{{slotProps.data.titolo}}
{{slotProps.data.sottoTitolo}}
{{slotProps.data.anteprima}}
{{slotProps.data.autore}}
{{elencoDettaglioArticolo.sottoTitolo}}
Non tutti sanno che il divorzio fu introdotto in Italia solo nel 1970, e precisamente con L. 1.12.70 n. 898. Il cui art. 5/4, così allora recitava:
"Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale dispone, tenuto conto delle condizioni economiche dei coniugi e delle ragioni della decisione, l'obbligo per uno dei coniugi di somministrare a favore dell’altro periodicamente un assegno in proporzione alle proprie sostanze e ai propri redditi. Nella determinazione di tale assegno il giudice tiene conto del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi”.
Nel maggio 1974 il diritto al divorzio rischiò di esser perduto, a seguito dell’indizione del referendum abrogativo: per fortuna, non ostante la forte pressione della Democrazia Cristiana e del Movimento Sociale Italiano Destra Nazionale (Fanfani e Almirante su tutti) a favore dell’abrogazione della legge, prevalsero i “NO”, per cui la legge rimase in vigore. La formulazione della norma sull’an e sul quantum debeatur dell’assegno divorzile era comunque equivoca. Ed infatti, all’assegno era riconosciuta natura polifunzionale, riconoscendosi allo stesso natura sia assistenziale, sia risarcitoria, sia anche compensativa. Nell’incertezza sulla precisa o prevalente natura dell’assegno divorzile, maturava l’esigenza di una riscrittura della norma. Fu così che si fronteggiarono coloro i quali –ispirati da una concezione criptoindissolubilista - volevano comunque difendere l’ex coniuge debole, e coloro i quali invece volevano disancorare al matrimonio la sua concezione patrimonialistica. Va da sé che i primi avrebbero voluto non modificare la norma, e i secondi invece radicalmente trasformarla, condizionando il diritto all’assegno divorzile alla necessità dello stesso per il mantenimento di un’esistenza libera e dignitosa.
Si giunge così alla modifica dell’art. 5 della L. 898/70 ad opera della L. 06.03.87 n. 74, che, in parte qua, nel suo nuovo comma VI, oggi così recita:
“Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
Solo un occhio distratto non coglie la sostanziale differenza (rispetto al previgente art. 5/4) Ed infatti, fermi tutti i parametri da seguire (anzi, ora è aggiunta, correttamente, la durata del matrimonio), l’assegno si prevede erogando al coniuge debole “solo quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
In sostanza, la riforma –come testimoniato dalla Relazione del Sen. Lipari, pur contrastata- evidenzia la spinta per la funzione assistenziale dell’assegno per il coniuge effettivamente bisognoso, rispetto alle funzioni risarcitoria o compensativa. Onde il presupposto fondamentale per l’attribuzione dell’assegno ora diventa lo squilibrio reddituale tra i coniugi, in conseguenza del quale uno di essi, privo di mezzi adeguati al proprio mantenimento, sia anche nell’impossibilità, transitoria o permanente, di procurarseli. Rimane però equivoco, in giurisprudenza, il riferimento dei mezzi adeguati: all’analogo tenore di vita coniugale? O non piuttosto ad un’esistenza libera e dignitosa? Sulle due tesi, v. in ordine:
…”condizione necessaria per affermare il diritto all'assegno è che il coniuge richiedente non abbia propri redditi adeguati, e cioè tali che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio".
… “la valutazione relativa all'adeguatezza dei mezzi economici del richiedente deve essere compiuta con riferimento non al tenore di vita da lui goduto durante il matrimonio, ma ad un modello di vita economicamente autonomo e dignitoso, quale, nei casi singoli, configurato dalla coscienza sociale“.
Cass. S.U. 11490 e 11492 del 29.11.90
A risolvere il contrasto, intervenivano le Sezioni Unite della Cassazione (con le sentenze gemelle emarginate) da un lato riconoscendo, giustamente, la natura assistenziale dell’assegno divorzile. Ma individuando quale parametro di riferimento per l’adeguatezza / inadeguatezza dei mezzi del richiedente il “tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso, fissate al momento del divorzio”. Quello di seguito trascritto è il rilevante principio di diritto: A seguito della disciplina introdotta dall'art. 10 legge 6 marzo 1987 n. 74, modificativo dell'art. 5 legge 1 dicembre 1970 n. 898, l'accertamento del diritto di un coniuge alla somministrazione di un assegno periodico a carico dell'altro va compiuto mediante una duplice indagine, attinente all'an ed al quantum. Il presupposto per concedere l'assegno è costituito dall'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente (tenendo conto non solo dei suoi redditi, ma anche dei cespiti patrimoniali e delle altre utilità di cui può disporre) a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza che sia necessario uno stato di bisogno dell'avente diritto, il quale può essere anche economicamente autosufficiente, rilevando l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle condizioni economiche del medesimo che, in via di massima, devono essere ripristinate, in modo da ristabilire un certo equilibrio”.
