolvere nel corso delle operazioni di pignoramento.
- • Collaborazione del debitore
La prima ipotesi che potrebbe teoricamente presentarsi è che il debitore indichi spontaneamente il proprio wallet all’Ufficiale Giudiziario e gli comunichi le chiavi di accesso e password.
La prima domanda che ci si dovrà porre, in tal caso, è se ci si trovi di fronte ad una delle fattispecie di cui all’art. 494 c.p.c. A modesto avviso di chi scrive tale norma non può essere applicata al caso in esame se si considera che il debitore:
– ex art 494, co. 1, c.p.c., può evitare l’inizio del pigno- ramento versando la somma per cui si procede; – ex art. 494, co. 3, c.p.c., può evitare il pignoramento di determinate cose versando, in luogo di esse, una somma di denaro – che diventa oggetto di pignora- mento – pari al credito, più spese aumentato di 2/10. L’Ufficiale Giudiziario, infatti, qualora gli venissero offerte in pagamento delle criptovalute, non sarebbe in grado di verificare l’esattezza del versamento e nemme-no di garantire la corrispondenza di valore tra le due valute– quella avente corso legale in cui è espresso il credito e quella virtuale con cui verrebbe saldato – tra il momento del pignoramento e quello dell’assegnazione al creditore.
In sostanza, anche a non voler considerare che la norma faccia riferimento a “somme di denaro” e che il pagamento offerto a mezzo di criptovaluta, essendo privo di corso legale, potrebbe essere legittima- mente rifiutato, tale norma non pare applicabile al caso in esame per l’elevata e repentina fluttuabilità del valore di tali beni.
Pertanto, l’unica ipotesi teoricamente possibile in cui il debitore, offrendo spontaneamente wallet e chiavi all’Ufficiale Giudiziario, potrebbe indurlo a sottoporre a pignoramento delle criptovalute, è il caso di un pignoramento rivelatosi infruttuoso per assenza di altri beni mobili pignorabili.
Eseguito il pignoramento, sarà rimessa al creditore pro- cedente la decisione in merito alla convenienza dell’iscrizione a ruolo del procedimento.
• Rinvenimento da parte dell’Ufficiale Giudiziario
In assenza del debitore o in mancanza di una sua spontanea collaborazione, sarà compito dell’Ufficiale Giudiziario provvedere a ricercare le criptovalute al pari delle altre cose ai sensi dell’art. 513, co. 1, c.c.
Il primo problema che questi dovrà porsi nel caso in cui individuasse un hardware wallet o un computer con installato un software wallet nella casa del debitore o in altri luoghi a lui appartenenti, sarà quello di verificare se poterlo ricondurre o meno al debitore esecutato.
In proposito si ritiene che la presunzione di appartenenza al debitore, di cui al combinato disposto degli artt. 513 e 621 c.p.c., possa applicarsi anche a tale tipologia di beni non rinvenendosi ragioni per argomentare diversamente.
Ad ogni modo, non essendo i wallet nominativi, appare difficilmente provabile la legittimazione attiva dell’eventuale terzo opponente.
Il successivo problema che dovrà porsi e risolvere l’Ufficiale Giudiziario sarà quello di reperire le credenziali per accedere al wallet e per poter verificare l’ammontare del suo contenuto.
In assenza del debitore o di sua spontanea collaborazione, l’unica ipotesi astrattamente prevedibile è che si rinvenga nel corso delle ricerche un documento cartaceo o un file con indicate le chiavi di accesso al wallet.
Il fatto che tali appunti possano essere fatti rientrare nella categoria di “lettere” e “manoscritti”, e come tali assolutamente impignorabili ai sensi dell’art. 514, n. 6, c.p.c., non sarà di impedimento al proseguo delle operazioni. Essi, infatti, non costituiranno l’oggetto del pignoramento che, va ricordato, nel nostro caso è volto all’espropriazione delle criptovalute.
L’Ufficiale Giudiziario, pertanto, ben potrà utilizzare l’informazione reperita per proseguire nella ricerca dei beni da pignorare.
