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La Corte di Cassazione di recente, con sentenza 18 febbraio 2019 n. 4698, ha confermato il diritto al compenso per l’avvocato costituito personalmente in giudizio ex art. 86 cpc. È stata così consolidata la giurisprudenza nel senso che l’onorario di avvocato è dovuto anche all’avvocato che, essendo parte in causa, si sia costituito in giudizio personalmente, sempreché per le questioni trattate sia occorsa opera di avvocato (fra le tante, Cass. 9 gennaio 2017 n. 189; Cass. 9 luglio 2004 n. 12680), e che l’avvocato sia iscritto all’albo professionale (Cass. 25 ottobre 1972, n. 3264).
E ciò in quanto la condanna alle spese ex art. 91 c.p.c. non ha natura sanzionatoria né costituisce un risarcimento del danno, ma è un’applicazione del principio di causalità, in altre parole l’onere delle spese grava su chi ha provocato la necessità del processo (Cass. 28 marzo 2001, n. 4485). Del resto non si può ignorare che la circostanza che l’avvocato sia avvalso della facoltà di difesa personale prevista dall’art. 86 c.p.c. non incide sulla natura professionale dell’attività svolta in proprio favore, e, pertanto, non esclude che il giudice debba liquidare in suo favore, secondo le regole della soccombenza ed in base alle tariffe professionali, i diritti e gli onorari previsti per la sua prestazione (Cass. 28 febbraio 2019 n. 4698).
L’attività di difesa svolta nel processo da soggetto abilitato all’esercizio della professione legale ed avente la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore con procura presso il giudice adito, seppure compiuta nel proprio interesse (art. 86 cpc) ha comunque natura professionale e, pertanto, dà diritto alla liquidazione giudiziale, secondo le regole della soccombenza, dei compensi per la sua prestazione, dovendo il giudice statuire al riguardo, ai sensi degli artt. 91 e sss. cpc, anche senza espressa istanza dell’interessato (Cass. 21 gennaio 2019 n. 1518; Cass. 18 settembre 2008 n. 23847; Cass. 27 agosto 2003 n. 12542). Nei giudizi in cui è consentita alla parte la difesa personale ex art. 82 cpc, è onere dell’interessato, che rivesta la qualità di avvocato, specificare a che titolo intenda partecipare al processo; e ciò perché mentre la parte che sta in giudizio personalmente non può chiedere che il rimborso delle spese vive sopportate, il legale, ove manifesti l’intenzione di operare come difensore di sé medesimo ex art. 86 cpc ha diritto alla liquidazione delle spese secondo la tariffa professionale (Cass. 21 gennaio 2019 n. 1518; Cass. 9 luglio 2004 n. 12680).
Per il diritto al compenso l’avvocato abilitato alla difesa personale deve, quindi, dichiarare di volersi avvalere di tale facoltà all’atto della costituzione in giudizio, ovvero quanto meno deve dichiarare di avere la qualità richiesta per lo svolgimento personale dell’attività processuale (Cass. 2 dicembre 1978 n. 5898). Non può essere, quindi, liquidato l’onorario all’avvocato che si difende da solo qualora questi abbia omesso di specificare a che titolo intende partecipare al processo, non essendo sufficiente la mera indicazione della qualifica di avvocato contenuta nel ricorso introduttivo.
Il processo deve assicurare “tutto quello e proprio quello” che riconosce il diritto sostanziale e non deve attuare scarti tra tutela giurisdizionale e posizioni sostanziali delle parti (Corte Conti, Regione Campania 24 marzo 2009); la libertà di agire in giudizio riconosciuta all’attore, va bilanciata con quello del convenuto a non subire perdite patrimoniali (spese di difesa) a causa dell’altrui esercizio del diritto di azione. La circostanza che l’avvocato si sia avvalso della facoltà di difesa personale prevista dall’art. 86 c.p.c. non incide sulla natura professionale dell’attività svolta in proprio favore, e, pertanto, non esclude che il giudice debba liquidare in suo favore, secondo le regole della soccombenza e in base ai parametri ministeriali il compenso previsto per la sua prestazione (Cass. 9 gennaio 2017 n. 189; Cass. 30 gennaio 2008, n. 2193). Del resto l’art. 13, comma 1, Legge n. 247/2012, statuisce espressamente che “L’avvocato può esercitare l’incarico professionale anche a proprio favore”.
In ordine alla possibilità di “difesa personale” da parte dell’avvocato, occorre evidenziare che nel processo penale, l’obbligo della difesa tecnica, sancito dagli artt. 96 e 97 cpp a tutela di un interesse pubblico in cui sono coinvolti diritti fondamentali, escluda che le parti, anche se abilitate all’esercizio della funzione di avvocato, possano essere difese da se stesse (Cass. pen, 26 luglio 2018 n. 35651). Le somme liquidate a titolo di rifusione delle spese di giudizio, comprensive degli onorari professionali, all’avvocato che ha agito in base all’art. 86 c.p.c., mantengono la stessa qualificazione e lo stesso trattamento fiscale propri delle somme corrisposte normalmente dalla parte vittoriosa che ha ottenuto dal giudice la distrazione delle spese processuali a suo diretto favore (Circolare Agenzia delle Entrate n. 203 E del 6.12.1994).
Ne consegue che la parte soccombente che paga i suddetti compensi, nella sua qualità di sostituto di imposta, deve applicare la ritenuta di acconto ai sensi dell’art. 25 dPR n. 600/73. Deve essere, quindi, effettuata dalla parte soccombente sulle somme corrisposte a quella vittoriosa che, essendo avvocato, abbia esercitato la facoltà di patrocinarsi personalmente (Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 106 del 19.9.2006, relativa ad attività professionale svolta da avvocato membro di uno studio professionale).
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