In sostanza, trascurandosi il più rilevante senso della riforma del 1987, l’interpretazione della norma diviene sfavorevole al coniuge onerato dell’assegno, che il S.C. prende a riconoscere sussistente nella misura atta a garantire al coniuge “debole” il tenore di vita coniugale.
Cass. Civile, Sez. I, 6289/14 e 6855/15
Muta però nel tempo il costume sociale: e coi fermi emarginati, essendo oramai condiviso il matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, ed in quanto tale dissolubile, la Corte di Cassazione si pronuncia nel senso che “Il diritto alla costituzione della famiglia è un diritto fondamentale anche nel contesto costituzionale e sovranazionale della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo del 1950 (art. 12), e come tale è riconosciuto anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (art. 9), senza che sia possibile considerare il divorzio come limite oltre il quale tale diritto è destinato a degradare al livello di mera scelta individuale non necessaria. La formazione di una famiglia di fatto da parte del coniuge beneficiario dell’assegno divorzile è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole; la quale comporta ed esclude ogni residua solidarietà post matrimoniale da parte dell’altro coniuge”. Il diritto ad una nuova famiglia, pertanto, può comportare queste speculari conseguenze:
• Il divorziato che ha altri figli ha diritto a veder riesaminato, ed eventualmente ridotto, il suo contributo economico.
• il divorziato che inizia una nuova stabile convivenza perde il diritto all’assegno divorzile.
Il tempo pare quindi maturo per la rivoluzionaria
Corte di Cassazione, I Sez. Civile, 10.05.2017 N. 11504 (Est. Lamorgese)
Il caso sottoposto all’esame del Supremo Collegio è quello dell’ex Ministro dell’Economia e delle Finanze Vittorio Grilli, già sposato a Lisa L.. Sposano nel 1993. Lei, laureata alla London Business School, segue la carriera del marito. Dopo la separazione, nella causa di divorzio la moglie domanda l’assegno, che viene negato dal Tribunale di Milano e dalla Corte di Appello. Donde il ricorso in Cassazione della L., che dichiara non poter più mantenere l’elevato tenore di vita coniugale, cui ritiene aver diritto. Con la innovativa sentenza n. 11504/17 del 10.05.17 (detta anche “Grilli” dal nome del resistente, o “Lamorgese” dal nome del giudice relatore), la Suprema Corte di Cassazione rigetta il ricorso, introducendo nuovi parametri per il trattamento economico a favore del coniuge debole, e superando l’orientamento consolidato in materia che collegava la misura del contributo in favore del coniuge debole al parametro del tenore di vita matrimoniale.
Il trattamento, che ha natura assistenziale, diviene quindi ora subordinato alla non indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge richiedente. In sostanza –è il ragionamento del S.C.- una volta passata in giudicato la sentenza di scioglimento del matrimonio (o cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso)- il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente sul piano sia dello status personale dei coniugi (i quali devono perciò ora considerarsi “persone singole”); sia anche dei loro rapporti economico-patrimoniali (art. 191, comma 1, c.c.) e, in particolare, del reciproco dovere di assistenza morale e materiale (art. 143, comma 2,c.c.) Quanto al diritto all’assegno di divorzio, previsto dall’art. 5 comma 6 della legge n. 898 del 1970, esso è quindi condizionato dal previo riconoscimento in base all’accertamento giudiziale della mancanza di “mezzi adeguati” dell’ex coniuge richiedente l’assegno o, comunque, dell’impossibilità dello stesso di “procurarseli per ragioni oggettive”. In conclusione, la sezione I del S.C. ha ritenuto che un’interpretazione delle norme sull’assegno divorzile -che procrastini a tempo indeterminato la recisione degli effetti economico-patrimoniali del vincolo coniugale-, può tradursi in un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia, successivamente alla disgregazione del primo gruppo familiare.
E ciò in violazione di un diritto fondamentale dell’individuo che è ricompreso tra quelli riconosciuti dalla CEDU (art. 12) e dalla Carta dei Diritti fondamentali dell’U.E. (art.9). Ha quindi ritenuto che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale: l’interesse tutelato con l’attribuzione dell’assegno divorzile non essendo il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungimento della indipendenza economica, in tal senso dovendo intendersi la funzione esclusivamente assistenziale dell’assegno divorzile.
Conseguenze della rivoluzionaria sentenza “Grilli” (o “Lamorgese”).