• Richiesta di informazioni al debitore
Nel caso in cui il debitore, seppur presente alle opera- zioni di pignoramento, non collaborasse e non riferisse nulla in merito alle sue criptovalute, wallet e chiavi, e, al contempo, nulla di utilmente pignorabile venisse reperito, all’Ufficiale Giudiziario non rimarrebbe che un ultimo strumento per cercare di conseguire un fruttuoso pignoramento.
Ai sensi dell’art. 492, co. 4, c.p.c., infatti, egli inviterà il debitore ad indicare ulteriori beni, i luoghi in cui essi si trovano e le generalità dei terzi detentori, avvertendolo della sanzione penale prevista per l’omessa o falsa dichiarazione di cui all’art. 388, co. 6, c.p.
Il debitore possessore di criptovalute, pertanto, sarà tenuto a dichiararle all’Ufficiale Giudiziario mettendolo in grado di accedere al proprio wallet onde evitare di incorrere nel reato sopra citato.
3. Esecuzione mobiliare presso terzi
Diversa è l’ipotesi in cui il debitore sia in possesso di un web wallet che viene gestito on-line da una società exchange e sulla cui piattaforma vengano conservare le criptovalute (c.d. hot storage).
Il procedimento esecutivo esperibile, in tal caso, è ovviamente il procedimento presso terzi. A differenza delle ipotesi di pignoramento mobiliare diretto in cui le problematicità insorgono nel corso delle operazioni, nel caso di pignoramento di una società exchange le difficoltà si presentano ben prima del suo inizio e questo per una pluralità di ragioni.
In primo luogo, perché la società terza pignorabile dovrà essere preventivamente individuata tra le molte che offrono tale servizio on-line.
Qualora il creditore non ne abbia contezza, appare difficilmente esperibile anche solo un c.d. “pignoramento a pioggia”, in quanto le società exchange hanno generalmente la sede all’estero, rendendo pertanto necessario procedere nello Stato di competenza e con le modalità previste da quell’ordina- mento giuridico, previo eventuale riconoscimento del titolo esecutivo italiano se si tratta di Stati extra UE.
In terzo luogo, perché tali società garantiscono l’anonimato al proprietario di criptovalute che ne possieda un ammontare inferiore ad un certo importo.
Per potersi iscrivere e depositare criptovalute sarà sufficiente, in tal caso, solo un indirizzo e-mail ed una password e non sarà richiesto un documento identificativo, legittimando pertanto una dichiarazione negativa del terzo.
Ad ogni modo va evidenziato che, per i rischi di sicurezza che comporta, non è frequente che si detengano monete virtuali presso le società exchange.
Una volta acquistata, infatti, la valuta digitale viene solitamente trasferita immediatamente su un wallet privato, che quindi diventerà potenzialmente oggetto di un pignoramento mobiliare diretto, che si rivela pertanto essereil procedimento esperibile con maggiori possibilità di esito favorevole.
4. Riflessioni conclusive
Da quanto sopra analizzato emerge che il pignoramento di criptovalute, per quanto teoricamente esperibile, si prospetta difficilmente fruttuoso per un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo, perché le monete virtuali risultano difficilmente individuabili senza la collaborazione del debitore esecutato.
Tale collaborazione, allo stato, risulta normativamente promossa solamente dall’efficacia deterrente dell’intimazione dell’Ufficiale Giudiziario di cui all’art. 492, co. 4, c.p.c. e dalle relative conseguenze penali in caso di falsa od omessa dichiarazione.
È interessante notare che tale norma trova una corrispondenza nel solo Codice di procedura civile thailandese, i cui artt. 30, co. 5 e 33 della sezione 277, disciplinano rispettivamente l’intimazione al debitore, su richiesta del creditore, di indicare i propri beni e le conseguenze penali della falsa od omessa comunicazione.
La sola differenza è ravvisabile nel fatto che l’intimazione viene rivolta dal Tribunale delle Esecuzioni e non dall’Ufficiale Giudiziario.
Tale disposto normativo, tuttavia, viene raramente utilizzato – verosimilmente per le medesime ragioni che rendono difficilmente applicabile la fattispecie penale nel nostro ordinamento e cioè la difficoltà di accertare la veridicità delle dichiarazioni del debitore – venendo preferita la composizione amichevole in sede di incontro di mediazione innanzi ai locali ufficiali giudiziari che avviene su richiesta di una delle parti.