A seguito della rivoluzionaria sentenza 11504/17, molti giudici rivedevano criticamente il diritto all’assegno divorzile. Spicca per pragmatismo il Tribunale milanese, nel noto fermo di seguito massimato: “Il presupposto giuridico per il riconoscimento dell'assegno di divorzio non è il pregresso tenore di vita matrimoniale, bensì la “non” indipendenza economica dell'ex coniuge richiedente. … Un parametro (non esclusivo) di riferimento può essere rappresentato dall'ammontare degli introiti che, secondo le leggi dello Stato, consente (ove non superato) ad un individuo di accedere al patrocinio a spese dello Stato (soglia che, ad oggi, è di euro 11.528 annui ossia circa 1000 euro mensili). Ulteriore parametro, per adattare “in concreto” il concetto di indipendenza, può anche essere il reddito medio percepito nella zona in cui il richiedente vive ed abita. Tribunale Milano, sez. IX, 22/05/2017 E pure seguivano, della I e della VI sezione del S.C., coerenti fermi.
Sul nuovo revirement di Cass. S.U. 11.07.18 n. 18287
La rivoluzionaria sentenza 11504/17 della I sezione necessitava dell’intervento delle Sezioni Unite, da più voci sollecitato, che giungeva l’11 luglio u.s., con nuovi … effetti speciali. Con ampia e ben motivata spiegazione, le Sezioni Unite hanno rilevato che le sentenze c.dd. gemelle del 1990 avevano affermato sostanzialmente il diritto del coniuge debole al mantenimento del tenore di vita coniugale; mentre la sentenza c.d. Lamorgese (n. 11504/17) ha scisso il profilo attributivo da quello determinativo, valorizzando la sola funzione assistenziale dell’assegno divorzile, e quindi escludendolo ove l’ex coniuge richiedente sia economicamente autosufficiente.
Le Sezioni Unite consapevolmente scelgono una terza via. Ossia divergono dalle sentenze del 1990 in quanto il mantenimento del tenore di vita cessa di esser oggetto del diritto del coniuge debole. Ma divergono anche dalla sentenza 11504/17 perché affermano che il profilo attributivo e determinativo non sono più separati, ma “si coniugano nel c.d. criterio assistenziale – compensativo, entrambi finalizzati a ristabilire l’equilibrio venuto meno col divorzio”. In sostanza, se cade il diritto al mantenimento del tenore di vita coniugale, può comunque sussistere il diritto all’assegno divorzile da parte dell’ex coniuge pur economicamente autosufficiente: ma solo se e in quanto egli comprovi aver apportato alla famiglia un’utilità.
Questo è quindi il nuovo principio di diritto:
“Ai sensi della l. n. 898/1970, art. 5, comma 6, dopo le modifiche introdotte con la l. n. 74/1987, il riconoscimento dell'assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto”.
Conseguenze.
Considerazioni de jure condendo.
Conseguenza del pronunciamento delle sezioni unite è che le contese sull’assegno divorzile –che la sentenza “Grilli” (o “Lamorgese”) tendenzialmente azzerava- nuovamente prosperano: e noi avvocati siamo nuovamente chiamati a provare il tenore di vita coniugale; quale sia stato l’apporto del coniuge richiedente alla vita e al patrimonio familiare, e quali chances di luminosa carriera con ingenti guadagni siano stati sacrificati sull’altare della famiglia…
In sostanza, le liti giudiziarie –scongiurate dalla sentenza “Grilli”- tornano a crescere, mentre all’evidenza l’interesse dei consociati è il contrario: ossia evitare che il matrimonio possa concepirsi come tentativo di rendita parassitaria, e pure evitare cause asperrime con esiti incerti (anche dipendendo dal bravo avvocato la determinazione dell’assegno, essendo lo stesso ancorabile a tanti indici di difficile prova). Per l’esposto, ci pare senz’altro auspicabile una modifica dell’art, 5/6 L. 898/70, che, alla luce degli interventi del S.C., così potrebbe riscriversi:
“Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale può disporre, anche tenendo conto della durata del matrimonio, l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno che riduca lo squilibrio reddituale, a condizione che il richiedente abbia comprovato la mancanza di mezzi adeguati, e l'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, con esclusivo riferimento all'autosufficienza economica del medesimo, risultante da indici quali il possesso, da parte sua, di redditi di qualsiasi specie, di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto degli eventuali oneri relativi e del costo della vita nel luogo di residenza, delle capacità e possibilità effettive di lavoro personale, in relazione ad età, salute, sesso, mercato del lavoro”.
Nell’occasione, potrebbe l’illuminato Legislatore, nell’auspicabile anelito di eliminare tante dolorose cause (che danneggiano sia i coniugi, che la prole, che la macchina della Giustizia), permettere i patti prematrimoniali, onde ognuno sappia prima cosa gli può spettare dopo.
Magari gli aspiranti coniugi spenderanno qualcosa in avvocati prima del matrimonio, ma li risparmieranno dopo, quando magari non ci sarà più niente da fare…
{{slotProps.data.sottoTitolo}}
{{slotProps.data.anteprima}}
{{slotProps.data.autore}}
Categoria