In tale sede, infatti, i beni del debitore vengono fatti emergere nella prospettiva di raggiungere un accordo transattivo col creditore.
Che la collaborazione col debitore sia la strada da seguire per cercare ottenere il pignoramento delle criptovalute, è quanto inoltre si ricava dal Global Code of Digital Enforcement, redatto a novembre del 2021 dall’UIHJ – Union internationale des huissiers de justice, l’associazio- ne internazionale degli ufficiali giudiziari e degli agenti di esecuzione.
Tale Codice, quale soft law, costituisce una raccolta di principi in tema di esecuzione digitale ed ha lo scopo di promuovere l’armonizzazione dei vari sistemi giudiziari.
Nell’art. 49 di tale Codice, in particolare, viene suggerito ai legislatori nazionali di introdurre l’obbligo per il debitore di dichiarare in sede di pignoramento l’eventuale proprietà di criptovalute, sanzionando penalmente o anche con meri strumenti di coercizione indiretta l’eventuale reticenza dell’esecutato.
Il legislatore italiano – al pari di quello tailandese – con la disciplina dell’art. 492, co. 4, c.p.c., ha anticipato le indicazioni della comunità scientifica internazionale normando un principio di cui però la pratica ha dimostrato i limiti applicativi in entrambi gli ordinamenti giuridici.
Tale norma, a modesto avviso di chi scrive, andrebbe resa maggiormente efficace con l’introduzione di una quanto meno parziale esdebitazione in caso di assegnazione al creditore di criptovalute.
Risulta difficilmente accertabile, infatti, salvo successivo fortuito rinvenimento di una qualche documentazione, che il debitore in sede di pignoramento abbia taciuto il possesso di criptovalute o se ne sia liberato poco dopo l’accesso dell’Ufficiale Giudiziario.
L’altro ordine di ragioni che preclude un efficace pi- gnoramento delle criptovalute è di tipo procedurale.
L’ufficiale giudiziario, infatti, allo stato non è in grado di sottrarle al debitore e di metterle immediatamente a disposizione del giudice dell’esecuzione e del creditore procedente.
A nulla varrà il rinvenimento delle chiavi di accesso, infatti, se il debitore si sarà fatto una copia di backup del wallet, ben potendo così ripristinare le criptovalute su un altro dispositivo e spostarle immediatamente su un altro portafoglio digitale.
Certo il fatto costituirà reato, ma la rilevanza penale del comportamento non precluderà l’esito negativo del pignoramento.
Per prevenire un tanto e per garantire la speditezza delle operazioni, sarebbe necessario che l’Ufficiale Giudiziario venisse dotato di un proprio wallet su cui trasfe- rire immediatamente le criptovalute e da cui il giudice potesse ordinare prontamente l’assegnazione al credito- re istante per un valore espresso in valuta fiat e liquidato al momento dell’emissione dell’ordinanza sulla base delle valutazioni dei principali siti di exchange.
Qualora il procedimento esecutivo mobiliare, infatti, non si svolgesse in tempi rapidi, ben potrebbe essere compromessa l’efficacia del pignoramento viste le repentine variazioni di valore cui sono soggette le valute virtuali.
Di certo il pignoramento sarebbe più agevole, come an- cora suggerito dall’art. 48 del Global Code of Digital Enforcement, se venisse introdotto un registro elettronico nazionale delle criptovalute con obbligo del possessore di dichiararne la titolarità e con autorizzazione all’accesso da parte dell’ufficiale giudiziario per eseguirne la ricerca ed il pignoramento.
Tale previsione, tuttavia, disincentiverebbe l’uso della moneta virtuale privandola di quella pressoché totale garanzia di anonimato che la crittografia le attribuisce e che costituisce una delle principali ragioni del suo impiego.
È il procedimento esecutivo, infatti, che andrebbe adattato alla natura delle criptovalute e non viceversa.
Ad ogni modo, nonostante gli sforzi interpretativi e le possibili prospettive di riforma, se non verranno superate le attuali criticità che emergono in sede di pignoramento, le criptovalute rimarranno il bene rifugio per eccellenza per il debitore che vuole sottrarsi alle proprie obbligazioni.
{{slotProps.data.sottoTitolo}}
{{slotProps.data.anteprima}}
{{slotProps.data.autore}}
Categoria